Hollywood è una miniserie televisiva statunitense drammatica e storica del 2020 creata da Ryan Murphy e Ian Brennan, pubblicata su Netflix, voto: 6,5; l’episodio pilota è significativo in quanto fa emergere tutto il marcio che si nasconde dietro lo splendore di Hollywood, ovvero i lavori più sporchi e degradanti che devono svolgere, in particolare, gli emigrati da altri Stati statunitensi e gli afroamericani, per poter essere sfruttati nel mondo del cinema. Peccato che la serie non denunci la dura realtà di tali occupazioni degradanti, ma le presenti, addirittura, come una buona occasione da non lasciarsi sfuggire per fare carriera a Hollywood.
Nel secondo episodio emerge più distintamente lo sfondo storico, che rende certamente maggiormente significativa la serie. Si manifesta nel modo più evidente l’ipocrisia puritana, per cui il cinema hollywoodiano estremamente moralista è opera di persone spesso e volentieri decisamente “epicuree”. Con la “buoncostume” intenta a perseguitare i precari di Hollywood, costretti a prostituirsi per sbarcare il lunario e non i ricchi “consumatori” di sesso a pagamento o gli imprenditori che sfruttano la prostituzione. La serie, fin troppo improntata al politically correct, mette in evidenza le diverse forme di discriminazione, tranne la più sostanziale, che è alla base di tutte le altre, ossia la discriminazione di classe, politica nei confronti di chi si oppone da sinistra al regima capitalista e al patriarcato.
Nel terzo episodio emerge nel modo più evidente come nella prostituzione – quale gavetta sostanzialmente necessaria per i normali lavoratori che ambiscono affermarsi a Hollywood – vi sia una peculiarità nella prostituzione omosessuale. In questo caso il rapporto servo-padrone che si instaura contiene al contempo un momento, per quanto paradossale, di emancipazione nei confronti dell’ipocrita moralismo puritano dominante. In tal modo, però, si rischia di perdere – come nel caso della prostituzione maschile a beneficio di donne – l’aspetto comunque violento e inaccettabile di un tale rapporto. Per il resto rimane significativa la ricostruzione storica di cosa si celi dietro l’apparente perbenismo del mondo hollywoodiano, mentre lascia completamente a desiderare la completa censura verso il clima di caccia alle streghe che di lì a poco avrebbe investito Hollywood.
Nel quarto episodio si affronta seriamente il problema del razzismo. È la stessa Eleanor Roosevelt a denunciare che le condizioni reali degli afroamericani nel sud degli Stati Uniti non sono cambiate dai tempi dello schiavismo. Emerge il potere di ricatto degli Stati razzisti del sud, che avrebbero impedito la distribuzione di un film con una protagonista afroamericana e il potere di ricatto del Ku Klux Klan verso chi si fosse assunto un tale rischio. Abbiamo inoltre il tipico grande produttore hollywoodiano che accusa, significativamente, di essere divenuti comunisti i suoi più stretti collaboratori che non lo avevano avvisato che stava per produrre un film con uno sceneggiatore afroamericano. Significativa anche la lezione che il tentativo da parte degli afroamericani di venir accettati dalla società razzista statunitense, mantenendo sempre una attitudine subalterna, non paga, mentre è essenziale la solidarietà con gli altri che subiscono le medesime discriminazioni razziali.
Più in generale, da una parte la serie si concentra positivamente in una lotta contro ogni forma di discriminazione – a eccezione, naturalmente, di quelle strutturali di classe – dall’altra cerca comunque di salvare il sedicente “sogno” americano e il suo vergognoso interclassismo. Per cui persino il grande sfruttatore della prostituzione e il padrone di una major hollywoodiana si scoprono improvvisamente pronti a sacrificarsi per i diritti civili.
La serie ha un finale consapevolmente hollywoodiano in cui tutte le discriminazioni, tolte quelle strutturali, sembrano cancellate negli Stati Uniti nel secondo dopoguerra, cioè proprio mentre stava per scatenarsi una delle più famigerate caccia alle streghe della storia. Naturalmente, in tal modo, il film finisce con l’essere una vera e propria apologia indiretta degli Stati Uniti, facendone sparire, per magia, tutte le contraddizioni. D’altra parte il sostenere la lotta contro le discriminazioni di genere, razziali o fondate sulla omofobia resta, comunque, l’aspetto più significativo della serie.
The Cave: Acqua alla gola di Feras Fayyad, avventura, drammatico, thriller, Danimarca, Germania, Francia, Gran Bretagna, Usa, Qatar 2019, il film è stato trasmesso il 9 novembre 2021 su Skycinema 2, voto: 6,5; film ben fatto, che mostra l’indispensabilità della cooperazione internazionale per la soluzione di situazioni particolarmente complesse e, al contempo, come le potenze ex colonialiste e neocolonialiste ne approfittino per i loro fini imperialisti. Emergono anche le assurde debolezze democratiche della dittatura militare thailandese e il ruolo deformante della realtà dei media. Per cui per salvare 13 persone, i contadini che hanno visto i loro campi devastati arrivano a rinunciare ai rimborsi loro dovuti credendo in tal modo di rafforzare il ruolo, sostanzialmente inesistente, dello Stato nell’opera di salvataggio. Manca del tutto il motivo per il quale l’allenatore avrebbe condotto in modo così sconsiderato dei bambini in una situazione tanto pericolosa e come hanno fatto a sopravvivere tutti.
Rocca cambia il mondo di Katja Benrath, commedia, avventura e drammatico, Germania 2019, RaiPlay, voto: 6,5; discreto film per bambini, godibile e, al contempo, abbastanza istruttivo. A tratti può essere apprezzato anche dai più grandi. Valido come riscatto per i kazaki pesantemente attaccati con toni decisamente razzisti nel vergognoso film Borat. Lo spirito della bambina e il suo modo rivoluzionario di rapportarsi al mondo è, a tratti, notevole. Peccato che, come spesso accade nel cinema borghese, l’impegno sociale è considerato a favore del sottoproletariato, nel caso specifico proprio del Lumpenproletariat (proletariato straccione), e mai schierato dalla parte della classe operaia e dei lavoratori salariati sfruttati.
The Human Voice di Pedro Almodóvar, drammatico, Usa, Spagna 2020, distribuito da Warner Bros Italia dal 13 maggio 2021, voto: 6,5; Almodóvar fa di necessità virtù e, durante la pandemia, realizza un bel film sulla base di un monologo di Cocteau, che già aveva ispirato una pellicola di Rossellini. Al posto di Anna Magnani, abbiamo ora una ottima Tilda Swifton e, a fare da scenografia, la casa dello stesso regista. Il mediometraggio è certamente magistralmente realizzato, anche se il monologo del collaborazionista Cocteau, con il suo pesante maschilismo, non consente di realizzare una vera e propria opera d’arte, per quanto il regista cerchi di rimediare a un plot non all’altezza con una modifica del finale, che appare più che una reale soluzione catartica, un tentativo di mettere all’ultimo momento una pezza a una vicenda che oggi, fortunatamente, non può che apparire arcaica.
La ferrovia sotterranea è una serie televisiva statunitense del 2021 creata da Barry Jenkins, distribuita sulla piattaforma Prime Video, che ha vinto diversi premi, voto: 4,5; sin dal primo episodio tratteggia molto bene lo stato di oppressione degli afroamericani e, al contempo, la loro volontà di riscatto. Interessante anche l’uso del Nuovo testamento da parte del raffinato e sanguinario schiavista per divinizzare ed eternizzare la schiavitù. Significativa anche la pena sanguinaria prevista per uno schiavo che fosse divenuto in grado di leggere e scrivere.
Il secondo e il terzo episodio sono davvero esemplari nella serrata e appassionata denuncia di pagine davvero buie e sconosciute della storia degli Stati Uniti d’America. Dopo aver denunciato in modo realistico la spaventosa sorte degli schiavi in Georgia e dopo aver accennato alle differenze con la Virginia, emergono gli spaventosi sistemi, quasi sempre occultati, presenti nel Sud e Nord Carolina. Nel primo caso, dietro a un’apparente integrazione degli afroamericani, si celano forme di violenza occulte terribili, con le donne sistematicamente sterilizzate e gli uomini avvelenati con medicine funzionali a svolgere esperimenti e a sondare sin dove era possibile spingersi nel far patire il corpo umano. Nel Nord Carolina il puritanesimo vuole una società fondamentalista religiosa purificata dalla presenza di afroamericani anche nella condizione di schiavitù, così i malcapitati vengono considerati e sgozzati come maiali. Al loro posto vengono asserviti gli irlandesi che, per difendere il loro status e accecati dall’ignoranza e dal fondamentalismo religioso, si accaniscono contro gli afroamericani e con chi li tollera. Peraltro si denuncia come lo schiavismo abbia degli esiti davvero infausti, antiliberali e antidemocratici, per la stessa popolazione caucasica, che rischia gravi multe se insegna a leggere e scrivere agli afroamericani e, addirittura, la condanna al rogo per stregoneria in Nord Carolina per chi li nasconde.
Il quarto episodio rappresenta una notevolissima caduta di tono, di interesse e di sostanzialità rispetto agli episodi precedenti. Si tratta di un episodio sostanzialmente gratuito, che non aggiunge nulla di significativo e che sembra fatto esclusivamente per annacquare il brodo. Anche il quinto episodio è alquanto deludente e finisce con annoiare, non avendo nulla di sostanziale da aggiungere. Le grandi dinamiche storiche tendono a scomparire dietro rapporti fra individui, che lasciano ben poco su cui riflettere allo spettatore. Nel sesto episodio emerge in modo sempre più evidente il formalismo che anima il regista e principale ideatore della serie, ovvero l’ideologia dominante degli apologeti indiretti del modo capitalistico di produzione. Nel settimo episodio tale tendenza a un formalismo fine a se stesso diviene assolutamente dominante, con il risultato di accrescere la noia per un nuovo e gratuito annacquamento del brodo, sempre più insipido.
L’ottavo episodio, dopo un inizio naturalista, precipita improvvisamente nel surrealismo post-moderno, sostanzialmente fine a se stesso. È davvero un peccato, che una serie tanto promettente, dilapidi completamente la credibilità che si era conquistata. Il nono episodio cerca di riprendere in extremis il tema fondamentale della serie, la ferrovia sotterranea, ma lo fa in modo poco verosimile e convincente. Nel decimo e ultimo episodio il film torna a un lentissimo flashback che ci narra, con dovizie di particolari tendenzialmente e gratuitamente splatter, la tragedia priva di catarsi della madre della protagonista. Dunque si consiglia vivamente di vedere i primi tre episodi e di evitare i seguenti sette.