Sanremo, 67esimo festival della canzone italiana. Share oltre il 50 %. Metà del Paese indotta, oltre che da un rituale che si rinnova ormai da troppi anni, anche dalla curiosità generata dall’invasione dei commenti a tamburo battente provenienti dai media e spammati sui network. Stesso canale, stessa ora, per cinque giorni, fino a tarda notte. La kermesse più famosa del Paese, anche quest’anno, ci ha inondato di gossip, tentando l’intorpidimento delle coscienze di intere famiglie, ma anche di single nostrani, ipnotizzati sul divano di casa. E anche questo è rituale. C’ero anch’io incollata al monitor che trasudava di stereotipi nazional -popolari. C’ero, perché sommersa dalla curiosità sui motivi che inchiodano periodicamente mezz’Italia ad uno schermo al plasma. Cinque serate trascorse a riflettere sul caso Sanremo, più che a sentire canzonette e a osservare le passerelle delle star.
Sanremo non è solo kermesse, è un caso da manuale. Un fenomeno antropologico e sociologico. Parimenti vi si possono assimilare le performance calcistiche i cui effetti più evidenti sono le appartenenze ai clan, che si traducono in “squadre del cuore”, generando quelle tifoserie che sono altresì lo specchio di un Paese depauperato del sano strumento gramsciano della cultura popolare, la cultura degli umili (Antonio Gramsci e il folclore: i contributi gramsciani allo sviluppo dell'antropologia italiana attraverso Lettere e Quaderni). In entrambi gli spettacoli viene esercitata un’induzione talmente affascinante sullo spettatore medio e vittima dei media, dal potere così distraente e fuorviante da esserne fagocitati. Si declina così il “cogito ergo sum” cartesiano in “pallone ergo sum” o in “festival ergo sum”. Festival della musica e partite calcistiche, performance entrambi popolarissime i cui guru indossano le vesti del potere. E quasi mai alla vista dell’ignaro spettatore “il re è nudo”.
Sanremo è uno dei fenomeni che, nella società liquida, deprivata della concretezza e delle sicurezze, cambia la prospettiva dell’esistenza, altera ed edulcora una realtà aliena e ostile ai diritti sociali. Siamo nella post modernità, nella società liquida descritta da Zygmunt Bauman. La fa da sovrana la crisi del pensiero autonomo e della partecipazione alla vita della collettività, che genera privatizzazione, disinteresse e paura. I sintomi si avvertono chiaramente anche nella cuccia dell’immagine patinata di un festival. In una kermesse musicale, ove si recita e si enfatizza il culto dell’immagine. E tutto ne appare subordinato.“L’ente ha ceduto il posto all’evi-dente”, afferma Guy Debord nel suo saggio “La società dello spettacolo”.
L’immagine festaiola che strumentalizza la musica, così come la competitività del gioco del pallone che genera falsi idoli, creano un immaginario che diventa un modus vivendi. È l’immaginario a prevalere. Immaginario sicuramente superficiale, invasivo, che genera illusioni e che nella visione distorta che se ne riporta diventa reale. È la vista, il senso più immediato e potente a bearsene, ma è il “velum” che mistifica la realtà. Che la altera in una performance, regalandoci un prodotto che è un “falso di un pessimo autore”. “Lo spettacolo, come tendenza a far vedere per il tramite di diverse mediazioni specializzate il mondo che non è più direttamente coglibile- scriveDebord - trova naturalmente nella vista il senso umano privilegiato che in altre epoche fu il tatto; il senso più astratto, e più mistificabile, corrisponde all'astrazione generalizzata della società attuale… È il cuore dell’irrealismo della società reale”.
Una realtà distorta che plana nel vissuto in diretta dal palco più famoso del Paese. Un attacco mascherato di buonismo e da “falso eroe della patria” contro il mondo del lavoro e i diritti compromessi dai lavoratori. Un anonimo lavoratore indefesso, tal signor “Perfettinis” arriva acclamato sul palco per presunti meriti, “immeritevoli”. In un periodo in cui la crisi del lavoro attanaglia migliaia di precari. L’ “eroe” porta nella kermesse la sua bandiera di eterno presenzialista. Mai un’assenza in 40 anni di lavoro e 200 giorni di ferie non godute. Uno schiaffone ai diritti sostanzialmente compromessi dal Jobs act che ha già mietuto vittime nella capitale, privando del lavoro i 1666 ex dipendenti Almaviva. E molti altri finiranno nello stesso calderone infernale della riforma renziana. In attesa dell’ultima pedata alla loro dignità vivono sotto ricatto e con controlli a distanza che impediscono il diritto alla privacy.
Il messaggio dal festival di piegarsi al datore/padrone assicurandogli un’eterna presenza, inviato a chi vive la frustrante condizione di precario sfruttato, è una scivolata etica senza pudore e che la dice lunga sul fenomeno in analisi e sui poteri neoliberisti che ne detengono le fila. Per non parlare della passerella chiamata sul palco dei rappresentanti della sicurezza e della protezione civile. Un parentesi morbosa quando viene rivolta ad un soccorritore delle zone terremotate la domanda“cosa ha provato?”. Una caduta penosa di etica del silenzio e di mancanza di rispetto della dignità del dolore. Sul testo vincente “Occidentalis karma” sarebbe il caso di non esaltarlo ed enfatizzarlo,poic hé la presunzione di elevarlo all’abc della lotta anticapitalista e dell’antiglobalizzazione e a testo di raffinatezza culturale, decade quando si ascolta, senza farsi prendere dall’orecchiabilità che induce al movimento ritmico. “L’evoluzione inciampa/la scimmia nuda balla/occidentali’s karma /occidentalis karma…”. Sarà sicuramente un cult nelle discoteche e il tormentone estivo nelle spiagge globalizzate, ma ci si augura non si tramuti in didattica per le nuove generazioni.
Mentre il testo della Mannoia avrebbe meritato la palma sanremese per l’inno alla vita, al coraggio di chi affronta le sconfitte e si rialza per lottare ancora contro le avversità. “Per quanto assurda e complessa ci sembri la vita è perfetta/ Per quanto sembri incoerente e testarda se cadi ti aspetta/ Siamo noi che dovremmo imparare a tenercela stretta”. Un messaggio particolarmente indicato per i giovanissimi e le loro, a volte drammatiche, fragilità che talvolta si concludono con il dramma del suicidio. Come accaduto recentemente al sedicenne di Lavagna. Nota stonata è nel titolo e in alcuni passi del brano che si riferiscono alle religioni, a un dio salvatore. Che è anche un ossimoro. Se l’invito è trovare la forza in se stessi, perché mai ci si dovrebbe rivolgere ad un’entità astratta? Dalla compagna Mannoia, infine, ci si aspettava ben altri riferimenti quali la partecipazione alle lotte sociali, per ripristinare i diritti. Perché “nessuno si salva da solo”. Messaggi che difficilmente passeranno mai da una kermesse in mano ai poteri liberisti. M’annoia o non M’annoia…