Scopo di questo articolo non è quello di discutere rischi e benefici dei vaccini in generale né di questi nuovi vaccini in particolare, bensì analizzare se, in Italia, ci sono le condizioni mediche e sociali per rendere la vaccinazione contro la Covid-19 obbligatoria. La pandemia, infatti, sta generando la convinzione che per fare certe cose ci sia bisogno di essere vaccinati (oppure, in subordine, guariti o negativi al tampone) altrimenti si rappresenta un pericolo per la collettività. Se vuoi guidare l’automobile, devi prima prendere la patente, se vuoi fare il sanitario, ti devi vaccinare, se vuoi andare al ristorante devi presentare il green pass (quindi essere vaccinato, guarito o negativo al tampone).
La prima giustificazione di questo ragionamento è la seguente: se tutte le persone che possono vaccinarsi – per le quali, dunque, i benefici superano i costi – lo facessero, il virus smetterebbe di circolare. Questa asserzione, tuttavia, a prescindere dalla difficoltà pratica di realizzarla su scala mondiale, unica che conta per un virus del genere, è una mera ipotesi ancora non dimostrata. Alle case farmaceutiche, infatti, è stato chiesto di scegliere come dimostrare l’efficacia dei propri preparati: diminuendo il numero di infetti o diminuendo il numero di malati. E tutte hanno scelto la seconda opzione.
In altre parole, quello di cui siamo abbastanza sicuri è che i vaccini diminuiscono la probabilità di sviluppare la malattia Covid-19 in forma grave – in chi, di quanto e per quanto tempo, però, ancora non lo sappiamo con precisione – ma al momento, a prescindere dagli effetti avversi ancora in fase di studio che mettono a rischio la salute di chi li riceve, non è possibile dire se, ed eventualmente quanto, il loro utilizzo diminuisca la probabilità di infettarsi ed essere infettivi. Quindi la giustificazione alla vaccinazione che potremmo definire “altruistica” è priva di basi scientifiche e anzi, al momento, sembrerebbe smentita dai fatti che testimoniano come anche i vaccinati si ammalino e contagino gli altri. D’altronde, ancora non sappiamo con precisione neanche di quanto e per quanto tempo una persona guarita è protetta e in grado di proteggere gli altri. In ogni caso, chi non può essere vaccinato, se fosse protetto da chi è vaccinato, ma parrebbe non essere così, sarebbe ugualmente o forse meglio protetto anche da chi ha sviluppato gli anticorpi alla malattia semplicemente guarendo.
Il che ci porta alla domanda di fondo: volendo ipotizzare che non esistano cure alla Covid-19 (e così non è, ma questa è un altra storia) e che il vaccino e la guarigione fossero analoghi nel proteggere, oltre che se stessi, anche gli altri, che strada prendere per proteggere chi, per ragioni mediche, non si può vaccinare? In altre parole: la collettività deve decidere di lasciare il singolo individuo libero di scegliere tra inocularsi il vaccino e rischiare l’infezione naturale oppure deve imporgli la vaccinazione?
La risposta a questo interrogativo non può prescindere dalla natura della società nella quale si vive. E una società dominata dal capitale, in cui non solo i singoli individui ma anche l’autorità pubblica è sottoposta al suo controllo e siamo tutti in perenne competizione gli uni con gli altri – in sintesi, una società a-sociale – non sembrerebbe la miglior candidata a esercitare una imposizione del genere nel suo proprio interesse (essendo l’interesse dominante quello della classe dominante), per cui la cosa più saggia non potrebbe che essere quella di lasciare l’individuo libero di scegliere se proteggere gli altri vaccinandosi oppure rischiando l’infezione e l’eventuale malattia. Certo, rimarrebbe che il vaccinato non è infettivo per il solo fatto di essere vaccinato, in quanto non gli viene inoculato il virus attenuato, mentre chi si infetta naturalmente sì; ma, anche volendo prescindere dalla nostra ignoranza riguardo i nuovi vaccini a mRna, siamo sicuri che il trattamento sanitario obbligatorio per proteggere la salute degli altri non abbia effetti sulla salute, che non è solo fisica, ma anche psichica, di chi lo subisce? La risposta, visto il Paese nel quale viviamo, mi pare scontata…
Non solo, dunque, non ci sono ancora le condizioni mediche per obbligare alla vaccinazione, in quanto le incognite rimangono numerose e importanti, ma il dominio del modo di produzione capitalistico impedisce la piena realizzazione di tali condizioni. Nello specifico della lotta al Sars-Cov-2, viene impedito a medici e pazienti di scegliere tra tutti i vaccini attualmente a disposizione sul mercato mondiale, per il semplice fatto che lo scontro tra grandi potenze si combatte anche in questo campo; né possono scegliere, almeno ufficialmente, come curarsi, in quanto se il protocollo di trattamento, ancora dopo un anno e mezzo scandalosamente fermo a “tachipirina e vigile attesa”, fosse stato sostituito dalle terapie che nel frattempo si sono sviluppate, forse sarebbe stato molto più difficile autorizzare la commercializzazione di vaccini sperimentali ai sensi dell’articolo 4 del Regolamento della Commissione Europea n. 507/2006 che presuppone l’assenza di terapie.
Il secondo modo per giustificare l’obbligo vaccinale presuppone che l’inoculazione protegga unicamente chi la riceve, che dunque può infettare gli altri ma almeno evita di ammalarsi e quindi può continuare a lavorare senza generare oneri, diretti e indiretti, per la collettività. Se il sanitario si ammala, infatti, deve giocoforza stare a casa (a prescindere dal diritto giuridico alla malattia e alla retribuzione) e quindi non può lavorare, a danno del Ssn e della cittadinanza tutta (in primis del proprio datore di lavoro). Ancor peggio se muore, come successo a molti, troppi, soprattutto durante la prima ondata. In questo caso, dunque, il vaccino tutela gli altri non in forma diretta, come nel primo caso, ma in forma indiretta, in quanto consente di non sprecare risorse essenziali per la collettività.
A prescindere dal fatto che anche il vaccinato si può ammalare, sebbene meno, questa giustificazione “efficientista” – fatta propria dal presidente dell’ordine dei medici di Roma, Antonio Magi, tra coloro che rifiutano il ragionamento “altruistico” – non prende neanche in considerazione i costi, tutti da stimare, derivanti dai danni generati dai vaccini. Questo argomento, inoltre, potrebbe essere utilizzato anche per altre categorie di lavoratori e per altri vaccini, come quelli contro l’influenza stagionale, oppure anche per i comportamenti, come fumare o praticare sport estremi. Siccome questi comportamenti generano un rischio di malattia o infortunio che potrebbero mettere a rischio la prestazione del lavoratore essenziale, andrebbero proibiti. In questa (il)logica, l’autolesionista o chi tenta il suicidio, invece di essere aiutato dovrebbe essere sanzionato, non solo perché genera interruzione di pubblico servizio o produce in chi vi assiste un danno psicologico, ma perché questi comportamenti rendono potenzialmente inabili al lavoro e quindi “improduttivi” chi li pratica.
E così tornano, mutatis mutandis, le domande sul tipo di società di cui si è accennato prima e l’ignoranza (o furbizia?) di chi la dirige. Ignoranza medica da parte di governo e parlamento (in attesa della magistratura), che obbligano gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario “a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da Sars-CoV-2”, quindi a un vaccino che al momento, come visto, non c’è; ignoranza economica da parte dei sanitari che, pur sapendolo, avallano la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione dei colleghi che si autovalutano inidonei alla vaccinazione, generando sicuramente quel costo per la collettività che, altrimenti, è soltanto potenziale, dal momento che il non vaccinato non è detto che si infetti e ancor meno che si ammali (si presuppone qui la consapevolezza da parte di chi legge che il risparmio derivante dalla sospensione della retribuzione non compensa il costo generato dalla mancata erogazione della prestazione). Sanitari, dopotutto, interessati a proseguire la malagestione della sanità anche durante la pandemia; e merci-vaccino tutt’altro che finalizzate alla salvaguardia e alla promozione della salute sopra ogni altra cosa, come già argomentato in un altro articolo relativo all’obbligo vaccinale nelle scuole.