La rivoluzione socialista quando non ce ne sono le condizioni

La tragica necessità di portare avanti un Paese in cui la rivoluzione socialista ha trionfato, ma in cui mancano le condizioni necessarie soggettive e oggettive per realizzare la transizione al socialismo


La rivoluzione socialista quando non ce ne sono le condizioni Credits: https://www.rsi.ch/la1/programmi/cultura/il-filo-della-storia/Lesilio-svizzero-di-Lenin-9602398.html

Quali sono i compiti primari della nuova fase che si apre dopo che l’epica vittoria nella guerra civile ha posto in salvo, almeno nell’immediato, la rivoluzione socialista? Cercando di rispondere nel modo più puntuale a tale quesito Lenin osserva: “si pone all’ordine del giorno la ricostruzione delle forze produttive distrutte dalla guerra e dal malgoverno della borghesia; il risanamento delle ferite inferte dalla guerra, dalla sconfitta, dalla speculazione e dai tentativi della borghesia di restaurare l’abbattuto potere degli sfruttatori; la ripresa economica del paese; la sicura tutela dell’ordine più elementare” [1]. In tale delicatissimo frangente, se il proletariato non si dimostrasse in grado di mantenere l’egemonia nel blocco sociale favorevole alla rivoluzione, la necessaria lotta di classe contro la borghesia – che continuerà in ogni modo a battersi per impedire la transizione verso una società socialista – avrebbe subito una significativa battuta d’arresto. Secondo Lenin, dunque, i soviet dovranno rappresentare – in tale prima fase di superamento della società capitalista borghese – non solo le istanze del proletariato ma anche quelle di una parte significativa della piccola borghesia, altrimenti le forze rivoluzionarie non avranno la forza necessaria per portare avanti la lotta con la grande borghesia e i rentiers. “Per vincere – sottolinea a questo proposito Lenin – per creare e consolidare il socialismo il proletariato deve assolvere un duplice compito: deve innanzitutto attrarre, col suo eroismo senza riserve, nella lotta rivoluzionaria contro il capitale tutta la massa dei lavoratori e degli sfruttati, attrarla, organizzarla e dirigerla per abbattere la borghesia e reprimere completamente qualsiasi sua resistenza; in secondo luogo il proletariato deve trascinare dietro di sé l’intera massa dei lavoratori e degli sfruttati, nonché tutti gli strati piccolo-borghesi, sulla via di una nuova edificazione economica, sulla via della creazione di un nuovo rapporto sociale, di una nuova disciplina del lavoro, di una nuova organizzazione del lavoro, che racchiuda in sé l’ultima parola della scienza e della tecnica capitalistica e l’unione in massa dei lavoratori coscienti, artefici della grande produzione socialista” [2].

A questo proposito, considerato il blocco storico che si è venuto imponendo in Russia dopo la rivoluzione di ottobre, un ruolo decisivo avrà il contadino medio, in quanto sarà sostanzialmente l’ago della bilancia nell’inevitabile scontro fra il blocco sociale proletario al potere e le classi borghese e aristocratica all’opposizione. Ecco come Lenin delinea le caratteristiche fondamentali di questo decisivo soggetto sociale: “il contadino medio è in parte proprietario, in parte lavoratore. Non sfrutta altri lavoratori. Per decenni ha dovuto difendere con grandissima fatica la propria posizione, ha subíto lo sfruttamento dei proprietari fondiari e dei capitalisti, ha sopportato tutto: e nello stesso tempo è un proprietario” [3].

A questo punto, considerato anche il sostanziale fallimento dei processi rivoluzionari nei paesi capitalisti avanzati, Lenin si rende conto che in un paese arretrato e isolato sul piano internazionale, in cui si è affermata la rivoluzione socialista, non sarà possibile avanzare a tappe forzate verso la realizzazione di una società comunista. Anzi, prima ancora di compiere la indispensabile tappa intermedia della transizione alla società socialista, non essendoci nei paesi in cui si sono affermate le forze rivoluzionarie una società capitalista significativamente sviluppata, diverrà necessario costruire in primo luogo una forma sostanzialmente inedita di capitalismo di Stato. Osserva a tal proposito Lenin: “non si può avere un potere proletario stabile, se non si neutralizzano i contadini medi e non ci si garantisce l’appoggio, se non di tutti, almeno di una parte assai cospicua dei piccoli contadini. In secondo luogo, non solo l’aumento, ma anche la conservazione della grande produzione agricola presuppongono il capitalismo di Stato e il socialismo, per preparare – con un lavoro di una lunga serie d’anni – il passaggio al comunismo” [4].

Proprio per questo, in particolare in un contesto arretrato e isolato come quello in cui si è affermato Il processo di transizione al socialismo, quest’ultimo, mette a ragione in evidenza Lenin, “si ‘epurerà’ dalle scorie piccolo-borghesi tutt’altro che di colpo” [5], ovvero in un processo necessariamente lungo e contraddittorio. Gli intellettuali tradizionali di sinistra, soprattutto dei paesi occidentali –  proprio coloro che prima della rivoluzione accusavano i bolscevichi di utopismo –  prendendo spunto da tali difficoltà pretendevano, senza peraltro adoperarsi a favore dell’affermazione della transizione al socialismo, che il governo dei soviet eliminasse d’un sol colpo ogni vestigia di un passato barbarico. Come mostra Lenin, quando tali intellettuali “parlano delle utopie insensate, delle promesse demagogiche dei bolscevichi, della impossibilità di ‘introdurre’ il socialismo” si riferiscono all’obiettivo finale del processo di transizione, alla piena realizzazione del comunismo, che nessun rivoluzionario non solo non “ha mai promesso, ma non ha mai pensato di ‘introdurre’, per la sola ragione che è impossibile ‘introdurla’” [6], dal momento che non è realizzabile per decreto, ma solo in un lungo e tortuoso processo storico e attraverso un travagliato conflitto sociale. Perciò, a tali astratte accuse risponde Lenin: “noi non siamo degli utopisti e conosciamo il vero valore degli ‘argomenti’ borghesi; sappiamo anche che, dopo la rivoluzione, le vestigia del vecchio prevarranno ancora per un certo tempo sui germogli del nuovo. Quando il nuovo è appena nato, il vecchio rimane sempre per un certo tempo più forte del nuovo” [7]. Solo delle anime belle possono, dunque, secondo Lenin, dirsi disponibili a sostenere il progetto di transizione nella misura in cui esso si svolga in modo rettilineo e puro, che l’azione comune dei proletari dei diversi paesi si realizzi in un sol momento, con perfetta sincronia, che ci sia in partenza la garanzia contro ogni sconfitta, che la strada della rivoluzione sia ampia, sgombra, dritta, che nel marciare verso la vittoria non si debbano compiere a volte i sacrifici più gravi, che non “ci si chiuda nella fortezza assediata” [8] o che non si sia costretti ad aprirsi un varco per degli stretti, impraticabili, tortuosi e perigliosi sentieri mai battuti in precedenza. La rivoluzione è paragonata da Lenin a un parto doloroso, di fronte ai travagli del quale le anime belle non possono che spaventarsi “e i loro lamenti di vili animucce si sono trasformati in cori di accompagnamento dei feroci attacchi della borghesia contro la insurrezione del proletariato” [9]. In tali travagli del parto possono perire i singoli ma non il loro virgulto, ovvero, come scrive Lenin sviluppando la metafora del parto: “i parti difficili aumentano notevolmente il pericolo di una malattia mortale o di un esito mortale. Ma se i singoli individui muoiono di parto, la nuova società, nata dal vecchio regime, non può morire, e la sua nascita sarà soltanto più dolorosa, più lunga, la sua crescita e il suo sviluppo più lenti” [10].

Consapevole di quanto il completo svuotamento delle stalle di Augia dell’ancien régime sia decisivo allo sviluppo culturale e civile del paese, il governo sovietico ha operato in tale direzione in modo più radicale di quanto avesse fatto sino ad allora qualsiasi governo borghese. Come non manca di far notare Lenin: “noi non abbiamo lasciato pietra su pietra, mattone su mattone dell’edificio secolare delle caste (i paesi più avanzati come l’Inghilterra, la Francia, la Germania non si sono ancora sbarazzati fino ad oggi dei resti del regime di casta!) (…) non si può contestare il fatto che, per otto mesi [dopo la Rivoluzione di febbraio], i democratici piccolo-borghesi ‘si sono conciliati’ con i grandi proprietari fondiari, i quali conservavano le tradizioni della servitù della gleba, e che noi, in qualche settimana, abbiamo completamente cancellato dalla faccia della terra russa questi grandi proprietari fondiari e tutte le loro tradizioni” [11]. Si tratta di un presupposto necessario al punto che Lenin considera possibile iniziare la transizione al socialismo solo dopo che, in seguito alla rivoluzione, anche la più radicale riforma democratica borghese, la riforma agraria, sia stata portata a compimento: “nell’ottobre 1817 abbiamo preso il potere insieme con i contadini nel loro complesso. Era una rivoluzione borghese, in quanto la lotta di classe nelle campagne non si era ancora sviluppata. Come ho già detto, la vera rivoluzione proletaria nelle campagne ebbe inizio soltanto nell’estate del 1918. Se non avessimo saputo suscitare questa rivoluzione, la nostra opera non sarebbe stata completa” [12].

Come fa notare acutamente Lenin anche il passaggio dalla rivoluzione democratico-borghese alla rivoluzione socialista non può avvenire per decreto, né con una forzatura soggettivistica. Non basta il successo della Rivoluzione di ottobre, esplicitamente socialista, di contro al governo provvisorio prodotto dalla precedente rivoluzione democratico-borghese, per cui possano essere considerati come già realizzati gli obiettivi della prima e ci si possa occupare pienamente dei soli obiettivi della seconda. Come fa notare, acutamente, Lenin: “noi procediamo con piena coscienza, fermezza ed inflessibilità verso la rivoluzione socialista, sapendo che essa non è separata da una muraglia cinese dalla rivoluzione democratico-borghese, sapendo che soltanto la lotta deciderà in quale misura (in fin dei conti) riusciremo ad avanzare, quale parte del compito incomparabilmente elevato noi adempieremo, quale parte delle vittorie consolideremo” [13].

Se, dunque, nei confronti dell’alta borghesia si utilizzerà maggiormente la coercizione mediante il diritto rivoluzionario e gli organi repressivi dello Stato socialista, nei confronti della piccola borghesia ci si servirà principalmente degli strumenti dell’egemonia ovvero dell’educazione, volti a trasformare progressivamente la norma giuridica in costume, in eticità condivisa.

Note:

[1] V.I.U. Lenin, I compiti immediati del potere sovietico [13-26 aprile 1918], in Id., Sulla rivoluzione socialista, edizioni progress, Mosca 1979, p. 319.

[2] Id., La grande iniziativa [29 giugno 1919], in op. cit., p. 419.

[3] Id., Rapporto sul lavoro nelle campagne  (tenuto al VIII congresso del PCbR) [marzo 1919], in op. cit., p. 389.

[4] Id., Per il quarto anniversario della rivoluzione d’ottobre [ottobre 1921], in Id. Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1966, vol. 33, pp.  43-44.

[5] Id., Risultati della discussione sull’autodecisione [luglio 1916], in Opere…, cit., vol. 22, p. 354.

[6] Id., Stato e rivoluzione [agosto-settembre 1917], in Opere…, cit., vol. 25,p. 441.

[7] Id., La grande iniziativa, cit., pp. 421-22.

[8] Id., Lettera agli operai americani [agosto 1918], in Opere…, cit., vol. 28, p. 69.

[9] Id., Parole profetiche [29 giugno 1918], in Sulla rivoluzione…, op. cit., p. 338.

[10] Ivi, p. 339.

[11] Id., Per il quarto anniversario della rivoluzione d’ottobre [ottobre 1921], in Sulla rivoluzione…, op. cit., p. 566.

[12] Id., Rapporto sul lavoro nelle campagne  (tenuto al VIII congresso del PCbR) [marzo 1919], in Ivi, p. 385.

[13] Id., Per il quarto… cit., in Ivi, p. 565.

25/01/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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