Germania in recessione, Italia al di sotto delle aspettative e delle vane speranze della classe imprenditoriale e politica, i paesi Ue arrancano, sono gli ultimi rilevamenti economici diffusi in questa settimana.
Meno 0,4 il Pil tedesco, Italia a +0,9, +0,8% l'Unione Europea (UE), ma nel complesso l'economia continentale risente della caduta di quella tedesca e il suo Pil cresce di poco e assai meno delle previsioni tanto, da creare problemi ai singoli Governi nella definizione delle prossime manovre di Bilancio.
Gli impatti negativi della guerra in Ucraina, il rincaro dei prezzi, l'inflazione che diminuisce ma non tanto quanto auspicato e l'aumento del tasso di interesse sono le cause di questa brusca rallentata dell'economia, senza dimenticare come il problema energetico rappresenti una delle cause principali di questa situazione.
La Commissione Europea dovrà quindi rivedere le sue politiche finanziarie ed economiche alla luce di questi dati che ormai attestano la fase recessiva nella quale siamo entrati. E paradossalmente oggi l'UE sta sperimentando quanto la riduzione del deficit e delle politiche di austerità per ridurre il debito rappresentino un fattore negativo per la crescita dell'economia.
L’economia tedesca è cresciuta negli ultimi 20 anni, molto nell'ultimo decennio. È aumentata l’occupazione, le aziende hanno incrementato le loro esportazioni guadagnando crescenti quote di mercato mondiale, ma il mancato rifornimento di gas e petrolio a buon mercato dalla Russia costituisce un problema rilevante e solo in piccola parte superato. La Germania, immaginiamoci il resto dei paesi europei, è in ritardo nella digitalizzazione e nelle tecnologie verdi. Per anni si è affidata alla Cina e alla Russia per le catene di approvvigionamento e per l'energia. L'embargo e le politiche Usa e Nato contro Russia e Cina, accettate supinamente, hanno come risultato la recessione della nazione più forte del vecchio continente e stanno trainando nella crisi altri paesi dell'Ue dipendenti dall'industria tedesca.
L'obiettivo degli Usa era quello di interrompere i rapporti commerciali tra Europa e Cina\Russia, indebolire il concorrente europeo e non solo i due paesi “nemici”. Oggi la Germania ha evidenti difficoltà anche nel rifornimento dei materiali e dei componenti indispensabili per le auto elettriche nonostante provenga da anni di massicce esportazioni di autovetture anche in aree del Globo dove fino a dieci anni fa aveva pochi spazi di mercato.
In questo contesto economico diventano problematici gli investimenti pubblici in infrastrutture, innovazione, istruzione e nuove tecnologie che rappresentano una delle principali soluzioni ai problemi incontrati. I padroni tedeschi chiedono allo Stato di fare la propria parte ma allo stesso tempo devono scendere a patti con i sindacati che pochi mesi fa hanno portato a casa aumenti salariali superiori all'8 per cento.
La ricetta dei neoliberisti è sempre la stessa: nei momenti di crisi battono cassa alle porte statali per investimenti che restituiscano forza alla produzione, politiche fiscali favorevoli, aiuti per la formazione del personale, in sostanza maggiori investimenti pubblici.
Quanto accade in Germania ci riguarda da vicino. Ignorare la recessione significa non fare i conti con le conseguenze del sostegno all'Ucraina e alla guerra per procura scatenata dalla Nato.
Nei prossimi mesi l'Ue sarà costretta a scelte dirimenti e a dare indicazioni precise ai paesi membri in materia di fisco, welfare, politiche del lavoro e spesa pubblica. Oggi più che mai lo scontro di classe si combatte non solo nei singoli luoghi di lavoro ma a livello europeo. I ritardi del sindacato, la sua deriva collaborazionista con il capitale, la mancanza di coordinamento tra i lavoratori combattivi rappresentano un problema quasi insormontabile per superare il quale sarà necessario archiviare definitivamente il classico provincialismo italico e una visione gruppettara angusta e incline alle divisioni e alla parcellizzazione delle realtà conflittuali.