Segue da: “Videolezione: dal sindacalismo al marxismo rivoluzionario”
Il dibattito sull’eredità leniniana
Fedele alla sua interpretazione del marxismo quale guida per la prassi rivoluzionaria, Lenin non considerava né le riflessioni di Marx, né le proprie una dottrina, anzi fra i dirigenti bolscevichi era senza dubbio il più capace di adattare alle esigenze della tattica la strategia, riconsiderando la teoria alla luce degli sviluppi contraddittori del corso del mondo. Tuttavia, proprio per tale motivo, in seguito alla sua morte nel 1924 [1], si apre fra i dirigenti del partito un confronto sempre più acceso su quale dovesse essere l’interpretazione corretta da dare al suo pensiero, in una situazione sempre più distante da quella auspicata da Lenin al momento di dare l’avvio al processo rivoluzionario. La decisione di attuare una rivoluzione socialista in un paese non ancora sviluppatosi in senso capitalista era stata assunta principalmente in quanto si riteneva che la sconfitta dello Stato imperialista più debole avrebbe favorito il successo della Rivoluzione anche nei paesi maggiormente sviluppati, i soli in grado di portare a buon fine la transizione al socialismo. Tuttavia, nonostante i significativi sforzi compiuti principalmente dai comunisti tedeschi, italiani e ungheresi il tentativo di espandere il processo rivoluzionario appariva fallito nel 1924, l’attesa Rivoluzione in occidente, che avrebbe dovuto venire in soccorso della transizione al socialismo in un paese arretrato come la Russia, aveva subito una durissima battuta di arresto e l’Urss si trovava sempre più isolata e accerchiata da paesi ostili in cui prevalevano governi autoritari di destra e antisovietici.
Continua su: “L’eredità di Lenin” e “Gramsci”.
Le video-lezioni successive saranno pubblicate nei prossimi numeri di questo settimanale.