Quale giustizia? Noterelle a margine dello sciopero generale

Lo sciopero generale indetto da CGIL e UIL rappresenta un segnale di svolta o di perfetta continuità nell’alveo della concertazione? Dopo la pandemia nulla andrà tutto bene e nulla sarà come prima.


Quale giustizia? Noterelle a margine dello sciopero generale

Ci è giunto questo articolo del nostro collaboratore Federico Giusti. Lo pubblichiamo in “Dibattito” come elemento utile di discussione, precisando che il collettivo politico de La Città Futura, pur essendo critico verso la linea sindacale della CGIL, ha ritenuto che in questa fase il massimo sforzo dovesse essere indirizzato, come indicato nel nostro redazionale della settimana scorsa, alla riuscita dello sciopero generale. Crediamo infatti che le importanti astensioni dal lavoro e la partecipazione alle manifestazioni che si sono verificate potrebbero avere un peso sul livello dello scontro di classe dei prossimi mesi, a prescindere dalle posizioni che assumerà la CGIL. Un fallimento avrebbe avuto invece ripercussioni negative.

Pochi giorni prima dello sciopero generale il governo ha convocato CGIL, CISL e UIL per il 20 dicembre, un incontro sulla riforma del sistema previdenziale.

Il tema unificante dello sciopero è quello della unità dei lavoratori per la giustizia, ma di quale giustizia stiamo parlando?

Non entreremo nel merito dello sciopero, se sia giusto o errato parteciparvi. Di solito i comunisti un tempo erano laddove si manifestava il conflitto sociale e di classe, tuttavia qualche dubbio sulla natura conflittuale dello sciopero potrebbe anche sorgere guardando al sostegno della CGIL al governo Draghi, al ripristino concordato dei licenziamenti collettivi e degli sfratti.

Forse siamo animati da pregiudizi e non riusciamo a cogliere la svolta della CGIL, ma l’operato della massima organizzazione sindacale induce a serie riflessioni sulla natura del sindacato all’interno delle società capitaliste e anche sullo strumento dello sciopero generale.

Pensiamo ai sindacati conflittuali in paesi come Grecia, Olanda, Belgio e Francia, alle loro posizioni critiche verso la gestione della pandemia nei paesi UE o verso l’utilizzo del Foglio Verde. Ammesso che siano gli altri ad assumere posizioni errate, vogliamo chiederci a cosa abbia portato l’arrendevole collaborazione della CGIL con il governo Draghi.

Dei licenziamenti collettivi abbiamo già parlato; potremmo riflettere sulle migliaia di licenziamenti arrivati da Luglio a oggi. Sovente ci siamo soffermati sulle modalità, non certo ortodosse, con le quali sono avvenute le comunicazioni. Preferibile sarebbe invece discutere sul silenzio attorno alla fedeltà aziendale e all’obbligo di cieca obbedienza verso il potere datoriale, da cui scaturiscono sospensioni e licenziamenti di tanti lavoratori e delegati.

Una giustizia degna di questo nome dovrebbe partire dai luoghi di lavoro e dalla società ove invece crescono abusi, disuguaglianze se non veri e propri soprusi.

I padroni sono sempre più forti. I 40 anni di neoliberismo hanno indebolito non solo il potere d’acquisto ma circoscritto ai minimi termini il potere contrattuale. Il sistema delle deroghe ha non solo indebolito il contratto nazionale ma potenziato la contrattazione di secondo livello, funzionale ad alimentare il welfare integrativo a discapito di quello universale. La sanità integrativa viene preferita alla rivendicazione della sanità pubblica e gratuita mentre dovremmo affermare, una volta per tutte, il diritto alla cura.

A leggere le motivazioni dello sciopero viene in mente che dalla pandemia sono proprio i lavoratori a uscire con le ossa rotte. Il potere d’acquisto dei salari è in continua erosione, i rinnovi contrattuali avvengono con un sistema di calcolo, il cosiddetto codice IPCA, costruito ad arte per impedire sostanziali aumenti del salario. Veniamo da 30 anni di lenta erosione del potere d’acquisto ma sulle modalità di rinnovo dei contratti non viene spesa una parola. Mentre si sciopera continuano le trattative sindacali nella pubblica amministrazione e nel privato.

Aveva ragione un vecchio delegato a dire, in una assemblea cittadina per il No Draghi day, che gli scioperi di oggi si differenziano rispetto a quelli di 50 anni fa perché non possono bloccare il paese. Le responsabilità di questo arretramento conflittuale sono innumerevoli ma urge ricordare le normative che limitano l’esercizio di sciopero, i continui interventi della Commissione di garanzia che ne limita l’indizione a pochi settori, un quadro normativo costruito, insieme a CGIL, CISL e UILl, per ridurre l’efficacia degli arresti produttivi e della astensione dal lavoro.

Una battaglia per la giustizia dovrebbe tenere conto di questi aspetti non secondari. Proviamo a riassumerli: potere di acquisto e di contrattazione, salari non da fame e salario minimo sotto il quale non scendere, piena libertà di sciopero, abrogazione dei codici etici e di comportamento che insieme all’obbligo di fedeltà impediscono l’azione conflittuale nei luoghi di lavoro.

Piaccia o non piaccia, questi temi sono invece estranei allo sciopero del 16 dicembre, si parla di giustizia in senso astratto, quando viene criticato il governo per la manovra fiscale non viene costruita una iniziativa reale nel paese finalizzata a una proposta di tassazione che colpisca i grandi redditi, perché la progressività sia reale, a partire dall’aumento delle aliquote fiscali per i redditi più elevati, la cui riduzione è stata una autentica vittoria padronale che ha alimentato le disuguaglianze salariali e sociali.

Lo stato di precarietà non viene scalfito dalle manovre governative, basterebbe pensare al PNRR che prevede un pacchetto di assunzioni a tempo determinato mentre il ministro Brunetta non scorre le graduatorie concorsuali e annuncia invece nuovi processi di esternalizzazione dei servizi, divenuti quasi obbligatori con il decreto concorrenza.

Fisco, pensioni, scuola, politiche industriali, delocalizzazioni, precarietà del lavoro, giovani, donne, non autosufficienza, sono questi i buoni motivi per i quali scendere in piazza il 16 dicembre, come troviamo scritto su tanti siti e manifesti della CGIL.

Ma le proposte sindacali sono veramente finalizzate a costruire una società equa e senza disuguaglianze, un welfare universale, una scuola aperta e funzionante, una sanità capace di assicurare il diritto universale di cura?

Se guardiamo alla sostanza, all'operato della CGIL viene il dubbio che con troppo ritardo abbiano percepito la vera natura del governo Draghi, non vogliano insomma prendere atto che la sudditanza italiana agli USA e alla BCE sono il problema principale occultato se non addirittura rimosso.

Insieme per la giustizia e per riformare il paese: a crederci sono i dirigenti della CGIL, ma di quale riforma stiamo parlando? Viviamo in un paese che da due anni si trova in uno stato di eccezione. Il governo va avanti a colpi di decreti, sostenuto da una maggioranza innaturale; tutti i partiti concordano sul pareggio di bilancio in Costituzione e sulla lotta al debito. Non ci sembra che i sindacati siano stati in disaccordo con questi principi avendo sottoscritto per decenni contratti con aumenti irrisori.

Al di là della partecipazione allo sciopero, la domanda a cui rispondere resta un’altra: cosa farà la CGIL dopo il 16 dicembre? Si limiterà a uno sciopero per poi sedersi ai tavoli governativi e strappare qualche microconquista presentandola come il grande risultato della mobilitazione di piazza? Non sarebbe la prima volta che accade: siamo abituati a scioperi finalizzati a riaprire le trattative con il governo. Del resto lo sciopero serve anche a questo scopo se non fosse che i risultati ottenuti ai tavoli di trattativa si sono dimostrati tutt’altro che avanzati perfino in un’ottica moderata e riformista.

È lecito credere a una organizzazione sindacale che mentre sciopera lancia messaggi al governo su pensioni, welfare, fisco e contratti? E dove sarebbe il segnale di rottura rispetto alle politiche degli ultimi due anni?

Sono domande dirimenti e meritevoli di risposta, perché se si chiamano alla lotta i lavoratori, poi le lotte dobbiamo sostenerle con convinzione, altrimenti la classe operaia finirà nel riflusso diventando ostaggio e preda dei lupi. E Landini, in tale caso, sarà come Pierino che invocava aiuto per difendere il gregge salvo poi deridere quanti erano accorsi in suo aiuto?

Ma il giorno in cui i lupi arrivarono veramente, Pierino (leggi Landini) non fu più creduto dai suoi concittadini (leggi classe lavoratrice) e il gregge (gli interessi delle classi sociali meno abbienti) venne sbranato. La classe lavoratrice italiana è forse destinata a essere divorata dagli interessi capitalistici e padronali o finirà nella rassegnazione non credendo alle promesse sindacali? Lo capiremo quanto prima, nel frattempo ci auguriamo di sbagliare.

17/12/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Federico Giusti

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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