La Grande Beffa

L’idea di flessibilità salariale che Marchionne vuole applicare al gruppo FCA, è stata esplicitata dallo stesso dirigente in eventuali aumenti salariali legati agli obiettivi aziendali.


La Grande Beffa Credits: @giovannimontesi53

“Il conflitto capitale-lavoro è superato”. Così titolavano i pennivendoli dei giornali borghesi dopo l’annuncio di Marchionne di legare il salario all’andamento economico dell’azienda. Si tratta ovviamente di una vecchia bufala. 

di Carmine Tomeo 

In un articolo del numero precedente de La Città Futura, affermavamo che “la flessibilità del salario è infatti assolutamente legata alla flessibilità della forza lavoro ed alla flessibilità del capitale, soltanto in ragione delle quali è concessa una ‘redistribuzione’ dei profitti. In ragione, insomma, di un maggiore e più efficace comando padronale sul lavoro.” Cerchiamo ora di spiegarla meglio, e concretamente.
L’idea di flessibilità salariale che Marchionne vuole applicare al gruppo FCA, è stata esplicitata dallo stesso dirigente in eventuali aumenti salariali legati agli obiettivi aziendali. Stando al contratto separato Fiat del 2011 (al quale Marchionne fa esplicitamente riferimento) legare il salario agli obiettivi aziendali significa in sostanza legarlo a “elementi di competitività e redditività legati all'andamento economico dell'azienda”. 

È evidente che tali obiettivi FCA intende raggiungerli perseguendo politiche di maggiore sfruttamento del lavoro. Insomma, spremere una maggiore quantità di lavoro per estrarre più profitto. Concretamente queste politiche vengono già perseguite: ne sanno qualcosa gli operai FCA che vedono accelerati i tempi di produzione e aumentate le ore lavorate, con la saturazione dei tempi di lavoro, con l'abolizione della pausa di dieci minuti, con l'introduzione di nuove metriche, con il lavoro straordinario. E nonostante ciò, ha ricordato giustamente Landini, «un operaio di terzo livello Fca-Cnh guadagna mediamente 750 euro lordi annui di meno di un suo pari livello di un’altra fabbrica metalmeccanica».
Sotto il velo ipocrita della retorica di una nuova alleanza tra operai e padroni si nasconde il vecchio sistema di sfruttamento. Il ricorso al lavoro straordinario (tanto per prendere in considerazione uno degli elementi citati) negli stabilimenti FCA è una pratica consueta. Se ne fa ricorso a Pomigliano per produrre la Panda, come alla Sevel di Atessa per produrre il Ducato.

In ogni caso, alla necessità di produrre di più, l'azienda (con il sostegno dei sindacati compiacenti) risponde con un maggiore sfruttamento del lavoro e non con una redistribuzione del lavoro.

E la non sempre ampia adesione agli scioperi proclamati dalla Fiom, al netto di tutte le altre considerazioni che possono essere fatte, dimostra quanto sia difficile lottare contro la retorica della partecipazione dei lavoratori ad un comune destino con l'azienda, “stoicamente” sostenuta dai sindacati firmatutto. 

Ma, ovviamente, quella retorica avrebbe poca presa senza la lusinga di una maggiore retribuzione, che prende ora più esplicitamente forma con la proposta di Marchionne di flessibilità salariale.
La prospettiva di una maggiore retribuzione si presenta allora come la carota, che tanto affannosamente si vuole raggiungere e che allevia le ferite dei colpi inferti con il bastone. Ed il bastone, ovviamente, ce l'ha in mano il padrone e porta inciso il marchio di produzione dei governi complici che producono norme su commessa padronale. È il caso, ad esempio, dell'articolo 8 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (la cosiddetta manovra di Ferragosto del governo Berlusconi), che permette alle aziende di derogare a contratti collettivi e norma di legge per raggiungere incrementi di competitività; è il caso, ad esempio, del jobs act del governo Renzi che, con i contratti a tutele crescenti e l'abrogazione di fatto dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, introduce nell'ordinamento la libertà di licenziamento. Il combinato disposto delle politiche aziendali modello Marchionne e delle norme che regolano i rapporti di lavoro privando progressivamente i lavoratori dei loro diritti fondamentali è, appunto, il bastone di cui si parlava e con cui si possono colpire i lavoratori che dovessero rallentare la propria corsa verso la carota-premio di risultato. 

È chiaro, quindi, che nelle attuali condizioni, ogni lotta per il miglioramento delle condizioni di lavoro che prescinde da una lotta politica che ponga al centro del suo programma strumenti di contrasto del comando padronale sul lavoro, è una lotta senza successo. Una fatica di Sisifo inutile e, alla lunga esiziale.

09/05/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: @giovannimontesi53

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Carmine Tomeo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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