In margine al congresso Anpi di Paullo

Da un congresso locale dell’Anpi, emerge l’ipocrisia delle forze politiche di centro-sinistra, che si dichiarano antifasciste a seconda della loro convenienza, ma portano avanti politiche governative revisioniste dove il valore dell’antifascismo è considerato anacronistico e non viene tutelato.


In margine al congresso Anpi di Paullo

Anche quest’anno al congresso dell’Anpi di Paullo il rappresentante del locale circolo del Pd, Giuliano Spinelli, è intervenuto presentando le sue credenziali di antifascista per discendenza familiare, come lo furono, cioè, il nonno e il padre. Proseguendo nel suo intervento ha precisato che l’antifascismo ci consegna il valore permanente dell’unità delle forze politiche nazionali. Affermazione, questa, quasi provocatoria per l’Anpi perché rimanda al variegato arco di forze che sostengono un governo di Unità nazionale in cui una parte decisiva considera l’antifascismo un valore anacronistico giacché il fascismo è caduto ormai 77 anni fa. Anzi, dicono Salvini e Berlusconi (segretari nazionali di partiti al governo), non ha più senso la festa della Liberazione e, al suo posto si dovrebbe celebrare la festa della Concordia Nazionale! Caro Spinelli, la coperta è corta e l’unità cui alludi non copre quasi nessuna forza dell’arco costituzionale. E non vale dire che però questo governo non comprende Fratelli d’Italia, il partito che mantiene un esplicito legame ideale col fascismo, perché questo partito, pur invitato al governo, ha deciso sua sponte di restarne fuori. Solidamente ancorato all’unità di centro-destra con Fi e Lega, è inutile negarlo, trasmette loro la sua infezione.

Cantieri aperti

Vien da notare che, nonostante il governo di “unità nazionale”, in Italia esistono diversi cantieri unitari in costruzione: quello di centro-destra è nella fase più avanzata. Sono chiari e fermi i punti di un progetto conservatore e reazionario: sul piano interno, repubblica presidenziale e riscrittura della Carta costituzionale, regolamentazione dei sindacati, tasse uguali per tutti sicché i ricchi possano pagare di meno ecc.; sul piano internazionale, rafforzamento nell’Unione Europea della posizione dei paesi europei più reazionari, Polonia, Ungheria, Romania, Paesi Baltici, dichiaratamente disposi a una revanche contro la Russia. 

C’è poi un cantiere di centro-sinistra, il cui perno è il Pd che mira a saldare, a partire dal piano elettorale, una unità con i 5 Stelle e forse con Renzi. In politica interna si propone un programma neoliberista (confuso, ma poi ci penserà Confindustria…) e in politica estera si reiterano la lealtà verso gli Stati Uniti e le sue mire unipolari a livello globale [1] e l’adesione dell’Italia a uno stato sovranazionale, quell’Unione Europea tanto coesa da non essere in grado di elaborare un suo progetto costituzionale che, ahi! ahi!, dovrebbe necessariamente essere sottoposto al voto dei cittadini europei!

Infine due parole sul cantiere più confuso, quello della sinistra. Il problema è stantio e implica una scelta non matura: se non ci sono i comunisti non c’è sinistra, se ci sono i comunisti non c’è visibilità.

Differenze

No, caro Spinelli, chiariamo la profonda differenza tra la logora schermaglia per formare coalizioni elettorali e i processi unitari veri e propri come quelli che saldarono l’unità antifascista. Questa unità si realizzò quando le vicende storiche misero il popolo italiano di fronte a nodi che ne impedivano la rinascita e lo sviluppo. Allora emersero dirigenti politici di altissimo profilo intellettuale capaci di grandi sintesi politiche intorno ai destini del paese. Ci si mise d’accordo sulla forma di governo, sul riconoscimento delle autonomie locali, sul ruolo dell’Italia nel consesso delle altre nazioni, sulla democrazia parlamentare e non presidenziale, sui limiti del libero mercato, sul ruolo dello Stato in economia, sulla promozione delle classi lavoratrici, sui diritti dei cittadini e delle donne. Su questi e su altri non meno importanti temi i nostri “padri costituenti” trovarono l’accordo. Dopo la guerra di liberazione lo scrissero nella Costituzione, e lo posero a referendum universale, manifestandolo chiaramente al popolo. In queste sintesi le contrapposizioni ideologiche lasciarono il campo a progetti strategici comuni di lunga durata. Noi ci dobbiamo solo rammaricare che l’Unità antifascista sia finita così presto [2], ma l‘esperienza comune in qualche modo consolidò rapporti, anche personali, tra i dei partiti dell’arco costituzionale. In tante occasioni si cercò di rivitalizzarla per superare gravissime crisi: Aldo Moro, Benito Zaccagnini, Enrico Berlinguer, il compromesso storico sono nomi e fatti che, caro Spinelli, ti dovrebbero dire ancora qualcosa.

Negli anni Quaranta del secolo scorso, eventi tragici – a scala globale – influenzarono gli orientamenti di tutte le espressioni politiche italiane che fino al 1943 esistevano solo in esilio essendo loro impedito di manifestarsi in Italia dal regime fascista. Ma dagli esili, dai confini, dalle prigioni, dai lager nazisti riprese la rielaborazione di una strategia politica di un progetto di trasformazione politica e sociale di un paese dalle rovine sociali, politiche e materiali che il fascismo lasciava in eredità. Se chiediamo a noi stessi come fu possibile, in un frangente storico tanto divisivo, elaborare una strategia politica innovativa e unitaria, non si può non riconoscere il ruolo di alcuni altri fondamenti essenziali. Abbiamo già parlato della grande levatura intellettuale, ora mette conto di aggiungere della grande esperienza internazionale, della fede nella vittoria che animava i gruppi dirigenti dei partiti politici italiani, dell’esperienza di lotta e dell’organizzazione clandestina di quelli tra costoro che ebbero l’occasione di viverla. Decisiva, però, fu la rivalutazione del ruolo che avrebbero avuto, subito dopo la Liberazione i grandi partiti di massa. Abbiamo tanto vissuto l’era dei partiti di massa che questa soluzione ci sembra, ancor oggi “ovvia e naturale”. Invece essa dovette superare grandi ostacoli. Per esempio, si dovette superare la repulsione istintiva per qualsiasi ricordo della ben misera democrazia liberale prima del fascismo, in cui i partiti di massa avevano iniziato a organizzarsi. Si trattava di evitare il pericolo di gettare il bambino con l’acqua del secchio. Infatti si comprese che, senza i partiti di massa, strumenti di educazione e di partecipazione politica delle masse, tra le quali si stemperano le differenze ideologiche, gli ideali unitari non avrebbero potuto né crescere, né lasciare un’impronta visibile e si sarebbe consegnato il paese nelle mani delle vecchie conventicole liberali che, col loro fallimento, avevano aperto le porte al fascismo.

Verso il partito unico?

È ora possibile confrontare le classi politiche di quell’epoca con le attuali. Molta acqua è passata sotto i ponti e la realtà economico-sociale è cambiata. I partiti di massa sono crollati spesso miseramente, sostituti da partiti personalistici ove quel che conta è la scelta dei candidati più “carismatici”, più “visibili” e accettati dall’opinione pubblica onde è svilito il confronto sulle idee che interpretano le aspirazioni di emancipazione delle grandi masse. Rimangono solo richiami a programmi elettorali ridotti a slogan sotto grandi fotografie dei candidati.

Discutiamone senza preconcetti e il Pd ci aiuti a riconoscere che “la realtà è ancora razionale” (dunque comprensibile e modificabile) anche se i movimenti politici rinnegando le sempre “fallaci ideologie” abbandonano ogni progetto di rappresentare i veri interessi nazionali, che sono quelli delle classi lavoratrici, dalle quali sono ripagati con l’astensionismo elettorale. Vero che ora il dibattito politico nazionale ruota attorno alla necessità di superare l’antinomia fascismo-antifascismo, di eliminare il 25 aprile, per ricondurre tutto e tutti a una sorta di “partito unico” in difesa dell’ennesimo governo conservatore che, sul piano sociale cronicizza bassi salari, alti tassi di disoccupazione e di precarietà del lavoro ed è imbelle rispetto a una crescente inflazione. Tuttavia, ciò che logora la democrazia in Italia è anche che i partiti “personalistici” non realizzano mai le promesse che fanno agli elettori. Si veda il caso di Paullo dove l’amministrazione comunale consente la posa di immani colate di cemento ai suoi confini, sradica il verde e si ritrae dall’impegno dello sviluppo “qualitativo” di una città. E l’amministrazione comunale dei “bla bla bla” trasferisce questo titolo anche al Pd che promette uno sviluppo “green” ma mantiene la tradizionale “cementificazione” del suolo in periferia.

 

Note:

[1] In generale, la politica estera che una parte del centro-sinistra continua a sostenere non coincide con le mire di fondo di Francia e Germania, che invece sono interessate all’emancipazione dell’Europa dall’egemonia Usa a partire dalla regolazione autonoma dei rapporti con Russia e Cina.

[2] Col viaggio di De Gasperi a Washington e la fine della partecipazione dei comunisti e dei socialisti al governo.

07/01/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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