Segue da parte I, da parte II, da parte III e da parte IV
La mafia inizia a cercare delle alternative politiche ai settori della Dc su cui si era appoggiata
La sentenza del maxiprocesso è un colpo durissimo per la mafia, in quanto per la prima volta è messo in discussione un principio cardine su cui si regge il suo secolare potere: l’impunità. Tanto più che sono per la prima volta sono condannati anche referenti politici mafiosi, che fanno da essenziale tramite fra il mondo corrotto dell’imprenditoria, la mafia e i settori della classe dirigente con essa collusi. È un colpo molto duro per quei settori della Democrazia cristiana che per anni hanno garantito la quasi completa impunità alla mafia, in cambio dei voti necessari a mantenere il controllo politico dell’isola. Così, alle elezioni politiche del 1987 la mafia per la prima volta abbandona il sostegno alla Dc e sposta gli ampi pacchetti di voti che controlla verso il Partiti socialista e il Partito Radicale, che portano avanti un programma garantista dal punto di vista giudiziario. La mafia lancia un preciso segnale alla Dc, che per la prima volta viene superata dal Psi in zone controllate dalla mafia, e al contempo differenzia la propria rappresentanza politica, puntando a proseguire la propria marcia nelle istituzioni non solo mediante i tradizionali amici degli amici.
La reazione della mafia e dei settori conservatori dello Stato alle condanne del maxiprocesso
Dal punto di vista militare, la mafia reagisce proseguendo nella strage dei parenti, anche più lontani, dei pentiti, che avevano dato un colpo durissimo all’organizzazione, mettendo in discussione un altro elemento decisivo della sua potenza: l’omertà. D’altra parte la mafia, per quanto allora sotto la direzione dei corleonesi, non dimentica che la guerra va vinta innanzitutto sul piano politico, non essendo risolvibile sul solo piano militare; riesce così a ristabilire il tradizionale connubio con le forze conservatrici dello Stato, con l’obiettivo di rendere sostanzialmente innocuo il pool antimafia, che tanti danni aveva procurato allo svolgimento delle attività illegali. In tal modo, il partito dell’ordine convince Meli, estraneo alle indagini di mafia, ma con moltissimi anni di anzianità, a concorrere a presidente del pool, impedendo in extremis l’elezione di Falcone, data ormai per certa. Così il pool è rapidamente posto nelle condizioni di non nuocere, tanto che lo stesso Falcone, messo sempre più sotto pressione da una pesante campagna di calunnie e intimidazioni, si vede costretto ad abbandonarlo. Anche perché nei palazzi di Roma qualcosa si sta muovendo, il ministro della giustizia Martelli, nuova figura emergente del Partito socialista, sembra disponibile a rimettere in discussione la tradizionale coesistenza pacifica con la mafia.
Il rilancio della minaccia separatista
Tali sommovimenti ai vertici del governo, per quanto generalmente gattopardeschi, tendono a precipitare con il repentino e inatteso crollo del blocco sovietico. Si aprono così nuovi scenari che rendono meno indispensabile alla classe dominante la cooperazione più o meno diretta con le forze reazionarie, dai regimi di estrema destra sino allora sostenuti quasi ovunque in funzione anticomunista, ai paesi dell’apartheid fino, per tornare all’Italia, alle collaborazioni con la mafia e la destra eversiva. Visto che le condanne del maxiprocesso hanno per la prima volta messo in questione il controllo della mafia sulla Sicilia, i vertici della mafia puntano a riconquistarlo anche rompendo il rapporto di cooperazione con quella parte della classe dirigente nazionale con cui si erano spartiti il potere. Così, il 27 giugno 1989, facendo blocco nuovamente con quei settori della destra eversiva e della loggia massonica P2, che rischiano anch’essi di essere scaricati, in quanto non più necessari a impedire la conquista del potere da parte dei comunisti, la mafia rispolvera la minaccia separatista già utilizzata con successo trent’anni prima. A patrocinare il movimento saranno Vito Ciancimino, tradizionale tramite fra mafia e settori politici conservatori, Licio Gelli, massimo rappresentante della Loggia massonica P2 e Stefano Delle Chiaie, esponente di spicco dell’estrema destra. Il separatismo diviene sempre una minaccia sempre più reale in quanto tende a far blocco con le forze separatiste del nord, nel comune intento di una spartizione in tre del paese, dove le mafie avrebbero preso il controllo diretto del sud, mentre la zona nord sarebbe entrata nell’area del Marco. Tale progetto era ben visto dall’imperialismo tedesco e da quello statunitense, da sempre interessati a un controllo del sud, e non era malvisto dal Vaticano che avrebbe recuperato la sua influenza sul centro.
La minaccia separatista favorisce il netto ridimensionamento delle condanne alla mafia
Tali minacce favoriscono quei settori conservatori della classe dirigente che mirano a ristabilire una convivenza pacifica con le mafie. Tanto che, le condanne del maxi processo rischiano di essere vanificate dalle concezioni dominanti nei settori tradizionalmente conservatori della magistratura, che non ritengono la mafia un’organizzazione criminale, al punto che nel processo di appello del novembre 1990 le condanne vengono ridimensionate, in quanto si rimette in discussione la struttura verticistica e unitaria della mafia, per cui i crimini degli esecutori vengono ricondotti in modo più sporadico ai mandanti, ossia ai vertici di Cosa nostra.
La fine della guerra fredda porta alla prima condanna della mafia
Inaspettatamente, però, il 30 gennaio 1992, nonostante la corte di appello avesse nei fatti vanificato il primo (maxi) processo alla mafia, la Cassazione conferma le pesanti condanne. Causa immediata di tale colpo di scena è la determinazione di Falcone, allora funzionario del ministero della giustizia, che riesce a convincere il guardasigilli Martelli a far ruotare la carica di presidente della Cassazione, fino ad allora sempre controllata da Carnevale, soprannominato “l’ammazzasentenze”, in quanto aveva spesso cancellato le condanne che avevano colpito i mafiosi. Tale esito, dato per scontato da questi ultimi grazie alle rassicurazioni ricevute dai proprio referenti politici, salta in primo luogo per il precipitare della situazione politica internazionale con la repentina dissoluzione del blocco sovietico. Tale stravolgimento, che porta con sé la dissoluzione dello stesso Partito comunista italiano, favorisce una profonda spaccatura all’interno della classe dirigente, sino allora costretta a rimanere unita dalla necessità di fare blocco contro l’opposizione di sinistra. Ciò indebolisce la vecchia classe dirigente conservatrice e fa prevalere le forze che non ritengono più necessaria, a sbarrare la strada ai comunisti, la collusione con la mafia. Al punto che viene formata la Dia, che dovrebbe rilanciare, con il supporto di Falcone, la coraggiosa azione di contrasto portata avanti dal pool anti-mafia.
La stagione stragista della mafia funzionale a riempire il vuoto politico che si è aperto a destra
I mafiosi rischiano di essere scaricati come parenti ormai ingombranti, che ricordano un passato oscuro, che impedisce la nuova operazione gattopardesca, necessaria alla classe dominante per mantenere intatti i propri privilegi. A questo scopo essa pare disponibile a sacrificare la propria stessa classe dirigente, che aveva garantito l’impunità alla mafia. La stagione stragista della mafia si apre il 12 marzo 1992 con un delitto apparentemente incomprensibile. Viene assassinato il potentissimo europarlamentare della democrazia cristiana Salvo Lima, personaggio di spicco della corrente andreottiana in Sicilia, considerato principale punto di riferimento della mafia nelle istituzioni. Perché la mafia avrebbe dovuto colpire quello che era generalmente considerato il suo principale punto di riferimento politico? Per comprenderlo dobbiamo fare un passo indietro. Come abbiamo visto dopo decenni d’impunità della malavita organizzata, generalmente assolta per insufficienza di prove e vizi formali, la mafia attraverso i fratelli Salvo aveva ottenuto ampie rassicurazioni che sarebbe uscita illesa anche dal maxi processo confidando su “l’ammazzasentenze” in Cassazione. Perciò l’inattesa condanna nel gennaio del 1992 appare a Cosa nostra come un tradimento da parte dei propri referenti nelle istituzioni. A farne le spese sono in primo luogo i fratelli Salvo e Salvo Lima, la cui candidatura a europarlamentare viene intesa come conferma della cattiva fede.
Da mani pulite a una nuova strategia della tensione
Nel frattempo è iniziata l’inchiesta Mani Pulite, che porterà nel giro di pochissimo tempo a spazzare via l’intera classe dirigente, che aveva governato il paese negli ultimi anni. La funzione svolta dal pentapartito di sbarrare la strada del governo ai comunisti era, del resto, divenuta superflua dopo l’auto-scioglimento del Pci. Tanto più che, una volta venuto meno il terrore dinanzi allo spettro del comunismo, le classi dominanti consideravano troppo onerosa la precedente classe dirigente, che per altro si era in parte autonomizzata grazie al controllo delle allora vaste imprese pubbliche, al punto da imporre pesanti tangenti agli imprenditori, che volevano sfruttare gli appalti per arricchirsi illecitamente ai danni dei contribuenti.
I settori deviati dello Stato e la stagione stragista della mafia
In questo grande processo di ridefinizione del quadro politico del paese, la mafia entra pesantemente a gamba tesa, per non correre il rischio di essere tagliata fuori. Così il progettato omicidio del giudice Falcone – fra i principali artefici della condanna storica della mafia al maxiprocesso, che stava pericolosamente indagando sull’estendersi del potere della mafia verso nord grazie ai rapporti con settori particolarmente spregiudicati dell’imprenditoria – viene radicalmente ridefinito in corso d’opera. La mafia, con il supporto dei cosiddetti settori “deviati” dei servizi e degli apparati repressivi dello Stato, aveva attentato alla vita di Falcone attraverso un attentato dinamitardo, che avrebbe dovuto eliminarlo insieme a dei colleghi svizzeri con i quali stava indagando sulle enormi operazioni di riciclaggio di denaro sporco della mafia nel paradiso fiscale elvetico. L’attentato sarà sventato all’ultimo istante da esponenti degli apparati di sicurezza – che collaboravano alle indagini di Falcone e pagheranno con la vita questo provvidenziale intervento – che segnaleranno la borsa in cui era presente la dinamite. D’altra parte, a ulteriore dimostrazione che a voler fermare le indagini di Falcone non era la sola mafia, l’ordigno viene fatto immediatamente saltare e anche ciò che ne rimane è rapidamente fatto sparire, nonostante l’intervento di esperti artificieri, per evitare ogni prova che renda possibile risalire ai mandanti.
La strage di Capaci
Purtroppo ad apparire “deviati” agli occhi del partito dell’ordine non sono quei settori degli apparati dello Stato generalmente additati all’opinione pubblica – ad esempio coloro che cooperarono all’eliminazione di giudici che, come Falcone, intendevano scoperchiare i legami della mafia con la classe dominante e dirigente – ma al contrario quei rappresentanti delle “forze dell’ordine” e della magistratura che miravano a sradicare alle radici il fenomeno mafioso. In primo luogo non poteva che apparire “deviato” Falcone, come gli uomini delle forze dell’ordine che gli avevano salvato la vita nel precedente attentato. Proprio per questo l’attentato, già organizzato con i metodi classici della mafia, è all’ultimo momento annullato e sostituito da una operazione stragista. È una vera e propria azione di guerra, che vede l’intervento di settori degli apparati dello Stato – che avvisano gli esecutori materiali, i mafiosi, dell’imprevista decisione del giudice di tornare a Palermo, nota a una cerchia ristrettissima – e ne supervisionano l’esecuzione sul posto, anche presumibilmente in contatto con servizi di paesi stranieri e con il supporto di un aereo di ricognizione. È un’operazione apertamente terrorista in quanto – al contrario dei delitti mafiosi tendenti a fare il meno rumore possibile, al punto da prevedere generalmente l’occultamento degli stessi cadaveri – è rivolta non solo a terrorizzare i settori “deviati” dello Stato – ossia quelli che si battono per lo Stato ideale della Costituzione contro lo Stato reale, quasi sempre colluso con la mafia – ma l’intera opinione pubblica.
L’inizio della stazione stragista quale transizione alla seconda repubblica
L’eclatante attentato terroristico non poteva che avere conseguenze molto pesanti sulla mafia, a conferma del fatto che dietro la strage si muovessero ben altri interessi. L’opinione pubblica, da sempre anestetizzata dall’ideologia dominante, è finalmente libera di esprimere apertamente il proprio sconcerto e il proprio sdegno verso una “casta politica” di governo che si è dimostrata assolutamente incapace di garantire la sicurezza. Si cominciano, in tal modo, a creare le condizioni per la transizione gattopardesca dalla prima Repubblica, fondata su una Costituzione antifascista, a una seconda repubblica che avrebbe realizzato, a poco a poco, il programma della Loggia massonica P2 in funzione della restaurazione liberista.
Le conseguenze della ripresa della stagione stragista
Dinanzi alla spontanea, ma priva di direzione consapevole sollevazione dell’opinione pubblica, lo Stato imperialista reagisce con la “carota”, acconsentendo – dopo il barbaro assassinio del 23 maggio di Falcone, la moglie e la scorta – di rendere operativo il progetto di contrasto alla mafia del Pci, per il quale era stato assassinato Pio La Torre, vanamente reclamato dallo stesso Falcone. La mafia subisce, come prevedibile, un contraccolpo durissimo, in quanto viene colpita al cuore, ovvero nella stessa pretesa di arricchirsi illegalmente rimanendo impunita. Le grandi proprietà dei mafiosi vengono sequestrate ed entra in vigore il reato specifico di associazione mafiosa che apre le porte del carcere duro agli affiliati. Quindi, o la mafia è stata male consigliata dagli amici degli amici nelle istituzioni, che hanno supervisionato e reso possibile la strage, o è stata coinvolta in un gioco di ben più ampia portata, nel quale il sacrificio momentaneo di una parte, anche consistente, dei propri effettivi, renderà possibile il rilancio dell’attività mafiosa a un livello decisamente più alto. Vi è, infine, una terza ipotesi su cui occorrerebbe riflettere, ovvero se la stagione stragista apertasi con la strage di Capaci non sarà funzionale a eliminare – in quanto responsabile materiale –l’ala militare dei corleonesi capeggiati da Riina, che aveva reso sempre più problematici i rapporti organici fra l’ala “politico-economica” della mafia e i settori “non deviati” dello Stato borghese. Come dicevamo oltre alla “carota” delle leggi speciali – necessarie a riconquistare credibilità ed egemonia sull’opinione pubblica e, in seguito, a togliere di mezzo l’ala militare della mafia ancora legata alla proprietà terriera e a metodi briganteschi – i poteri forti si servono anche del “bastone”, ovvero del consueto e sistematico depistaggio, caratteristica prima delle stragi cosiddette di Stato. Tutti i materiali accumulati da Falcone nella sua indagine sulla mafia e i suoi legami con il capitale finanziario sono fatti immediatamente sparire, o sono manomessi in modo da deviare le indagini.
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