La realizzazione del regno divino sulla terra

Hegel sembra ritrovare un modello storico-ideale della religione popolare proprio in quel mondo greco in cui la frattura fra sensibile e trascendentale, caratterizzante la modernità cristiana, non è ancora avvenuta e, dunque, la lacerazione tra pratiche rituali e religione soggettiva non si presenta; il rapporto con la divinità non comporta la mortificazione della naturalità e della vita.


La realizzazione del regno divino sulla terra

Partecipe della cultura filosofia più rivoluziona del tempo, il giovane Hegel ne deduce – in linea con una lunga tradizione filosofica [1], ma anche con i tentativi compiuti nella Francia di questi anni di introdurre un nuovo culto fondato sulla divinizzazione della ragione – la necessità di una religione il più possibile compatibile con la ragione ed il principio della libertà.

A parere di Hegel la religione popolare “produce e nutrisce le grandi disposizioni d’animo, procede di pari passo con la libertà”. Per questo motivo non può esser considerata tale una religione positiva che, come la cristiana, “vuole educare gli uomini a cittadini del cielo, il cui sguardo è sempre rivolto in alto, dove i sentimenti umani divengono estranei. Nella nostra massima festività pubblica ci si avvicina a gustare il dono santo vestiti a lutto, con lo sguardo chino” [2]. Anche in questo caso vi è un evidente contrasto tra l’accentuazione da parte di Hegel del dualismo tra piano del trascendentale e piano storico, che lo doveva portare a una dura requisitoria contro la religiosità della sua epoca, e la contiguità delle sue riflessioni con il tardo illuminismo di Mendelssohn e Lessing; autori che, pur accettando la prospettiva della religione naturale, hanno assunto una posizione di tolleranza verso il positivizzarsi della religione.

D’altra parte, però, la critica di Hegel alla religione cristiana è condotta in una prospettiva radicalmente opposta a quella di chi, come Fichte, l’aveva considerata incapace di elevarsi all’ideale razionale a causa del suo apparato rituale sensibile e positivo; nella prospettiva della religione popolare, al contrario, il cristianesimo appare incapace di influenzare la fantasia ed il cuore delle masse. In questa critica della religione esistente – seguendo una lunga tradizione, che ha le sue origini nel Principe di Machiavelli, fino a divenire un luogo comune della cultura tedesca a partire dalla seconda metà del Settecento in autori quali Herder, Goethe, Winckelmann e Schiller – Hegel non si limita ad avere come punto di riferimento il principio ideale della religione razionale, ma ne ricerca una sua concreta realizzazione, storico-utopica, nel mondo antico.

Dunque per Hegel, in evidente discontinuità con gli anni del ginnasio, la religione antica, in particolare quella greca, si pone come un modello di religione, certo positiva, ma sostanzialmente conforme ai principi della religione razionale. Essa “in quanto implica rispetto del flusso della necessità naturale da una parte ed insieme il convincimento che gli uomini sono governati dagli dèi secondo leggi morali, appare essere umanamente commisurata sia alla sublimità della divinità che alla limitatezza del suo orizzonte” [3].

Questo sensibile cambiamento della concezione giovanile, che porta Hegel a idealizzare progressivamente la religione greca, appare dunque strettamente connesso alla critica nei confronti delle credenze religiose della sua epoca storica: “ciò che è veramente amabile, i bei colori della sensibilità, è escluso dallo spirito della nostra religione, e noi in generale siamo troppo razionali e amanti delle parole per amare delle belle immagini” [4].

L’opposizione tra una religione storica antica – sostanzialmente conforme ai fondamenti della religione naturale e razionale – e un’altra, quella della sua epoca, che gli appare sempre più lontana da questo ideale regolativo, si accentua ulteriormente nel raffronto posto da Hegel tra la concezione della Nemesi e quella cristiana della provvidenza del suo tempo. Così presso i greci vi era per un verso la fede che gli dèi sono propensi al bene e sottopongono il male alla terribile Nemesi; tale fede poggiava sul profondo bisogno morale della religione, amorosamente animato dal caldo soffio dei sentimenti, e non – come avviene nell’epoca moderna – sul freddo convincimento, dedotto dai singoli casi, che tutto vada per il meglio, convincimento che non può mai essere portato nella vita vera [5]. Lo stesso discorso potrebbe essere fatto a proposito della differente concezione dei sacrifici. Hegel critica decisamente la concezione positiva dei sacrifici, intesi come “commutazione delle temute punizioni fisiche o morali in una pena pecuniaria, come un insinuarsi nella perduta grazia dell’onnipotente, del dispensatore dei premi e delle punizioni. In tal caso si rimprovera a ragione, nel giudicare l’indegnità di una simile abitudine, l’irrazionalità e la falsificazione del concetto di moralità”. Tuttavia, anche all’interno delle religioni positive spicca l’esempio tutto negativo del cristianesimo: “ma bisogna al contempo tener presente che l’idea del sacrificio non è mai in effetti esistita in modo così crasso salvo forse nella chiesa cristiana” [6]. A questa cattiva positività Hegel contrappone invece quella del mondo greco, molto più prossima all’ideale morale: “una più delicata regione del cielo” l’Ellade appunto, in cui “la disposizione d’animo con cui si offriva un tale sacrificio era ben lontana dal far pensare di avere in qualche modo con ciò espiato peccati e punizioni meritate, né la sua coscienza persuadeva il sacrificante che così la Nemesi era soddisfatta e aveva rinunziato alle sue pretese verso di lui ed alle sue leggi per il ristabilimento dell’equilibrio morale” [7].

Di particolare rilievo, anche in questo caso, è l’influsso di Schiller, nei cui scritti si presenta, proprio in questi anni, l’idea del cristianesimo come religione della scissione cui si contrappone la bella unità del mondo greco, legata al tema della realizzazione nella concretezza storica, in un futuro dai contorni indefiniti, della promessa escatologica del cristianesimo. Anche Hegel sembra ritrovare un modello storico-ideale della religione popolare proprio in quel mondo greco in cui la frattura fra sensibile e trascendentale, caratterizzante la modernità cristiana, non è ancora avvenuta e, dunque, la lacerazione tra pratiche rituali e religione soggettiva non si presenta; il rapporto con la divinità non comporta la mortificazione della naturalità e della vita. È il tema della realizzazione del “Regno di Dio” [8] – “A questa parola d’ordine ci riconosceremo nonostante ogni metamorfosi” [9] scrive Hölderlin all’amico subito dopo aver lasciato Tubinga – la nuova Ellade in grado di realizzare, ricomponendo la scissione della modernità, il kantiano regno dei fini, l’ideale giovanile che legava le aspirazioni dei “tre dello Stift” a quelle di una cospicua parte della loro generazione intellettuale. A ciò si verrà legando, generalizzando la critica al cristianesimo, la critica alla religione come rappresentazione, che Feurbach e Marx svilupperanno proprio sulla base della lunga riflessione hegeliana su questo tema, che ha qui le sue origini, nell’idea appunto che il bisogno attuale di religione sia il prodotto dalla scissione della modernità. Il suo superamento nella nuova Grecia comporta, così, anche il superamento della forma rappresentativa della religione nella filosofia, tema presente in nuce già negli scritti di questi anni, come ha più volte magistralmente mostrato Edoardo Mirri.

Tornando al giovane Hegel per lui come per Hölderlin il mondo antico, in particolare la Grecia, rappresenta un ideale di totalità organica, di bellezza realizzata, di conciliazione da opporre alla drammatica lacerazione che si presentava come il tratto caratterizzante dell’epoca moderna.

Per il giovane Hegel la Grecia rappresenta allora la libertà incarnata in un popolo, uno stato etico fondato su una religione popolare, che per esser tale “deve comportarsi amichevolmente con tutti i sentimenti della vita, non deve voler imporsi loro ma essere al massimo ben accetta. Se la religione deve poter operare sul popolo, essa deve accompagnarlo amichevolmente nelle sue occupazioni e nelle più serie circostanze della vita, come nelle sue feste e nelle sue gioie; ma non così da sembrare di imporsi o di essere guida e animatrice. Le feste popolari dei greci erano sì tutte feste religiose in onore di un dio o di un uomo che aveva ben meritato dello stato ed era stato perciò divinizzato. Tutto, perfino le sfrenatezze delle baccanti, era consacrato a un dio; i loro stessi spettacoli pubblici avevano un’origine religiosa che essi non rinnegarono mai lungo il loro grande sviluppo” [10]. 

Da qui l’idea di un mondo pre-moderno antecedente la lacerazione, il porsi per sé della soggettività, in cui la vita è ancora scevra dalle differenze fissate dall’intelletto astraente, nel quale si dà un’armonia dell’esistenza posta sotto il segno della conciliazione e della bellezza. Come osserva Bourgeois: “questa libertà del genio greco esclude ogni scissione e separazione: il cittadino è a casa sua nella polis, l’arte riconcilia con lui la natura che porta a compimento, e la religione non è nient’altro che la sacralizzazione della natura e della polis” [11].

Note:

[1] Non bisogna dimenticare che la critica alla religione cristiana come oggettivo sostegno ideologico al dispotismo era una tematica presente in diversi autori dell’illuminismo e compare ancora in Hegel in affermazioni come la seguente: “la religione cristiana ha molti martiri, fatti eroi nel sopportare, ma non nell’agire.” Hegel, Georg Wilhelm Friedrich, Gesammelte Werke, in Verbindung mit der Deutschen Forschungsgemeinschaft, a cura della Rheinisch-Westfälischen Akademie der Wissenschaften, Hamburg, Meiner dal 1968, vol. I, p. 79, Id., Scritti giovanili I, tr. it. di Mirri, E., Guida, Napoli 1993, p . 164. In tal modo, l’azione trasformatrice dell’esistente è posta in inconciliabile contrapposizione con la cristiana virtù della sopportazione, che implicherebbe una sorta di estraniazione dalle contraddizioni del mondo.

[2] Hegel, G.W.F., Gesammelte…, op. cit. vol. I, p. 110; Scritti…, cit., p. 196.

[3] Ivi, p. 106; ivi, p. 192.

[4] Ivi, p. 107; ivi, p. 193.

[5] Ivi, p. 106; ivi, pp. 191-92.

[6] Ivi, p. 108; ivi, p. 194.

[7] Ivi, p. 109; ivi, p. 195.

[8] “Reich Gottes [Regno di Dio] – osserva Lacorte – è per essi sinonimo di Reich der Freiheit [regno della libertà], di Reich der Sitten [di regno etico], di sittliche Gemeinschaft [di comunità etica]: così come, nella seconda Critica, il problema religioso riceve la sua sistemazione in funzione della morale e del costume, all’insegna cioè della dottrina «pratica» della ragion pura.” (Lacorte, Carmelo, Il primo Hegel, Firenze, Sansoni 1959, p. 198.

[9] Hegel, G.W.F., Briefe von und an Hegel a cura di Hoffmeister, Johannes, 4 voll., Amburgo 1952 (2. ed. 1977-1981), p. 9, tr. it. parziale di Manganaro, Paolo, Epistolario I (1785-1808), Guida, Napoli 1983, p. 101.

[10] Id., Gesammelte…, op. cit. vol. I, p. 110; Scritti…, cit., p. 196.

[11] Bourgeois, Bernard, Hegel à Francfort. Judaisme, Christianisme, Hegelianisme, Vrin, J., Paris 1970, p. 10.

24/03/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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