Intelletto d’amore

Ricordo di Stefano Rodotà, scomparso a Roma il 23 giugno. La sua voce da giurista è stata e sarà considerata fra le più alte espressioni dei diritti costituzionali del cittadino.


Intelletto d’amore

Com’è povero il diritto se non parla d’amore. È quanto si evince dalla lettura del saggio “Diritto d’amore” una delle tante pubblicazioni di Stefano Rodotà, giurista appena scomparso. E nell’ immergersi nelle sue chiare elucubrazioni letterarie si comprende ancora di più oggi, il profondo valore dell’intellettuale, ma anche dell’uomo gentile che era. Un uomo che sapeva comunicare le sue idee, senza mai presumere di avere la verità in tasca e lo faceva con rispetto per le altrui opinioni e con passione in ciò in cui credeva. L’ho incontrato più volte nell’ultimo decennio. Ne ricordo una in particolare. Era l’ottobre del 2013 e si manifestava per la difesa della Costituzione, in piazza del Popolo, a Roma. Ero sul palco, in area stampa, e su quel palco, insieme a Maurizio Landini, Lorenza Carlassare, Don Ciotti e Gustavo Zagrebelsky, c’era anche lui.

Mi colpì la sua discrezione, l’umiltà che traspariva dai tratti del volto e dai modi garbati e gentili nel rivolgersi alla piazza. Una voce mai forte, mai presuntuosa, ma convinta e determinata nell’affermare i valori costituzionali e nell’evidenziare le malefatte dei governi che hanno portato il Paese alla deriva. E fra quelle parole pacate, rivolte alla piazza, rilasciava ai manifestanti le indicazioni per seguire quella che per lui era la via maestra, la Costituzione repubblicana, invitando a ribellarsi a chi del potere ne fa un uso strumentale per piegare il popolo e smantellare i diritti. Prevaleva in quel discorso calamitante non l’intellettuale, né il giurista, ma l’uomo vicino alla gente comune, così vicino da esserne totalmente parte. Questo era Stefano Rodotà, uno di noi, uno fra i tanti delusi, indignati, emarginati da una società che non ne riconosce i diritti e da uno Stato che di diritto non è più, così come Costituzione, invece, vuole. Non discorsi accademici quindi, ma parole che esprimono concetti e verità che appartengono al popolo e in cui tutti noi ci siamo riconosciuti.

E mi piace oggi ricordarlo con affetto, percorrendo i punti più salienti di una sua scrittura che mi è particolarmente cara e affine. In “Diritto d’amore” Rodotà pone l’attenzione del lettore su un interrogativo, spesso non di usuale riflessione, ma assolutamente fondamentale, trattandosi di due poteri basilari nella vita di ogni persona, da cui non si può prescindere: il diritto/regola e l’amore. La domanda cardine che pone l’autore è “ Il diritto è compatibile con l’amore?”.

Lo scrittore, attentissimo per sua indole all’imprevedibilità degli eventi che accompagnano la vita, ma anche, da giurista, al come regolare le relazioni sociali tramite il codice civile e i principi costituzionali, nel corso delle argomentazioni, supportate magnificamente dai fatti storici, che affronta nel saggio, sembra propendere più per l’irregolarità naturale del potere dell’amore.

Nessun diritto se ne può appropriare, niente può regolarizzarlo, se non che lo voglia l’amore stesso. Tant’è che la parola “Amore” non compare in alcun codice giuridico, né nella stessa Costituzione. E lo dimostra in un excursus dialettico, in cui fra i due poteri, nel corso dei secoli, ha giocato prepotentemente il potere politico di chi maldestramente ha governato i popoli, potere connesso con il potere economico.

Politica ed economia. Binomio di poteri che ha sottomesso in modo preconcetto e medievale il genere femminile, verso cui l’autore mostra piena solidarietà nel promuoverne i diritti umani e sociali, per il principio di eguaglianza e per le pari opportunità. Aspetto che lo rende ancor più vicino a chi della lotta femminile per i diritti ne ha fatto un vessillo. .E non solo verso le donne. Il giurista Rodotà si schiera anche dalla parte dei diritti civili dell’omosessualità, specie nel riconoscimento del diritto fondamentale di vivere liberamente uno status di coppia. Qualcosa appare all’orizzonte della Carta costituzionale italiana nel riconoscimento delle coppie gay, sebbene politiche avverse e religione remino contro il principio di uguaglianza. Ma il potere dell’amore è naturalmente sordo ad ogni pregiudizio e discriminazione di sorta.

Diritto contro amore?

L’autore cita Montaigne , che in Essais (1588) definisce la vita come un “movimento ineguale, irregolare e multiforme”, disquisendo sulla realtà imprescindibile dell’irriducibilità all’esigenza del diritto di uniformità e regolarità, quando questi aspetti eliminano per partito preso l’imprevedibile. Tanto più quando si parla di amore, aspetto che coinvolge il lato dei sentimenti, in cui si esprime “il massimo della soggettività.La regola giuridica che è rivolta alla ragione non può accedervi, perché le passioni umane evocano sempre “gli spettri della discontinuità e dell’incoerenzaa cui il diritto è ostile. Affiora alla penna dello scrittore l’estrema visione razionalistica del matrimonio, non altro che un contratto sociale che non prevede e non può prevedere come regola per accedervi il presupposto che la coppia si ami “a rigor di legge. “L’amore è allergico alle goffaggini del diritto civile?”

L’interrogativo è aperto, ma la risposta non può che essere affermativa, considerando gli esempi che la storia delle leggi sulle unioni matrimoniali ci fornisce a comprova. La storia infatti ci racconta come il diritto si sia impadronito impropriamente dell’amore, “chiudendolo in un perimetro …all’interno del quale poteva e doveva essere considerato giuridicamente legittimo il rapporto coniugale formalizzato, il matrimonio”. In base a questa formula legittimata si sono sponsorizzati i peggiori detti populistici della storia dell’umanità, alcuni hanno furoreggiato nelle masse della subcultura occidentale fino al secolo scorso.

Fra le peggiori: “Non si dà libertà sessuale fuori, e perciò anche prima, del rito matrimoniale”. E ancora, sulla proprietà: “Ciascun coniuge ha un diritto sul corpo dell’altro, dunque sulla sua persona…”. E sul credito (nda, ma questa è medievale): “Il diritto di esigere prestazioni sessuali connota la relazione matrimoniale”. Per sconfinare nella notte dei tempi, quando si parla di debito , riferendosi alla prestazione sessuale nel matrimonio. In debito, generalmente, ci finiva la donna.

Il rapporto giuridico fra i coniugi sembra essere stato costruito sulla barbarie del concetto di diseguaglianza, almeno fino alla metà del secolo scorso. Così, agli albori del secolo scorso, alcuni giudici italiani ne stilavano dei principi, dopo aver dibattuto sull’error virginatis, facendolo diventare causa di annullamento di un matrimonio. Se la donna non era più illibata, quindi, era “difettosa” e poteva essere restituita al mittente come merce contraffatta. Su questa infamia che mercificava addirittura la donna, considerandola al pari di un oggetto in vendita, si sollevarono molte obiezioni di altri giudici, fra cui quella del magistrato della Corte di appello di Milano, Ludovico Mortara: “Elevare la verginità fisica della donna a qualità essenziale, il cui difetto, se non è stato prima dichiarato, diviene causa dell’annullamento delle nozze, significa abbassare il matrimonio al livello di un contratto commutativo, nel quale l’oggetto principale sarebbe costituito dal corpo degli sposi. Vuol dire estendere al matrimonio i principi della garanzia che il venditore deve al compratore per i vizi e i difetti occulti della cosa venduta…”. La regola giuridica quindi nulla ha di conforme al concetto naturale di amore, ma intende meramente un rapporto di possesso in cui il diritto regola il rapporto in base alle leggi di compravendita di una qualsiasi merce.

E imprime nel diritto anche il principio di disuguaglianza, quando nel codice civile del 1942 viene attribuito al marito il ruolo di capo famiglia, come disponeva l’articolo 144, rimasto in vigore fino al 1975. Fu Francesco Carnelutti, un celebre giurista dell’epoca, a denunciarne l’incostituzionalità : “lo ius in corpore dell’un coniuge verso l’altro è più vicino che non sembri al diritto nascente, dell’imprenditore verso il lavoratore. dal contratto di lavoro”. Ma la fatica maggiore per debellare queste norme primordiali, la Corte costituzionale la fece sul discrimine dell’adulterio che era considerato reato solo per la donna, tanto da considerare con attenuanti il delitto d’onore.

Ricorda Rodotà nel saggio “Diritto d’amore” che nell’Assemblea costituente, quando si discuteva di matrimonio, si levò una voce femminile. Era quella di Maria Maddalena Rossi (Pci), presidente dell’Unione donne italiane dal 1947 al 1956: “C’è qualcuno che ha intenzione di cambiare il codice civile in materia, e sono le donne italiane”.In quell’occasione anche Togliatti, sull’indissolubilità del matrimonio, verso cui i comunisti votarono contro, dichiarò che furono le donne a sostenerlo in questa scelta. E dalla penna gentile di Stefano Rodotà si leva una dichiarazione d’amore verso l’universo femminile, amore e rispetto per chi ha subito per secoli per le applicazioni di un diritto sbagliato e offensivo.

Anche se era manifesta nella sua formazione politica l’origine borghese e liberal democratica di stampo socialista, in cui non appare l’idea del conflitto di classe come unica possibilità per ribaltare i tavoli del potere, era sicuramente un uomo di sinistra, di quella sinistra indipendente cui era legato. Ma la diversità di pensiero politico oggi, come ieri, non modifica il valore inconfutabile dell’uomo, dell’intellettuale e del giurista. Leggendo ancora oggi questo riconoscimento, espresso nel suo saggio, quanto vorrei, a nome di tutte le donne, poterlo ringraziare per esserci stato, a difendere e tutelare anche i nostri diritti: “Di nuovo le donne, ancora le donne, sempre le donne. Non rivendicano solo i diritti del genere, ridanno senso al mondo. La liberazione di tutti, com’è accaduto infinite volte nella storia, viene dalla consapevolezza e dalla ribellione di chi è sottomesso, escluso, privato della libertà e della dignità. Forse, in questo caso, vi è qualcosa di diverso e di più. È il modo in cui le donne hanno intelletto d’amore”.

Ciao Stefano…


Scheda del libro
Titolo “Diritto d’amore”
Autore: Stefano Rodotà
Editore: Laterza – Novembre 2015

01/07/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Alba Vastano

"La maggior parte dei sudditi crede di essere tale perché il re è il Re. Non si rende conto che in realtà è il re che è il Re, perché essi sono sudditi" (Karl Marx)


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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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