Da mesi ormai, se non da anni sentiamo che parlare di "sinistra plurale", di mondi che devono convergere verso il nemico comune dell'antiliberismo. Ma è veramente così? Esistono davvero le "sinistre"? E soprattutto che vuol dire?
di Davide Costa
Da un punto di vista concettuale ed etimologico il termine "sinistra" era riferito a chi sedeva sinistra del Presidente dell'Assemblea Nazionale dopo la Rivoluzione Francese, essi erano i liberali radicali che volevano mettere fine alla monarchia per sempre.
In Italia la Sinistra storica fu rappresentata dai liberali opposti ai liberal-conservatori.Insomma chiamasi "sinistra" moltissime cose, è un termine confusionario che può avere varie accezioni.
Da un punto di vista che potremmo definire "strutturalista" vi è una distanza molto forte fra significante (la parola che identifica qualcosa) e significato (l'oggetto in questione), frutto della semplificazione del linguaggio e delle pratiche politiche dagli anni '90 in poi.
Difatti quello che oggi viene identificato come "sinistra" negli anni della grande politicizzazione delle masse del ‘900 veniva diviso e categorizzato secondo schemi concettuali ben precisi: i liberali erano liberali, i socialdemocratici erano socialdemocratici, i socialisti erano socialisti e i comunisti erano comunisti.
Con la caduta del Muro di Berlino e la dissoluzione dell'URSS il mondo divenne unipolare e i conflitti di classe ebbero uno spaventoso reflusso in quanto l'URSS staliniana, pur con tutte le sue criticità, manteneva viva la forza dell'utopia e la consapevolezza che un'alterità al capitalismo occidentale era possibile.
Emblema di ciò fu lo scioglimento del PCI e la nascita del Partito Democratico della Sinistra, termine che da quel momento fece irruzione violentemente nella scena politica.Questo ci dà quadro generale della vacuità di tale termine oggi.
La sinistra di classe dagli anni '90 non vive però una semplice confusione linguistica ma anche e soprattutto politica. Nel mondo unipolare infatti quell' "integrazione culturale e politica della classe lavoratrice" e la "chiusura dell'universo politico" descritta dai sociologi della Scuola di Francoforte, si può dire processo tristemente compiuto con le varie costituenti delle sinistra, dagli arcobaleni fino a Cosmopolitica.
Queste sinistre hanno perso quella capacità di fare società, di immaginare un processo di trasformazione sociale completo. Le istanze che portano avanti sono infatti solo una trasformazione di tipo quantitativo (una redistribuzione generica della ricchezza) e non qualitativo (rapporti di forza e modello sociale, produttivo e istituzionale nella sua interezza). Questa prospettiva socialdemocratica appare anche antistorica in un periodo ove la crisi economica tende a restringere il Welfare State e dove il compromesso sociale non ha spazi per esistere.
Lo stesso Welfare State può poi divenire oggetto di dominio delle classi dominanti in quanto rientra in un meccanismo di amministrazione totale della vita degli individui attraverso beni e servizi gestiti dalle stesse classi dominanti ed elargiti come "contentino". I comunisti portatori di un'altra idea di società si dovrebbero differenziare da ciò. Altra questione è la pluralità della sinistra, pluralità che non esiste in quanto con Cosmopolitica ci troviamo davanti in realtà alla sinistra ad una dimensione ovvero quella della compatibilità con il capitalismo. Dove sono il dibattito e la dialettica? Mi pare piuttosto che sia una sinistra che da anni ha abbandonato i riferimenti di classe, una classe politica che ha amministrato l'esistente coi partiti borghesi e che persegue il dogma dell'europeismo. Sì perché parte della destrutturazione del pensiero politico della sinistra di classe è anche quest'ossessione per l'UE che parte da un'analisi fallace di un presunto superamento dello stato-nazione.
Nell'economia a trazione USA e senza l'URSS il capitalismo ha accelerato la propria internazionalizzazione… di capitali. L'UE non è altro che l'istituzionalizzazione del liberoscambismo in atto e perciò non potrà mai avere un ruolo progressista. L'antisovranismo cosmopolita è una sovrastruttura liberale che con il comunismo ha ben poco a che fare: pensare che non vi sia un'identificazione fra popolo e comunità di appartenenza è davvero miope.
La dimensione nazionale è infatti un terreno su cui agire come Gramsci e Lenin insegnano, non da abbattere e abiurare in nome di strutture liberali. Vi è un filo rosso che collega questa dimensione con la Costituzione antifascista del '48 che l'UE sta progressivamente smantellando e che noi abbiamo il compito di difendere. La sinistra ad una dimensione invece preferisce sacrificare la stessa Costituzione pur di salvare l'Unione Europea e non ammettere che sia una gabbia irriformabile da cui dobbiamo uscire al più presto, pena l'impossibilità di un reale mutamento delle cose presenti come la Grecia insegna.
Oggi la Sinistra si configura quindi come una categoria chiusa e autistica, completamente distaccata dalla società che si presuppone di rappresentare in nome di forme e modalità politica figlie di una realtà post-sovietica anch'essa finita. Queste forze infatti con la crisi di quel modello cercano di sopravvivere nei modi più incongruenti sul mero terreno elettorale (concezione figlia dell'ultimo PCI) e sulla base della rappresentanza.
Qui si dovrebbe aprire un ragionamento su quanto oggi la rappresentanza sia rappresentativa e che ruolo ha nella prospettiva di trasformazione sociale. Ci troviamo in un'epoca in cui l'astensionismo delle classi popolari è altissimo ma in cui paradossalmente vi è un fortissimo bisogno di politica: è forse bordighismo pensare che prima di costruire la rappresentanza (modello liberale che comunque in una prospettiva comunista non sussiste) bisognerebbe ricostruire la rappresentatività intesa come rapporto con la nostra classe di riferimento, come vicinanza alle sue esigenze reali? Sì perché questo rapporto è stato reciso dalla contingenza storica e dagli errori di una sinistra che si è chiusa sempre più in sé stessa, in una prospettiva di governo centrista che ha creato solo deserto intorno a sé.
Vi è da dire che la questione è anche generazionale. Il segretario nazionale Paolo Ferrero ha detto in un attivo degli iscritti a Bologna che il nostro partito è mandato avanti da una generazione di sessantottini ed è assolutamente vero! Ma chi come lo scrivente fa parte della generazione anni '90 ha una visione del mondo e un modo di relazionarsi con il reale completamente diverso: la cesura storica che vi è stata negli ultimi 30 anni è profondissima, la mia generazione è nata in un mondo unipolare, spoliticizzato e dove il relativismo culturale e politico e l'atomizzazione sociale hanno raggiunto livelli inauditi.
La classe popolare della mia generazione non chiede sinistra, chiede soluzioni concrete. Oggi più che mai la politica si costruisce sul linguaggio e sulla rapidità che le forze politiche hanno nel confrontarsi con un mondo che cambia continuamente: dire che vogliamo unire le sinistra è escludente non includente, oggi quel popolo politico non esiste più. L'aggregazione non si pratica più sui ceti politici o sulle ideologie ma sulle idee forti, sulla trasposizione delle esigenze reali della gente in brevi ma incisive proposte e sulla presenza sul territorio che solo un partito comunista che produce analisi ed elabora una strategia sull'attuale contingenza storica, può avere. Questa quindi vuol essere una glorificazione dei vecchi fasti che non vi sono più? No, è assolutamente il contrario.
Il Partito della Rifondazione Comunista per esempio ha cercato di sintetizzare "nuove modalità" con vecchie strutture creando degli ibridi interni che portano alla disgregazione. Il nostro partito ha abbondonato il centralismo democratico in nome di un correntismo che permettesse la pluralità di opinioni ma paradossalmente questo ha creato più storture che sintesi! Il dialogo fra correnti fomenta l'individualismo e la concezione maggioritaria della vita partitica che non a caso sono figlie di un pensiero unico nel quale ci troviamo calati. È il partito che si sta sottomettendo alla realtà, non il contrario.
Pur in questa situazione però ha mantenuto certi modelli figli di un altro tempo: pensiamo ad una cosa semplice come le assemblee ufficiali in cui vi sono dei relatori ed interventi singoli staccati l'uno dall'altro. In questo clima di individualismo correntizio e maggioritarismo, dove l'omogeneità dei vecchi PC non esiste più come possono finire se non in una lite autistica fra posizioni contrapposte e opposte che non riesce a trovare una soluzione sintetica?
Non sarebbe forse più utile mettersi semplicemente in cerchio (anche la disposizione conta più di quanto sembri) e affrontare le singole questioni in un dibattito aperto in modo che ne esca una posizione unitaria, sostenuta dai più ed elaborata dall'intellettuale collettivo? E cos'è questa diversità di opinioni, unità nell'azione (condivisa) se non una forma di centralismo democratico, oggi tanto stigmatizzato dai leader della nuova sinistra che si professano pluralisti ma poi soffocano i dibatti, adattata ai tempi? Che senso hanno le discussioni autistiche in queste autistiche modalità, fatte fra quattro mura, fra piccoli leader del nulla mentre il mondo va avanti e ci ignora? Anche questo stesso articolo è figlio di una sintesi politica, di un ragionamento collettivo che io e i compagni del circolo GC Mario Rovinetti di Bologna affrontiamo ogni giorno nei dibattiti ma soprattutto nelle pratiche, sintesi senza la quale, in solitudine, non sarei mai arrivato a queste conclusioni. Forse è proprio questa alterità che tanto spaventa la nostra dirigenza nazionale tanto da portare avanti una crociata contro la federazione di Bologna sul sito nazionale. La rivoluzione deve partire da noi stessi, dai nostri modi di far politica e dal nostro modo di analizzare il mondo. Proprio per questo credo che oggi più che mai serva un forte e compatto Partito Comunista all'altezza dei tempi.