Marx e una certa tradizione filosofica

A Pavia l’ennesima dimostrazione di quanto la ricerca accademica sia arretrata nello studio e nella comprensione di Marx.


Marx e una certa tradizione filosofica

Si è svolto a Pavia, il 13 e 14 dicembre, un convegno internazionale nel bicentenario della nascita di Karl Marx intitolato “Marx e la tradizione filosofica”. I relatori hanno affrontato diversi aspetti del rapporto di Karl Marx con la storia della filosofia. La scelta degli organizzatori è stata quella di limitare rigorosamente ciascun intervento agli autori letti, studiati e pensati da Marx: una scelta che ha accentuato l'effetto di forzoso confinamento entro il recinto della storiografia filosofica accademica.

In questo modo il pubblico, composto per lo più di studenti universitari, ha potuto ascoltare relazioni su “Marx su Democrito ed Epicuro” (Peter D. Thomas), “Marx e Machiavelli” (Fabio Frosini), “Marx e Spinoza” (Vittorio Morfino), “Marx e Hume” (Emilio Mazza), “Marx e il materialismo settecentesco” (Paola Rumore), “Marx e Kant” (Manuel Disegni), “Marx e Hegel” (Roberto Fineschi), “Marx e la sinistra hegeliana” (Douglas Moggach), “Marx e Feuerbach” (Giuseppe Invernizzi).

Unica eccezione alla struttura “Marx e...”, la relazione iniziale di Luca Fonnesu, docente di storia della filosofia a Pavia, che ha trattato il tema “teoria e prassi” alla luce della genealogia storica del concetto di prassi, che trova in Kant, in particolare nell'introduzione alla Critica del Giudizio, il suo vero momento iniziale poi ereditato da Hegel e gli hegeliani.

Il convegno pavese è stata un'occasione importante per fare il punto sulla conoscenza storiografica dell'opera e del pensiero marxiani alla luce della cosiddetta MEGA 2, la seconda Marx-Engels Gesamtausgabe, ossia la nuova edizione tedesca di tutte le opere di Marx e Engels iniziata nel 1975, articolata in quattro sezioni (solo la seconda è stata completata) e 48 volumi.

Tra i relatori, solo alcuni possono essere considerati dei “marxologi” (Fineschi, Frosini, Morfino) e se qualcuno tra i presenti era marxista, in quel contesto la cosa non è emersa (se non dalle domande di qualche studente). Sembrava insomma di ritrovarsi in un ambiente sterilizzato e asettico dove fosse d'uopo sottolineare la presunta avvenuta fine del marxismo politico e la necessaria distanza da esso degli studiosi perbene, proprio nel momento in cui si analizzavano col bisturi alcune sezioni anatomiche e nervature del pensiero marxiano. Non per nulla, in apertura dei lavori, è stata evocata la specificità umanistica dell'ateneo pavese che con docenti come Maria Corti e Cesare Segre ha dato al Novecento una lezione magistrale di filologia del testo.

Ma può Marx essere ridotto a mero oggetto filologico e storiografico? Certamente interessante è l'analisi, possibile proprio grazie alla MEGA 2, dei quaderni di lavoro di Marx, che testimoniano di letture precise di autori come Machiavelli, Bruno, Spinoza... Tuttavia è certamente lecito domandarsi quale sia la rilevanza effettiva di questi studi di dettaglio: sapere che Marx ha trascritto in un certo ordine alcuni brani del Tractatus theologico-politicus di Spinoza ci permette di comprendere qualcosa di universalea proposito del pensiero del Moro o non si rischia piuttosto di cadere in una sorta di pettegolezzo storiografico?

A questo sospetto si aggiunge un po' di stupore per il fatto che in due momenti cardinali del convegno, all'apertura dei lavori e alla chiusura, rispettivamente dal professor Francioni e dal professor Cospito, si è sostanzialmente detto che il marxismo politico deve oggi essere considerato un proverbiale cane morto: entrambi i docenti hanno sostenuto, come se si trattasse di evidenza per tutti nota e indiscutibile, che sono ormai irrimediabilmente trascorsi gli anni in cui, a Pavia e altrove, Marx era autore imprescindibile, e moltissimi corsi universitari erano incentrati sul suo pensiero e la sua opera. Da questa premessa non solo discutibile (ancorché non discussa) ma in gran parte falsa, i due relatori traevano inoltre la conclusione che solo ora si possa finalmente iniziare a studiare scientificamente Marx, poiché negli anni dell'egemonia marxista l'interesse propriamente filosofico per il pensatore di Treviri era assente e surrettiziamente sostituito da un mero interesse politico.

Dopo aver così nettamente separato filosofia e politica, scindendo teoria e prassi, gli accademici affermavano implicitamente la superiorità del primo termine sul secondo, come se finalmente la politica fosse respinta nel suo sozzo porcile senza più lordare la bella riflessione astratta e la pura teoresi. Il tutto senza che nemmeno si pensasse di poter aprire lo spazio per una riflessione collettiva (un convegno filosofico potrebbe ben essere anche questo, e di sicuro lo era in quei lontani anni Settanta, più volte evocati come un'epoca buia di errore e pregiudizio) sul rapporto tra la politica del nostro presente e ciò che il marxismo può ancora offrire alla teoria e alla prassi dei tanti soggetti, individuali e collettivi, che non si rassegnano a sottoscrivere la violenta narrazione dominante consustanziale all'ordine capitalista: populismo contro democrazia liberale, sovranismi contro Unione Europea, e tutto il resto è barbarie.

A titolo di esempio, due relatori hanno citato l'Enciclopedia del marxismo, opera tradotta da Einaudi tra il 1978 e il 1982: se il professor Invernizzi ha ricordato con una certa simpatia la folla di studenti che nelle aule dell'università di Milano assisteva alla presentazione della traduzione dei Grundrisse e dell'Enciclopedia summenzionata, il professor Cospito, nelle conclusioni del convegno, ha citato l'articolo dalla medesima Enciclopedia dell'importante allievo di Lukács, István Mészáros (“Marx filosofo”), quasi ad attenuare l'incauto giudizio secondo cui proprio negli anni in cui il movimento operaio era egemone l'interesse filosofico per l'autore del Capitale sarebbe stato sostanzialmente assente. Salvo poi affermare, altrettanto incautamente, che l'articolo del filosofo ungherese è datato e completamente superato (da chi, perché e come?) [1].

Molto ci sarebbe poi da dire sui concetti per niente tematizzati nel corso del convegno: classi sociali, dialettica, rivoluzione, ecc.

In conclusione: il convegno è stata un'occasione interessante per aggiornarsi sull'attuale stato della conoscenza scientifica e accademica dell'opera marxiana, ma ancor più interessante per la sua capacità di produrre nostalgia per gli anni in cui l'uso politico di Marx, oltre all'interesse popolare per il suo pensiero, era egemonico. Anni non così lontani, checché ne pensino i filosofi accademici, e che non sarebbe prudente liquidare come destinati a non ripresentarsi in nuove forme sulla scena dialettica della storia occidentale.


Note

[1] Ricordiamo che István Mészáros è un pensatore marxista di prima grandezza, autore tra l'altro di Oltre il capitale.

22/12/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Edoardo Acotto

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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