Madres paralelas di Pedro Almodóvar, drammatico, Spagna 2021, distribuito da Warner Bros Italia, voto: 7,5; uno dei migliori film del grande regista spagnolo, notevole dal punto di vista formale, con un plot melodrammatico in grado di assicurare un significativo godimento estetico e uno sfondo sostanziale sulla lotta per ritrovare e onorare i rivoluzionari spagnoli trucidati dai fascisti durante la guerra di Spagna. Il limite principale del film è che i due piani di Madres paralelas, il coinvolgente melodramma e la vicenda storico-politica, sono connessi in modo troppo poco significativo. Tanto che i personaggi restano dei tipi molto astratti impegnati nella lotta per la memoria storica, che continua ancora ai nostri giorni in Spagna.
La ragazza di Stillwater di Tom McCarthy, drammatico, Usa 2021, distribuito da Universal Pictures dal 9 settembre, voto: 7,5; film profondo e intenso che ci presenta dei personaggi tipici statunitensi e francesi a confronto, senza scadere nei soliti luoghi comuni. Significativa la presentazione autocritica dei rappresentanti degli Usa, di cui emergono chiaramente i limiti culturali, l’individualismo esasperato e l’illusione di risolvere questioni complesse con l’uso della violenza. Significativo anche il percorso di formazione del protagonista che passa da un’ingenua visione del mondo manichea, a comprendere come le questioni sono sempre più complesse e sfaccettate di come appaiono.
Babyteeth – Tutti i colori di Milla di Shannon Murphy, commedia, Australia, Usa 2019 distribuito da Movies Inspired. Il film è stato premiato al Festival di Venezia per il miglior attore esordiente, ha ottenuto una candidatura a Bafta per la miglior regia e Miglior film indipendente internazionale, voto: 7-. Film indubbiamente emozionante e coinvolgente, narra una storia d’amore a tratti romantica – ma del tutto fuori dagli schemi – fra una adolescente destinata a morire presto a causa di un tumore e un giovane tossicodipendente che vive di espedienti. Piuttosto sofisticato nell’analisi dei personaggi, purtroppo il film non tocca quasi per niente le problematiche sociali e politiche.
Succession 2x10 serie televisiva statunitense ideata da Jesse Armstrong e prodotta da Will Ferrell e Adam McKay, su Sky Atlantic, premiatissima, voto: 6,5; nella seconda stagione emerge con maggiore chiarezza la natura decisamente berlusconiana del vecchio magnete che diviene chiaramente il protagonista. La questione della successione pare, in effetti, rinviata sine die. La serie resta una descrizione molto significativa e critica di tutte le bassezze, vigliaccherie, crudeltà e cinismi da cretino che caratterizzano la classe dominante nei paesi a capitalismo maturo. Resta il grave limite di non riuscire a immaginare nessuna uscita in senso progressivo, tanto che sembra di assistere a una rappresentazione da tardo impero. Significativa la metafora del vecchissimo padrone che, per quanto malato e indebitato, mantiene nelle sue mani tutto il potere, anche perché non ha nessuno di sensato e capace cui lasciarlo. In seguito la serie sembra aver esaurito ciò che di sostanziale aveva da comunicare e comincia a divenire noiosa e soporifera, con episodi che sembrano fatti esclusivamente per allungare il brodo. Questa vera e propria fiera del cinismo da cretino, per quanto possa essere una decisa critica della classe dominante, finisce in qualche modo con il naturalizzarsi, dando l’impressione che in un tal mondo si possa solo essere un predatore o una preda e, dal momento che queste ultime appaiono ingenue e sciocche, si finisce con il giustificare il grande predatore, sempre pronto a giocare al gatto con il topo anche verso i propri figli.
Dopo aver raggiunto il fondo con l’ottavo episodio, la seconda stagione ha un sussulto di vita, non solo portando sino alle estreme conseguenze l’homo omini lupus della società capitalista, ma facendo finalmente emergere una voce fuori dal coro – quella del fratello del grande impresario – l’unica che ha il coraggio di dire la verità sulla micidiale fabbrica del falso messa in piedi dal magnate.
Con il nono episodio la serie riprende decisamente quota. Molto significativo è il confronto davanti alla commissione di indagine del senato in cui – dinanzi agli attacchi dei democratici radicali per i gravi abusi subiti dai lavoratori e alla denuncia dello sfruttamento e della ricerca esclusiva del profitto – gli imprenditori rispondono che proprio su questo si fonda il sistema statunitense e, per trovare un’informazione controllata dal pubblico, bisognerebbe andare in Russia o in Cina. Paradossalmente, proprio questa presa di posizione si rivela vincente e spinge i repubblicani a prendere le difese della grande impresa sotto accusa per i gravissimi abusi sui lavoratori più deboli, dalle donne agli immigrati. Significativo anche il dialogo, che denuncia tutta la spietatezza del padronato, fra la rappresentante della grande impresa e la povera vittima che si era decisa a denunciare i gravissimi delitti compiuti dall’azienda contro i lavoratori.
Anche l’ultimo episodio è di buon livello. Significativo il rimprovero del padre al figlio, il quale non sarebbe mai stato un buon imprenditore in quanto non sufficientemente spietato. Inoltre, abbiamo infine una sana catarsi, in quanto il cinismo del vecchio padrone è così disumano, da spingere qualcuno del suo cerchio magico a denunciarne i terribili crimini compiuti a danno dei lavoratori.
Ariaferma di Leonardo Di Costanzo, drammatico, Italia 2021, Vision Distribution, uscita ottobre 2021, voto: 6,5; film indubbiamente godibile esteticamente e ben realizzato, curato nei particolari, ben recitato e piuttosto raffinato. Resta il problema di un plot troppo poco sostanziale e universalizzabile. C’è certamente un meritorio tentativo di riumanizzare i detenuti, non considerandoli astrattamente come dei meri criminali. D’altra parte non è per niente analizzato il retroterra socio-economico dei reati puniti con il carcere, né emerge come la sua popolazione sia composta quasi esclusivamente da povera gente, in larga parte tossica o immigrata. L’aspetto repressivo e fascistoide dei secondini scompare quasi completamente nella raffigurazione dell’ormai scontato poliziotto buono, una sorta di despota illuminato, di cui non si critica a sufficienza l’intollerabile paternalismo.
I nostri fantasmi di Alessandro Capitani, commedia, Italia 2021, distribuito dal 30 settembre da Fenix Entertainment, Europictures, voto: 6+; il film riprende spunti da Edoardo De Filippo e da Parasite, realizzando una commediola buonista e pulita, senza cadute nell’irrazionale, nel postmoderno o nel grottesco. I nostri fantasmi inquadra abbastanza bene le problematiche socio-economiche e la violenza sulle donne. Il limite – peraltro tipico della commedia moderna – è che la soluzione nel lieto fine appare piuttosto scontata sin dall’inizio, anche se c’è comunque uno sviluppo e non un semplice ritorno alla situazione di partenza.
Omicidio a Easttown è una miniserie televisiva statunitense del 2021 ideata da Brad Ingelsby e diretta da Craig Zobel, distribuita su Sky Atlantic, voto: 5; la serie cerca di tenere insieme, sulle orme di David Lynch, un giallo e l’analisi critica della vita in una cittadina della provincia statunitense. Il risultato, nei primi tre episodi, non è brillante. Le puntate sono troppo inutilmente lunghe, anche se la serie resta godibile. L’analisi della società di provincia statunitense è certo un buon intento, ma i risultati restano modesti. Più che realista, la rappresentazione sembra naturalista e incapace di indagare seriamente le problematiche socio-economiche e i conflitti sociali. In tal modo, al di là delle problematiche famigliari, resta ben poco di sostanziale.
Interessante come la serie, anche nei confronti della protagonista, non ci mostri un personaggio schematico, ma più realisticamente un individuo complesso, con le sue doti, ma anche con i suoi punti deboli, i suoi errori e le sue colpe anche gravi. Interessante anche l’indagine sui segreti nascosti negli armadi dei membri della chiesa e sulla tendenza delle istituzioni poliziesche ed ecclesiastiche a occultare i crimini compiuti dai propri membri, semplicemente sospendendoli per un certo tempo o spostandoli da una diocesi a un’altra.
La serie si sviluppa puntando sempre più su analisi psicologiche piuttosto che far riflettere sulle motivazioni strutturali, sociali ed economiche dei crimini. Allo stesso modo, non si mette in discussione il ruolo di eroi dei membri degli apparati repressivi dello Stato imperialista più aggressivo e guerrafondaio del mondo. D’altra parte nella serie sono posti al centro e denunciati i delitti contro le donne, da quelle più deboli tossicodipendenti e più o meno costrette alla prostituzione, alle violenze subite in famiglia, le più comuni e anche le più difficili da far emergere. Nella puntata conclusiva tutto torna compiutamente nell’ordine costituito, secondo il più becero finale hollywoodiano che cancella anche i rari spunti critici della serie, che diventa, peraltro, sempre più inverosimile, noiosa e gratuita.
Il gioco del destino e della fantasia di Ryûsuke Hamaguchi, drammatico, Giappone 2021, vincitore del gran premio della giuria al Festival di Berlino, distribuito da Tucker Film dal 22 agosto, voto: 5; ennesimo film scioccamente esaltato dalla critica cinefila e festivaliera, non a caso premiato a Berlino, uno dei festival più connotati dall’ideologia reazionaria dominante. Il film non ha davvero nulla di notevole. Vi sono tre storie sostanzialmente anonime, senza legami significativi fra di loro e del tutto prive di dinamiche sostanziali. Il film suscita scarso godimento estetico e lascia ben poco su cui riflettere lo spettatore. Fra i tre episodi, l’unico con un minimo di spessore è il primo, mentre il secondo e il terzo divengono sempre più anonimi e noiosi.
L’occhio di vetro di Duccio Chiarini, documentario, Italia 2020, distribuito da Istituto Luce, voto: 4+; documentario a tratti interessante, in quanto scava nel passato fascista, sempre più o meno occultato, della propria stessa famiglia. Così, da un caso particolare, si ricostruiscono alcune vicende storiche di carattere universale. Peccato che l’intento di capire porta il regista a riscoprire l’umanità dei suoi parenti fascistissimi mai pentiti e a esaltare il cognato che, per quanto partigiano, li nasconde dalle rappresaglie in quanto – al di là delle diverse vie in cui li avrebbe portati la storia – vi sarebbe un legame umano superiore. In tal modo si finisce – in totale accordo con l’ideologia dominante – per riabilitare, di fatto, anche chi ha sempre militato nel fascismo.