Si sta chiudendo la prima fase del X Congresso del Partito della Rifondazione Comunista. Nei Comitati Politici Federali, abbiamo spesso assistito al tentativo di delegittimare la presentazione del secondo documento congressuale.
Perché non c’è un congresso unitario?
Alcuni degli argomenti sono ormai dei “classici”, ripetuti a ogni congresso: in un momento di così grande crisi servirebbe un segnale di unità, non la frammentazione, non la contrapposizione di linee politiche. E ancora, le compagne e i compagni che poi hanno firmato il secondo documento hanno chiesto il congresso a tesi, ma non hanno fornito la formula matematica per calcolare i delegati con le tesi emendabili.
Queste critiche ci appaiono strane. Una proposta tecnica per la ripartizione dei delegati è stata effettivamente portata alla Commissione Regolamento, ma è evidente che il problema non è tecnico, il problema è politico. C’è stata una precisa volontà di ripetere le stesse modalità congressuali che hanno portato, congresso dopo congresso, alla scissione di vari gruppi di compagni e che hanno portato, soprattutto, molti compagni che restano militanti del PRC ad avere l’impressione che sia “sempre lo stesso congresso, sempre la stessa discussione”. Le stesse modalità che non hanno mai permesso di fare una sintesi politica, che hanno imposto la linea della maggioranza, che hanno incancrenito i rapporti tra “governo” e “opposizione”.
Nella sua relazione all’ultimo Comitato Politico Nazionale, il compagno Segretario Nazionale Ferrero ha poi aggiunto un elemento nuovo: il congresso a tesi non si può fare perché i circoli non sarebbero in grado di affrontare la discussione, perché sarebbe impossibile fare una relazione a favore e una contro per ogni emendamento. Viene da chiedersi come si possa immaginare di fare del PRC un partito che vuole costruire il socialismo del XXI secolo se si pensa che i suoi militanti non siano in grado di sostenere una giornata di discussione politica!
L’autocritica necessaria e la nostra proposta elettorale
Il secondo punto su cui viene attaccata la presentazione del secondo documento è l’attribuzione della responsabilità della crisi politica e organizzativa del Partito a Paolo Ferrero in persona. Effettivamente, alcuni sostenitori del primo documento sostengono anche che non ci sia alcuna crisi politica e organizzativa, che il passaggio da quarantacinquemila a diciassettemila iscritti sia una naturale conseguenza dei tempi che corrono, tra crisi economica e qualunquismo galoppante.
Va innanzitutto notato che il secondo documento non intende attaccare personalmente Paolo Ferrero o la categoria generica dei “dirigenti”, sarebbe d’altra parte inutile nascondere che tra firmatari e sostenitori molti abbiano avuto ruoli dirigenti dal livello centrale a quello locale. Il problema non è quindi attaccare una singola persona, il problema è essere capaci di fare autocritica, di imparare dai nostri errori.
Il primo documento, invece, afferma più volte di voler “ripartire dai fondamentali” e di voler dare una nuova prospettiva all’idea di socialismo verso cui deve tendere il Partito della Rifondazione Comunista. Aldilà degli annunci, però, abbiamo trovato la riproposizione della linea degli ultimi anni, del Piano del Lavoro e della campagna “I Soldi Ci Sono”. Si riafferma dunque una generica linea di redistribuzione della ricchezza indipendentemente dai rapporti di forza tra le classi. È totalmente assente un bilancio di queste due campagne. Qual è stato il riscontro presso le altre forze politiche? Presso le organizzazioni sindacali? Presso i movimenti? Soprattutto, qual è stato il riscontro tra le proletarie e i proletari degli anni ’10?
Un po’ amaramente si potrebbe concludere che queste campagne non solo non hanno convinto nessuno all’esterno del PRC, ma non hanno convinto neanche le decine di migliaia di compagne e compagni che non hanno più rinnovato la militanza per la Rifondazione Comunista.
L’autocritica che vogliamo esercitare, quindi, non è l’autoflagellazione di un singolo Segretario, a cui peraltro non possiamo che riconoscere la generosità, ma la presa d’atto collettiva di aver imboccato delle strade sbagliate, su cui abbiamo disperso il nostro patrimonio di militanti e su cui abbiamo lasciato senza fiato e demoralizzati i compagni restanti. L’autocritica che chiediamo deve essere un ritorno collettivo a praticare l’unità delle lotte prima che l’unità dei ceti politici.
In molti dibattiti di questi giorni ci è stato chiesto quale fosse la nostra proposta sul piano elettorale; ci è stato rinfacciato di non avere una risposta pronta e univoca. Sarebbe troppo facile rispondere solo che i sostenitori del primo documento cambiano referenti del “soggetto unitario ma non unico della sinistra” a seconda di come si sono svegliati D’Alema, Vendola e Fassina. La nostra risposta è che la proposta elettorale viene rivolta a tutti coloro che condividano il programma minimo di fase (che nel nostro documento è chiaramente presentato) elaborato dal partito; ribadiamo in ogni caso che tale proposta elettorale, proprio per la diversità anzitutto di metodo che propone, ha credibilità solo se seguita dall’autocritica collettiva e dalla rimessa al centro della proposta politica dell’organizzazione del conflitto sociale come prima pratica del Partito.
Alessandro Pascale ha fatto parte della Commissione Politica del X Congresso del PRC
Paolo Rizzi è membro del Coordinamento Nazionale dei Giovani Comunisti