Una svolta decisiva nel secolo breve

Il 1956 è stato un punto di svolta del secolo breve che si chiude nel 1991 con la fine dell’Urss. 


Una svolta decisiva nel secolo breve

Il secolo breve – inaugurato dalla Rivoluzione di Ottobre, quale uscita a sinistra dalla grande crisi del capitalismo culminata nella Prima Guerra Mondiale – si chiude nel 1991 con la mesta fine dell’Urss. Il 1956 è stato certamente un vero e proprio punto di svolta nel confronto-scontro fra un vecchio modo di produzione che non muore e un nuovo che non è ancora in grado di affermarsi. A sessant’anni di distanza è opportuno tornare a riflettere su tale drammatica svolta storica, per meglio comprendere la genesi del mondo contemporaneo.

di Renato Caputo

Il 1956 è innanzitutto l’anno del XX congresso del Partito Comunista dell’Urss. Tale assise rappresenta una profonda svolta nella storia della transizione al socialismo, che vede come protagonista Nikita Krusciov, il segretario del PCUS, che si afferma come nuovo leader del Paese. Nel corso del celebre discorso pubblico pronunciato da Krusciov, viene annunciata una clamorosa svolta nella storia di un Paese sorto per rompere la catena dei Paesi imperialisti nell’anello più debole, per favorire una rivoluzione nei Paesi a capitalismo avanzato, permettendo così l’affermazione a livello mondiale del modo di produzione socialista.  

Abbandonando tale originaria vocazione rivoluzionaria globale, Krusciov lancia una politica decisamente diversa, improntata alla distensione della lotta di classe a livello internazionale, fino ad arrivare ad una rapida conclusione della Guerra Fredda, per conseguire una coesistenza pacifica fra Paesi in transizione al socialismo e potenze imperialiste. L’eccezionale sviluppo delle forze produttive – garantito da un pacifico sviluppo in senso socialista di un blocco di Paesi liberatisi dalle contraddizioni strutturali che tendono a soffocare i Paesi a capitalismo avanzato – avrebbe consentito ai primi di affermarsi rapidamente sui secondi, divenendo un modello da seguire a livello internazionale. Del resto l’eccezionale sviluppo economico, tecnologico e scientifico, che aveva consentito all’Urss prima di infliggere una decisiva sconfitta alla belva nazi-fascista, poi di divenire la seconda potenza mondiale, tallonando in diversi settori sempre più da vicino la prima, favoriva il deciso prevalere dell’ottimismo della volontà sul pessimismo della ragione.

Tale svolta, da parte del Paese guida nel blocco socialista, avrebbe dovuto comportare un’analoga svolta nella politica dei partiti comunisti nei Paesi capitalisti, che non avrebbero più dovuto mirare alla rivoluzione, ma avrebbero dovuto utilizzare gli strumenti della democrazia parlamentare per ampliare gli spazi di democrazia sino a raggiungere progressivamente il socialismo. 

Ancora maggiore scalpore doveva provocare il rapporto segreto di Krusciov, destinato ai massimi dirigenti dei partiti comunisti degli altri Paesi, in cui il principale dirigente sovietico si cimenta in una vera e propria demolizione del mito di Stalin. Quella che era stata una delle figure più rivelanti e stimate del comunismo internazionale, oggetto di un vero e proprio culto della personalità, generalmente rispettato persino dai rappresentanti politici internazionali della borghesia, viene demonizzato, addossandogli la responsabilità di tutti gli errori del passato. 

Dunque Stalin – che in modo altrettanto unilaterale era stato sino ad allora osannato, in primo luogo in Urss, come il principale protagonista della transizione al socialismo, della sconfitta del nazi-fascismo, dell’espansione a livello internazionale del campo socialista – è ora dipinto, dal suo più significativo successore, come un mostruoso despota che aveva governato con metodi terroristici. Del resto la tattica di addossare al vecchio dirigente morto tutte le colpe della passata gestione del potere, era indispensabile per inaugurare un nuovo corso – reso necessario da uno stato di eccezione protrattosi troppo a lungo – e per presentare come composta da uomini nuovi una dirigenza in larga parte composta da politici che avevano avuto ruoli di responsabilità anche nella passata gestione. 

Il rapporto, come era facilmente prevedibile, è fatto pervenire da esponenti del partito comunista polacco, i più ostili per ragioni storiche al ruolo guida della Russia, agli USA che lo diffondono a livello mondiale facendone il principale cavallo di battaglia della crociata contro il comunismo, considerato, come il nazismo, fautore di regimi totalitari. Nella Guerra Fredda, a livello delle sovrastrutture, ciò ha dato un vantaggio indubbio agli Stati Uniti, il Paese che aveva scatenato il conflitto tra i due blocchi e lanciato una vera e propria caccia alle streghe contro gli intellettuali di sinistra.

Inoltre, la demolizione del mito di Stalin non poteva che travolgere i suoi eredi, ovvero i dirigenti di un Paese e un partito che sarebbero stati, nella maggior parte della propria storia, forgiati da un simile mostro. Il prestigio internazionale di un Paese generalmente stimato, per l’eccezionale sviluppo delle forze produttive e il contributo decisivo dato alla sconfitta della belva nazi-fascista, precipita. Di ciò approfittano immediatamente le forze che meno tolleravano il ruolo guida esercitato dall’Urss sui Paesi in transizione al socialismo. Ciò porta al rovesciamento di quelle leadership che si erano affermate unicamente grazie al sostegno dell’Urss diretta da Stalin.

Particolarmente animate sono le proteste in Polonia, che ottengono il sostegno anche di settori operai, dal momento che in questo Paese vi è una secolare rivalità con la Russia ed è ancora vivo il ricordo dell’aggressione subita a seguito del patto Ribbentrop-Molotov. I comunisti polacchi riescono a impedire un precipitare della situazione chiedendo ai russi di farsi da parte e rimettendo alla guida del Paese Gomulka, dirigente comunista arrestato con l’accusa di titoismo, ossia per aver cercato uno sviluppo del socialismo autonomo.

Sull’onda delle proteste di piazza in Polonia, anche in Ungheria gli scontenti e gli oppositori hanno invaso le piazze. La protesta, che assume sempre più i contorni della rivolta, impone le dimissioni ai dirigenti del Paese, considerati un residuo dello stalinismo; al loro posto torna in carica Nagy, dirigente comunista che all’inizio degli anni Cinquanta era stato arrestato in quanto troppo innovatore e autonomista, e Kàdar, anche lui messo da parte nell’epoca precedente. 

Le truppe sovietiche, chiamate dalla dirigenza fedele a Mosca, sono allontanate dal Paese da una imponente manifestazione popolare. Nagy nel frattempo crea un governo di coalizione, consentendo ai partiti politici messi fuori legge di riorganizzarsi e togliendo ogni limitazione alle attività della Chiesa cattolica, che in Ungheria aveva avuto pesanti responsabilità nel passato regime clerical-fascista.  Quando il governo presieduto da Nagy proclama la neutralità dell’Ungheria e l’uscita dal Patto di Varsavia, è lo stesso Kadàr, alla direzione del partito comunista, a chiedere ai Paesi socialisti di aiutarlo a riportare ordine nel Paese, per sviluppare in Ungheria una soluzione simile a quella realizzata in Polonia. 

Tali tragici eventi cominciano a incrinare i rapporti fra i due principali Paesi impegnati nella transizione al socialismo: l’Urss e la Repubblica Popolare Cinese. I dirigenti della RPC, dopo i fatti di Ungheria e la demolizione del mito di Stalin che aveva per anni diretto il movimento comunista internazionale, sostengono che debba considerarsi concluso il ruolo guida dell’Urss e che occorra stabilire rapporti paritari fra i Paesi socialisti.

Nel 1956, in corrispondenza del disgelo e per ampliare la base sociale del governo, Mao inaugura la politica dei cento fiori con queste celebri parole: “che cento fiori sboccino, che cento scuole liberamente si affrontino”. Questa apertura, invece di avvicinare gli intellettuali al partito, favorisce gli attacchi sempre più duri rivolti alla dirigenza comunista da ambienti culturali e dalla burocrazia statale, oltre che dalle altre formazioni politiche, cui si è lasciata maggiore libertà di azione.

Nel frattempo, considerando come un segnale di debolezza la nuova linea sovietica improntata alla destalinizzazione e alla distensione, gli Usa – dove ha nuovamente vinto le elezioni il rappresentante delle destre, l’ex generale Eisenhower – inaspriscono la Guerra Fredda instaurando a Taiwan una base con missili atomici puntati contro la RPC. I comunisti cinesi si sentono tagliati fuori dalla distensione dei rapporti di Kruscev con gli Usa, in quanto la nuova direzione sovietica non li appoggia, come avrebbero sperato, nell’acutizzarsi del conflitto con gli Usa, non dando seguito alla promessa di sostenere la Cina nella costruzione della bomba atomica, decisiva per dissuadere gli statunitensi dalla guerra atomica che minacciavano.  

Se, dunque, la profonda cesura del 1956 consente all’Urss di ristabilire buoni rapporti con la Jugoslavia, provoca un progressivo guastarsi dei rapporti con l’Albania e soprattutto con la Cina, che porterà a infrangere l’unità antimperialista fra i Paesi socialisti. Di ciò approfitterà la spregiudicata politica estera statunitense volta a isolare l’Urss, ristabilendo i rapporti diplomatici con la RPC. Il successivo scontro anche militare fra Paesi socialisti, che coinvolgerà oltre a Urss e RPC, anche Vietnam e Cambogia, favorirà il successo degli Stati Uniti nella Guerra Fredda.

Anche nel nostro Paese i tragici eventi del 1956 provocano dei sostanziali mutamenti del quadro politico. L’unità delle sinistre contro i governi democristiani si rompe per sempre dopo che, sfruttando i tragici eventi ungheresi, le forze anticomuniste del Psi prendono il sopravvento. Ciò porterà una parte della Dc, interessata a emarginare il Pci, a cominciare a considerare favorevolmente un governo di centro-sinistra.

Gli eventi ungheresi segnano anche un forte indebolimento della capacità di egemonia del Pci sulla società civile. Diversi intellettuali tradizionali, che si erano avvicinati al Partito comunista, per il ruolo decisivo da esso svolto nella Resistenza, prendono definitivamente le distanze da esso. La contraddizione apertasi nel Pci fra il suo nascere come partito rivoluzionario e il suo condurre la lotta politica nel rispetto delle istituzioni parlamentari sancite dalla Costituzione, di cui era divenuto il massimo sostenitore, si risolve. Dopo l’emarginazione dell’ala sinistra del partito ( l’ala rivoluzionaria cui fanno riferimento diversi ex-partigiani) accelerata dopo la morte di Stalin, la demonizzazione di quest’ultimo e la coesistenza pacifica con i Paesi imperialisti segnano la sostanziale liquidazione della linea leninista-rivoluzionaria. La via italiana al socialismo, tracciata dallo stesso Togliatti prima di morire, si fonda sulla speranza di poter arrivare al socialismo mediante riforme di struttura, senza rompere con la democrazia parlamentare borghese.

D’altra parte, il 1956 segna un decisivo passo avanti della lotta antimperialista e anticolonialista portata avanti dai popoli del sud del mondo con il sostegno delle forze comuniste. All’acuirsi del conflitto per la liberazione del Vietnam e dell’Algeria, fa riscontro una decisiva battuta d’arresto del tentativo di riaffermare con la violenza il colonialismo con l’occupazione del canale di Suez. Le truppe sioniste sono costrette a ritirarsi dalla striscia di Gaza e dal Sinai, mentre gli anglo-francesi devono lasciare precipitosamente il canale di Suez, anche per l’ultimatum lanciato dall’Urss ai tre aggressori. La rottura dei rapporti diplomatici dell’Urss con Israele – Stato che aveva contribuito, forse in modo decisivo, a creare – consente un riavvicinamento fra le forze comuniste e il nazionalismo arabo nella lotta contro l’imperialismo.

La sconfitta di questo tentativo di rilanciare il colonialismo, dopo la disfatta del progetto nazi-fascista di rilanciarlo su scala globale, è molto importante anche per lo sviluppo delle lotte antimperialiste nei Paesi capitalisti. Così in quegli anni, alle lotte in sostegno delle forze antimperialiste vietnamite e algerine si affiancano, negli stessi Stati Uniti, le lotte per i diritti civili, in primo luogo quelle della popolazione di colore, che non accetta più lo stato di sostanziale apartheid in cui vive.

26/02/2016 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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