Borse di studio, ennesimo diritto sotto attacco

Anche nell’A.A. 2023/2024 in diverse regioni italiane non vengono erogate le borse di studio agli universitari che ne hanno diritto. Con questa mancanza, le istituzioni minano per l’ennesima volta i diritti garantiti dalla nostra Carta Costituzionale.


Borse di studio, ennesimo diritto sotto attacco

Il fenomeno della mancata attribuzione delle borse di studio agli universitari che ne hanno diritto è a dir poco preoccupante in diverse regioni, e nondimeno resta una questione abbastanza trascurata dalle principali fonti di informazione. Il problema riguarda alcune regioni più di altre, ed in particolar modo la Basilicata, la Sicilia, il Lazio ed il Veneto; laddove esso si presenta, può assumere dimensioni notevoli (in Veneto in particolar modo). 

Può sembrare un paradosso, ma proprio la regione del Veneto, che vanta di essere una fra le più virtuose e performanti economicamente e a livello dei servizi che offre, risulta in questo contesto la prima imputata. Si pensi che se a Palermo gli studenti idonei che non riceveranno il contributo cui hanno diritto sono il 47%, a Venezia le borse di studio non erogate sono il 25%, a Verona il 50% e allo Iuav circa il 60%. Come se non bastasse, questo scenario si era verificato anche nel passato Anno Accademico in Veneto, ma allora il Consiglio dei Ministri era intervenuto (ottobre 2023) stanziando dei fondi per garantire le borse di studio mancanti da erogare. Nella predetta regione, per coprire le necessità ci fu bisogno di ben 14 milioni di euro; il problema però fu così risolto. 

Ma per quest’anno, a ripresentarsi lo stesso scenario, non è stato affatto assicurato agli studenti che verrà in qualche modo garantito, anche se in ritardo, il contributo che loro spetta. Di più, l’assessora all’istruzione Elena Donazzan ha attribuito al governo Draghi la responsabilità di questa spiacevole situazione: aumentando la platea degli studenti rispondenti ai requisiti per accedere alle borse di studio, l’esecutivo avrebbe reso impossibile per il Veneto l’erogazione delle stesse. Per quest’anno, dunque, Donazzan dice (eufemisticamente, aggiungiamo noi) che non saranno garantite al 100%. Certo, sarebbe curioso sapere come mai solo alcune regioni non siano riuscite a far quadrare il bilancio, in particolar modo proprio il virtuosissimo Veneto, e come, ancor peggio, questo possa essersi ripetuto per ben due anni di fila, come se i parametri indicati dal governo Draghi potessero aver sorpreso le regioni di soppiatto e senza preavviso, impedendo un partizionamento intelligente dei fondi disponibili. Ma tant’è. 

In questo quadro tragicomico, sembra che non siano pochi gli universitari che hanno lasciato gli studi per l’impossibilità di sostenere le spese che ne derivano o che siano stati forzati ad integrare l’impegno lavorativo con quello universitario. Non ci si dimentichi, del resto, che le borse di studio sono garantite per coloro che dimostrano di avere un ISEE particolarmente basso, e permettono ai meno abbienti di sostenere spese finalizzate all’alloggio, ai mezzi di trasporto e al materiale didattico, oltre che all’impegno dello studio in generale. Insomma, per la maggior parte degli universitari la borsa di studio rappresenta una necessità irrinunciabile. Questo dramma non fa che acuire le disuguaglianze presenti nel Paese, ed apre un pericoloso precedente; gli assegnatari di borsa di studio non ricevono infatti un riconoscimento accessorio per qualche merito, ma un fondo senza il quale non sarebbe possibile per loro sostenere le spese derivanti dalla vita universitaria. Ciò implica che si amplifichi ulteriormente il divario sociale fra coloro che, abbienti, possono garantirsi un regolare percorso accademico, integrarlo con corsi e viaggi formativi di ogni sorta, e coloro che non possono nemmeno accedere ad un percorso di laurea di primo livello. Si tratta di una condizione alla quale non ci si può assolutamente assuefare in un paese che dovrebbe garantire pari dignità a tutti i propri cittadini. Quello che infatti è scandaloso, in tutto ciò, non è solo il fatto che non ci siano i mezzi materiali per poter erogare le borse di studio, ma il fatto che le istituzioni accettino passivamente la cosa e dichiarino che, sì, la regione mancherà al proprio dovere. Non è ammissibile che si affermi la logica per cui un diritto fondamentale come quello allo studio venga disconosciuto con tanta facilità, come se i diritti potessero limitarsi ad essere un ideale regolativo, un orizzonte d’ispirazione, una condizione desiderabile che se viene attualizzata è bene, altrimenti ce ne si farà una ragione. 

Ma purtroppo questa è solo una delle detestabili deroghe che si fanno alla nostra Costituzione. 

Questo caso inaccettabile, infatti, non può essere interpretato solo alla luce delle sue implicazioni economiche, ma ha un carattere innanzitutto giuridico e costituzionale, e perché possa essere colta a fondo la sua inammissibilità va inserito in un quadro ampio. Un quadro nel quale un paese democratico e repubblicano come l’Italia, fondato sul lavoro, l’uguaglianza e la dignità di ogni cittadino, che dovrebbe garantire l’istruzione come sua premessa ineliminabile perché queste condizioni possano essere realizzate, rinuncia ai propri fondamenti cardinali. E vi rinuncia promuovendo anzi altri valori, del tutto alieni dallo spirito della Costituzione, uno fra tutti quello della guerra. Sì, perché mentre gli studenti sono forzati a lasciare le Università ed i loro genitori non hanno i mezzi di arrivare alla fine del mese, i fondi che nelle stanze dei bottoni si pensa di raccogliere devono essere devoluti agli attuali fronti di combattimento, con funzione tutt’altro che difensiva (unica accezione che la nostra legge ammetterebbe di partecipazione bellica). Rinunciare a garantire ai cittadini una degna istruzione significa sottrarre alla base sociale la possibilità di formarsi come soggettività politica cosciente; di contro, esporre il paese intero in pericolosi scenari bellici in totale controtendenza con la sensibilità generale significa, ancora una volta, tradire la tensione critica che il popolo ora esercita.

Di tutto ciò si tace nelle testate giornalistiche di grido. Sembra che gli studenti possano destare qualche interesse solamente quando si deve condannare la cosiddetta fuga di cervelli, mai considerando come la manodopera specializzata sia sottopagata nel nostro Paese, o quando, ancor di più, si debba condannare la loro pretesa indolenza e scarsa performanza. 

10/05/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Agnese Tonetto

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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