Lukács, Hegel e la mediazione dialettica

Lukács mette in guardia nei confronti del soggettivismo teorico e politico, contro il quale funge da valido antidoto la comprensione realistica di ciò che è, colto nel suo divenire, già presente nel giovane Hegel in opposizione al dover essere kantiano.


Lukács, Hegel e la mediazione dialettica Credits: http://scottish-hegelian.blogspot.com/2018/01/wilhelm-diltheys-hegel-as-seen-by.html

 

Mantenendo fermo il concetto di totalità, il tema centrale della riflessione di György Lukács posteriore alla condanna di Storia e coscienza di classe, il filosofo marxista si sposta verso l’approfondimento teorico della categoria di mediazione dialettica, per andare incontro, appunto, alle esigenze realistiche della lotta politica: ancora una volta l’intento è, infatti, quello di trovare il tertium datur tra il rivoluzionarismo estremistico e la prassi politica inficiata di opportunismo.

Le pubblicazioni del carteggio di Ferdinand Lassalle e della biografia di Moses Hess, redatta da T. Zlocisti, offrono a Lukács l’occasione e il pretesto di una riflessione sul nesso tra rivoluzione borghese e rivoluzione proletaria, che va al di là dell’interesse teorico e storico per queste eminenti personalità del socialismo dei tempi di Marx. Infatti, tramite l’analisi degli “errori” soggettivistici di Lassalle e di Hess – già denunciati da Marx – Lukács investe il nodo della linea politica da seguire, nella prospettiva di una transizione al socialismo che non si presenta affatto lineare; nel contempo, rileva la necessità di fornirsi dell’apparato teorico atto a tale compito, conducendo altresì un’autocritica indiretta delle sue tesi precedenti.

Nello scritto del 1925 su Lassalle, quest’ultimo viene qualificato pensatore “pre-marxista”, rimasto per tutta la vita fedele all’idealismo dei Giovani hegeliani, con un’assunzione della dialettica di Hegel come immediatamente rivoluzionaria, come metodo assoluto e, in quanto tale, non suscettibile di alcuna riforma o di alcun superamento dialettico interno. A differenza di Marx, egli non percepisce il condizionamento storico del pensiero hegeliano: “Hegel non è per lui l’espressione del pensiero della società borghese che, per questo motivo, cela in sé gli elementi del dissolvimento sociale, del superamento e inveramento di essa, e nel quale, pertanto, questi elementi che tendono a espandersi al di là del sistema dato, devono essere liberati e contrapposti al loro ideatore” [1].

La lettura fatta da Lassalle, in chiave rivoluzionaria, della filosofia della storia hegeliana è stata possibile, a parere di Lukács, grazie all’innesto dell’attivismo di Fichte, per il quale la concezione del presente non ha il carattere di chiusura e di compimento che ha in Hegel. Il presente è per Fichte l’epoca della compiuta peccaminosità: esso è un termine intermedio, un momento di transizione in cui l’Idea, non avendo ancora trovato la sua realizzazione, si proietta utopisticamente verso il futuro: “Se dunque a prima vista compare qui un motivo filosofico che oltrepassa Hegel [...] non bisogna tuttavia dimenticare che la “conciliazione” hegeliana, reazionaria in politica e sul terreno filosofico-metodologico orientata alla contemplazione pura, ossia poi il culminare della filosofia della storia nell’epoca presente proprio come “conciliazione”, significano (anche se in Hegel stesso ciò rimase largamente inconsapevole e non valorizzato) un più intimo collegamento delle categorie logiche con le forme strutturali della società borghese, e di conseguenza un’aderenza alla realtà maggiore di quella a cui Fichte ha mai potuto giungere” [2]. Come si può notare, siamo al completo rovesciamento di quanto Lukács aveva sostenuto nel 1918 nel saggio su Idealismo conservatore e idealismo progressivo [3]; l’idealismo etico kant-fichtiano era elevato a principio guida dell’agire politico in alternativa e in radicale opposizione allo spirito oggettivo hegeliano che, pertanto, incarnava le istanze della conservazione e del mantenimento dell’esistente.

Nel giudizio di concretezza riferito alle categorie logiche hegeliane, per la loro stretta connessione con i contenuti storici oggettivi (il realismo hegeliano!), si possono già intravedere le linee direttrici che ispireranno la monografia di Lukács sul giovane Hegel della fine degli anni ’30 [4].

Lassalle – come del resto lo stesso Lukács pre-marxista o proto-marxista – rimane estraneo alle “reali e infinitamente ramificate relazioni causali”, che esistono all’interno della totalità: al pari di Fichte tra il “principio” e l’“empiria” esiste uno hiatus irrationalis. La separazione che così si determina tra l’ideale e la realtà può ottenere una soluzione soltanto fittizia, con il ricorso a una forma simbolico-mitologica, “col fatto che in qualche modo il «principio» si «personifica» in un avvenimento empirico qualsiasi, in un uomo e nel suo destino” [5].

Da qui l’eccessiva importanza accordata da Lassalle alle grandi personalità della storia, l’esaltazione del ruolo del capo portatore dell’idea e il fastidio da lui nutrito per l’incomprensione delle masse, le cui condizioni materiali e il corrispondente livello di coscienza non vengono indagati nella loro concretezza.  Saltano così i nessi oggettivi e le mediazioni necessarie tra il “principio” e l’“empiria”; l’intervento politico si riduce a mera azione agitatoria intorno al caso singolo ritenuto esemplare, che “compendia per lui complessivamente tutta la lotta per l’emancipazione rivoluzionaria” [6].  Tale esito pratico-politico ha il suo fondamento teorico nel soggettivismo idealistico di Lassalle, che si manifesta chiaramente nella concezione astorica del diritto: mentre in Hegel e in Marx il diritto si dispiega nel corso del processo storico, con Lassalle “la storia delle singole forme del diritto si dispiega all’interno dell’atemporale e sovrastorica filosofia universale del diritto. Così la teoria lassalliana della rivoluzione culmina da un lato in una giustificazione giusnaturalistica del «diritto alla rivoluzione», e dall’altro nella fondazione teorica di un «sistema giuridico della rivoluzione»” [7].

Nel saggio Moses Hess e i problemi della dialettica idealista (1926), Lukács sviluppa e approfondisce i temi affrontati nella recensione alle Lettere di Lassalle, incentrando la propria ricerca sulla “natura” della dialettica hegeliana e sul suo significato per la formulazione del materialismo storico.

Moses Hess – appartenente alla Sinistra hegeliana ed esponente di rilievo del “vero socialismo” in Germania durante gli anni ’40 del diciannovesimo secolo, già oggetto della critica di Marx ed Engels nel Manifesto – viene definito da Lukács “un precursore fallito di Marx”: la sua operazione teorica è consistita nell’aver ereditato la critica alla società borghese del socialismo utopistico inglese e francese, nato sul terreno più avanzato della rivoluzione borghese, e averlo riallacciato “alla forma ideologica più elevata che la borghesia abbia mai raggiunto, alla filosofia classica tedesca, alla dialettica di Hegel, epperò partecipando attivamente anche al dissolvimento dello hegelismo” [8].

Andare oltre Hegel comportava, sul piano metodologico, l’inglobamento nella dialettica hegeliana della dimensione del futuro, al fine di costruire una filosofia della storia non bloccata sul presente, come nel sistema hegeliano. Era perciò inevitabile la ripresa dell’attivismo e dell’utopismo fichtiano con conseguenze simili a quelle che abbiamo già incontrato con Lassalle. Il prezzo che Hess paga per il tentativo di risolvere il problema della conoscibilità del futuro e di superare l’aspetto “conciliativo” di Hegel, è un maggiore distacco, rispetto a quest’ultimo, dell’elemento speculativo dal processo storico-reale. Privo del criterio della prassi e non contemplando la sua teoria l’edificio categoriale dell’economia politica, Hess è costretto ad adattare artificiosamente i princìpi speculativi a priori al materiale storico-empirico, così come esso si trova immediatamente nel presente. Le forme superficiali e transeunti dell’esistente assurgono a dignità di categorie e con ciò vengono assolutizzate. Siamo di fronte a un esito reazionario dell’utopismo astratto, a una concessione maggiore alla cattiva empiria di quanto non faccia Hegel; il tentativo di “andare oltre Hegel fa regredire rispetto a Hegel” [9]: “certo l’arrestarsi di Hegel al presente come raggiungimento di sé dello Spirito è un elemento reazionario sia nel contenuto che nelle motivazioni e conseguenze sistematiche. Tuttavia, dal punto di vista metodologico, si rivela in esso il suo grandioso realismo, il suo rifiuto di qualsiasi utopia, il suo tentativo di concepire la filosofia come espressione speculativa della storia stessa e non come filosofia sulla storia” [10].

L’accento lukacciano sulla superiorità del realismo hegeliano – un Leitmotiv di questo saggio – è dettato dalla preoccupazione di una comprensione del presente, la quale scopra le effettive tendenze e le forze che premono verso il futuro, attraverso un’attenta ricognizione dei nessi e delle mediazioni che strutturano la realtà storico-sociale. Il “vero socialismo” di Hess è, in fondo, un bersaglio polemico strumentale di cui Lukács si serve per fare chiarezza sui rapporti tra dialettica idealistica e dialettica materialistica e per forgiare gli strumenti teorici per una strategia politica che prevede “tempi lunghi” e che contempla la complessa gestione del passaggio dalla democrazia borghese alla democrazia socialista.

La condanna dell’astrattezza di Hess è una messa in guardia nei confronti del soggettivismo teorico e politico, contro il quale funge da valido antidoto la comprensione realistica di “ciò che è”, colto nel suo divenire, già presente nel giovane Hegel in opposizione al dover essere kantiano: “è proprio nel presente che si può svelare nella sua piena concretezza ciò che è processuale in ogni oggettività, dato che il presente mostra nel modo più evidente l’unità tra il risultato e il punto di partenza del processo. Il rifiuto di qualsiasi dover essere, di qualunque modo di pensare che faccia utopisticamente riferimento al futuro, il concentrarsi della filosofia sulla conoscenza del presente concepito dialetticamente, sembra così l’unico possibile cammino gnoseologico per scorgere ciò che è effettivamente conoscibile del futuro, ossia le tendenze che nel presente spingono concretamente e realmente verso il futuro” [11].

 

Note:

[1] Lukács, György, Die neue Ausgabe von Lassalles Briefe [1925], tr. it. Id., La nuova edizione delle lettere di Lassalle, in Id., Scritti politici giovanili; traduz. di P. Manganaro e N. Merker, introduz. di P. Manganaro, Bari, Laterza 1972, p. 206.

[2] Ivi, p. 211.

[3] A konservativ és progressziv idealismus [1918], tr. it. Id., Idealismo conservatore e progressivo; in AA.VV., Cultura estetica, a cura di M. D’Alessandro, introduz. di E. Garroni, Roma, Newton Compton 1977, pp. 101-110.

[4] Lukács, G., Der junge Hegel und die Probleme der kapitalistischen Gesellschaft [1948], in Id., Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica, traduz. di R. Solmi, Torino, Einaudi 1975.

[5] Id., Die neue Ausgabe.., op. cit., p. 224.

[6] Ibidem.

[7] Ivi, p. 228.

[8] Id., Moses Hess und die Probleme der idealistischen Dialektik [1926], tr. It., Id., Moses Hess e i problemi della dialettica idealistica, in Id., Scritti politici giovanili; traduz. di P. Manganaro e N. Merker, introduz. di P. Manganaro, Bari, Laterza 1972, pp. 246-310, p. 250. La valutazione della filosofia hegeliana come massima espressione della coscienza borghese rimarrà costante nella successiva produzione di Lukács.

[9] Ivi, p. 259.

[10] Ivi, p. 256.

[11] Ivi, p. 261.

27/08/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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