Conoscere il terreno che calpestiamo

A colloquio col prof. Francisco Piñón Gaytàn, dipartimento di filosofia della UAM, Itztapalapa in Messico, docente di filosofia politica presso l’Università Autonoma Nazionale del Messico e direttore del Centro Gramsci, Centro Estudios Sociales di Itzapalapa.


Conoscere il terreno che calpestiamo Credits: Gramsci a Vienna, 1923 (da salvatoreloleggio.blogspot.it)

Incontro il prof. Francisco Piñón Gaytàn a Roma, il 5 maggio 2017, in occasione del suo omaggio al pittore e fotografo romano, amico di vecchia data, Carlo Riccardi, nei locali della Galleria Spazio 5, durante il quale ha presentato il suo ultimo libro: La modernidad de Gramsci, Politica y Humanismo (Messico, 2016).

Qualche giorno prima, il Prof. Piñón, partecipando alla commemorazione di Antonio Gramsci nel Cimitero Acattolico di Roma, aveva regalato alla memoria di questo grande intellettuale italiano due poesie di sua composizione: Pajaros de primavera e Partieron las Golondrinas (elaborata per l’occasione) che hanno un significato di denuncia per “queste ore così oscure” e di “interminabile decadenza”, nelle quali ci troviamo (le riportiamo, entrambe ed in lingua originale, in fondo all’articolo).

Antonio Gramsci è, tra gli intellettuali italiani, il più conosciuto ed apprezzato in America Latina, sia per la complessità e la profondità della sua analisi del sociale, sia per la peculiare storia personale di opposizione al regime fascista.

Gramsci, spiega il Prof. Piñón, è considerato più affine, per estrazione culturale e provenienza geografica, alle impronte europee che hanno plasmato la cultura sudamericana (pur con contraddizioni verso le culture autoctone) che a quelle della cultura anglosassone nordamericana. I suoi scritti costituiscono una fonte di riflessioni che stimolano nuovi approcci verso il problema della cultura, del rapporto tra gli intellettuali ed il popolo, del rapporto tra l’etica e la politica; permettono di evidenziare contraddizioni: importantissima quella tra il grande sviluppo di libertà e diritti individuali, contrapposto alla pochezza di diritti che attengono alla sfera sociale, considerata come insieme delle attività umane.

Il titolo di questo articolo, Conoscere il terreno che calpestiamo, deriva da un concetto espresso da Antonio Gramsci a più riprese, nel 1915, nel 1916 e nel 1923, in articoli pubblicati su La voce della Gioventù (quello del 1 novembre del 1923 contiene un’autocritica ed un invito a considerare le motivazioni della sconfitta dei moti socialisti in Italia).

Nel libro “La modernidad de Gramsci, Politica y Humanismo”, questa metafora, ripresa da F. Piñón, è finalizzata a dimostrare l’attualità della critica gramsciana, pur contestualizzandola nel periodo storico nel quale fu espressa.

Nell’articolo del 1923 in particolare, oltre a quello sulla scarsa conoscenza del “terreno” che si calpesta, ossia della relazione con l’ambiente, culturale e politico, nel quale ci si muove, l’autocritica di Gramsci riguarda il problema del non sapere offrire o rielaborare “certezze” morali o psicologiche, che a partire dal profondo sostrato culturale dell’epoca, non attenessero solo alla sfera della materia; altro punto importante riguarda il non avere saputo dialogare con le “masse”, trasferendo loro “il nostro linguaggio”.

La conoscenza del terreno è implicitamente, come sottolinea Piñón, quella dell’ambiente: il trionfo del fascismo non fu solo opera di Mussolini, dato che molti importanti intellettuali italiani , oltre a gran parte della popolazione, aderirono inizialmente al fascismo e lo sostennero. Tra questi Croce, Gentile, D’Annunzio, Papini, Prezzolini…

Il fascismo dei primi tempi era anche strettamente legato alle istanze del “nuovo”, della “rottura con il passato” (frasi tristemente note anche ai nostri giorni…): sentimenti incarnati proprio dal coevo movimento futurista. Sulle riviste dell’epoca gli scritti puntavano al nazionalismo e provenivano da una borghesia individualista, che non aveva il senso del sociale, sostenuta anche dai grandi capitali esteri.

La classe borghese ha promosso, storicamente, l’acquisizione di importanti istanze individuali, le basi sulle quali prosperano oggi le grandi ideologie liberali, obliterando su questo orizzonte culturale anche le classi subalterne (ed attuando il sistema produttivo che ben conosciamo): la strada da seguire consiste quindi nell’oltrepassare i limiti che vedono, dopo la Rivoluzione francese, trasferire tutti i diritti e i doveri all’individuo, tralasciando, o demonizzando, riflessioni, azioni e lotte che agiscano nell’interesse della collettività.

Gramsci ha mostrato molto interesse verso Niccolò Macchiavelli, e proprio questi gli viene in aiuto per la critica ad un tipo di borghesia, individualista e decadente, priva di un senso della socialità, nel momento in cui la contrappone a quella rinascimentale “romantica, intelligente, simpatica, rivoluzionaria che aveva il senso della bellezza”, come riporta Piñón.

Bellezza, etica, legame con il trascendente: sono campi di indagine che non possono essere tralasciati in nome di una visione deterministica di una politica, astratta e fatalista, che non regoli i suoi legami con il presente e con il fare.

Le riflessioni di Gramsci sul problema dell’intellettuale “organico”, che non “pensi” il popolo (alla maniera dell’ intellettuale borghese), che lo “sia”, sull’egemonia della classe subalterna, sono considerate, da Piñón, delle fasi che riguardano la “metodologia” di un procedere che necessita tuttavia, a monte, di una riflessione sul senso stesso di una cultura che non sia solo “ragione”, che attraversi anche gli orizzonti della metafisica, del trascendente, del misticismo, della “religiosità popolare autentica”, non alienata, ancorata al mito, all’antichità, alle necessità profonde dell’individuo. La necessità quindi di una “riforma economica, morale ed intellettuale”.

Le riflessioni di Gramsci sul suo presente storico infatti, sulla necessità del dialogo tra aspetti immanenti e trascendenti, indicano quanto egli fosse antesignano delle riflessioni elaborate ad esempio dalle correnti della scuola di Francoforte o più tardi da quella dell’Esistenzialismo francese. Ciò evidenzia, ancora una volta, le capacità fecondanti del suo pensiero.

Il nodo cruciale, nella riflessione di Piñón, esposto tra sapienti excursus, che vanno dai filosofi presocratici ai più recenti Hegel, Adorno, Horkheimer, risiede nella ricerca del come” acquisire un “sentire” che avvicini il pensare al fare, che unisca etica e politica, affinché si possa attuare anche quella auspicata dialettica tra cultura “alta” e cultura “altra” ( e mi si perdoni la fumosità di questo ultimo termine).

Durante la presentazione del suo libro , il Prof. Piñón non tace alcuni punti di vista sulla situazione attuale del Messico, pur consapevole che i problemi sociali del Messico siano atavici, secolari. E molto dipende dal rapporto con gli Stati Uniti d’America che hanno, come sottolinea a più riprese, calpestato l’intero continente sudamericano, costituendosi come il più aggressivo paese “democratico” del mondo.

Storicamente il Messico vede le sue frontiere arretrare, per una superficie che corrisponde a più della metà del territorio attuale. Piñón ricorda anche episodi autobiografici, nei quali il padre, già anziano, si rifiutava di presentare i suoi documenti alla frontiera americana, rivendicando il territorio usurpato. E ricorda anche come, oltre ai danni perpetrati per secoli dal Demone, dal nuovo Nabucodonosor, una autocritica vada ai governi locali succedutisi, alla mancanza di una “autentica organizzazione popolare”.

Al momento attuale, spiega Piñón, forse un principio di reazione potrebbe provenire dalle forze che si stanno coagulando attorno ad un nuovo partito, MORENA, che per ben due volte ha sofferto di brogli elettorali (segno anche di una possibile ingerenza degli Stati Uniti nella politica interna del Paese). La parola quindi, ora e come sempre, appartiene alla popolazione, ad una America “che aspetta di essere vendicata” non in senso violento ma con il senso delle antiche parole di Giordano Bruno:“Verrà un giorno che l’uomo si sveglierà dall’oblio e finalmente comprenderà chi è veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, a una mente fallace, menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo” (da “Spaccio de la bestia trionfante”).E, per concludere con le stesse parole delle poesie di Francisco Piñón, il richiamo è anche per un ritorno delle “rondini” perché probabilmente, c’è ancora qualcuno che sta difendendo un sogno!

Pajaros de Primavera

Pajaros de Primavera
¿Porquè  vuestro canto
en tiempos de tiniebla?

¿Porquè no anuncian
la oscuridad,
la incertitumbre
la desesperanza?

¿Porquè ese canto tan intenso,
a la luz? a las flores?
¿Porquè el trino en estas horas
de hojas secas de la Historia?

¿No escuchais , acaso,
los lamentos de los hombres?
¿No os hiere al requiem aeternam homini

da una Humanidad herida?

Vuestro canto, Pajaros de Primavera,
¿Porquè no celebran
los sueños rotos
la interminable decadencia
los ojos apagados
la
marginacióñde los desheredados?

¿No saben que los hombres
han perdido la nostalgia
y que las espadas son
espadas envainadas?


¿Porquè, todavia,
juegan con el viento,
con las ramas del arbol
con el azul del cielo?

¿Acaso porquè la primavera
puede borrar todos los Holocaustos
derriban todos los muros
olvidar todos los inviernos?

!Pero, Pajaros de Primavera,
en tan negra la noche

y tan terrible el tedio!
Solo os pido una cosa:
!
Cantad, al menos!

(F. Piñón , Itzapalapa, marzo 2017)

Partieron las Golondrinas

Partieron las Golondrinas
y, con ellas, los ensueños
Llevaban sus alas rotas.
Rotos tambien los sueños
Se esfumaron sus certezas
Se enredaron con los vientos

El Poder cobrò su precio
Negra les cayò la noche
La nada la llevaban dentro
amargura en los ojos
La soledad de por medio
¿Por que, volando tan juntos
siempre las hiriò el tedio?

Olvidaron sus raices
Confudieron los senderos
!Creyendo  volar tan alto
quemaron al fin su vuelo!

Golondrinas, Golondrinas,
¿Quien os arrancò las alas?
¿Quien apagò vuestros sueños?

¿No sabeis que a muchos han robado
la palabra intentando matar los sueños?
¿No ois los aullidos de los lobos que
se han vestido de corderos?
En estas horas tan negras
y tan profundo silencio,
¿por que no volveis a Casa?


!Volved a soñar de nuevo!
!Tal vez alguno haya conservado
una espada!
!Tal vez alguien haya defendido
un sueño!

(F. Piñón, Roma, Mayo 2017)

27/05/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: Gramsci a Vienna, 1923 (da salvatoreloleggio.blogspot.it)

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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