Cubanas, mujeres en revolución (cubane, donne in rivoluzione) è un documentario della regista María Torrellas, prodotto dal Resumen Latinoamericano e disponibile gratuitamente su internet. Insieme alle Brigate internazionali di comunicazione solidaria del PSUV, alla Conaicop e a Resumen Latinoamericano, l’abbiamo trasmesso in streaming sottotitolato in italiano giovedì 25 giugno durante il primo appuntamento del Cine debate estivo per raccontare la rivoluzione cubana attraverso le donne che l’hanno fatta nascere e continuano a portarla avanti. Donne che, come disse Fidel nel famoso discorso tenuto a Santiago de Cuba il 1 gennaio 1959, venivano discriminate tre volte: in quanto donne, in quanto nere e in quanto lavoratrici.
Il documentario ci racconta la vita delle donne che hanno fatto e continuano a fare la storia di Cuba, tra queste: Vilma Espín, Celia Sánchez e Haydée Santamaría. Tutte e tre provenienti da famiglie benestanti, si unirono al movimento rivoluzionario, parteciparono alla lotta armata di liberazione dal dittatore Fulgencio Batista e contribuirono a costruire la Cuba di oggi. Donne che hanno saputo combattere gli stereotipi dell’epoca, la pressione sociale che le obbligava ad un cammino sicuro ma inesorabilmente segnato per seguire i propri ideali.
Le cubane che il documentario intervista, artiste, scienziate, militanti, operaie, portano avanti la loro opera in un contesto profondamente cambiato. La rivoluzione, infatti, permette a tutte di poter accedere gratuitamente ai più alti livelli di istruzione, di poter essere assistite gratuitamente in ogni momento della gravidanza, di poter lavorare e contare su una reale uguaglianza di condizioni che le rende effettivamente indipendenti e libere dal dominio del maschio.
La piaga della prostituzione, così come la violenza o la discriminazione di genere, sia verso le donne sia verso tutti coloro che hanno un diverso orientamento sessuale, non sono problemi scomparsi ma vengono affrontati a partire da un contesto socio-economico profondamente diverso rispetto a quello capitalista, partendo cioè dalla prevenzione, dall’uguaglianza e dalla possibilità di poter ricominciare la propria vita da zero senza paura del domani. D’altronde, lo stesso Fidel denunciava che anche il linguaggio discrimina e discrimina le donne.
Il problema oggi, non è solo quello di combattere contro stereotipi, violenze e discriminazioni che poggiano su millenni di patriarcato e secoli di capitalismo che nessuna rivoluzione, in sessantuno anni, può spazzare via completamente, ma affrontare il problema dell’offensiva culturale che il capitalismo mondializzato sta portando avanti e che trova nelle etichette di genere veicolate attraverso i libri, le immagini, la musica, i videoclip e le altre manifestazioni artistiche un potente caposaldo.
Per combattere questa dannosa e retrograda influenza, Cuba non ha scelto la via occidentale. I trans vengono reclutati per contrastare la diffusione dell’Aids e promuovere attivamente l’educazione di genere, sia nelle scuole, in collaborazione col ministero dell’istruzione, sia nei quartieri e nei luoghi di lavoro, in collaborazione col sindacato. A Cuba non si parla di “comunità LGBT” o di “quartieri gay” perché non si vogliono creare ghetti, mettere etichette. Al contrario, insegnare la convivenza, facendo sì che tutti gli spazi siano di tutte le persone, eterosessuali, omosessuali o transessuali, viste quali cittadini, cioè soggetti portatori di diritti.
Dopo la visione del documentario si è svolto un dibattito di approfondimento con la regista e altri militanti italiani e latinoamericani tra cui Geraldina Colotti e Tania Diaz, quest’ultima deputata dell’assemblea nazionale del Venezuela.