L’Expo 2015 sarà una spesa enorme per la collettività e una vetrina a disposizione di politici e imprenditori in un evento che ha già ricoperto con colate di cemento, lavoro precario e gratuito, e mazzette per gli appalti, la bella immagine pubblica che voleva darsi. Le reti di attivisti NoExpo, i laboratori dello sciopero sociale e i sindacati conflittuali si mobilitano in continuità con gli scioperi e le manifestazioni di novembre e dicembre scorsi.
di Andrea Fioretti
Al di là della propaganda mainstream di questi mesi sui temi di Expo 2015 e sulle sbandierate prospettive di “sviluppo” che ne deriverebbero, gli interessi e il vero core business di questo evento non hanno tardato a venire a galla.
I movimenti #NoExpo, che stanno denunciando da mesi la natura affaristica e speculativa del mega evento che si svolgerà a Milano, lo hanno etichettato con uno slogan - “debito, cemento, precarietà” - che riassume bene gli effetti concreti che lascerà sul campo. Infatti, l’Expo 2015 sarà alla fine una spesa enorme per la collettività e una vetrina a disposizione di politici e imprenditori in una fiera che ha già ricoperto con colate di cemento, lavoro precario e gratuito, mazzette per gli appalti, la bella immagine pubblica che voleva darsi col titolo della sua convocazione: “Nutrire il pianeta, energia per la vita”.
A smascherare questa ipocrisia non solo le inchieste dei movimenti e dei giornalisti indipendenti, ma anche gli scandali giudiziari che hanno portato ad arresti, denunce, avvisi di garanzia per corruzione e appalti truccati ai danni di imprenditori, amministratori e politici.
Nello scorso anno infatti il subcommissario di Expo 2015, Antonio Acerbo è stato raggiunto da un avviso di garanzia, indagato per corruzione, e precedentemente erano stati arrestati Angelo Paris (direttore generale di Expo 2015 Spa), Luigi Grillo (ex senatore di Forza Italia), Gianstefano Frigerio (ex Forza Italia), Sergio Cattozzo (ex segretario dell'UDC in Liguria), l’imprenditore Enrico Maltauro e il «compagno G», Primo Greganti, balzato agli onori della cronaca all’epoca di Tangentopoli.
La costruzione delle infrastrutture e degli spazi della fiera per l’esposizione non hanno portato ricadute occupazionali significative, visto che ogni Stato partecipante ha scelto di utilizzare lavoratori del proprio paese. In compenso si sta rivelando una “mano santa” per palazzinari e costruttori che stanno vedendo moltiplicato il valore di intere aree urbane a spese collettive con conseguenti debiti miliardari che resteranno per i cittadini.
Le speculazioni edilizie e gli scandali non hanno però scalfito il governo Renzi o il sindaco di Milano Pisapia che fanno finta di nulla e in questi mesi hanno continuato a presentare l’evento come “il fiore all’occhiello del nostro Paese” e “una festa di sei mesi in cui riflettere anche su temi fondamentali”. Mentre Maroni usa addirittura il logo di Expo 2015 per un convegno anti-gay promosso ufficialmente dalla Regione Lombardia.
Ma al di là delle dichiarazioni pubbliche di governo e amministratori locali, è l’impatto del “modello Expo” su lavoro e precarietà quello che ha scatenato le maggiori proteste e mobilitazioni, come riportato all’attenzione pubblica dalla manifestazione del 14 novembre scorso a Milano durante la giornata dello sciopero sociale di movimenti e sindacati di base e di quello dei metalmeccanici della FIOM. In quell’occasione è stata lanciata anche la campagna su facebook “Io non lavoro gratis per Expo” con lo slogan “No al modello Expo! Se lavori gratis non ti stai autovalorizzando. Ti stanno sfruttando”.
Infatti, il protocollo sindacale d’intesa siglato con Expo2015 spa è un vero e proprio antesignano dei contenuti del JobsAct. Un accordo quadro che deroga dallo Statuto dei Lavoratori limitando i diritti della manodopera impiegata, imponendo il lavoro gratuito sotto forma di “lavoro volontario per il bene collettivo” (a vantaggio di un’azienda Spa) e cancella il diritto di sciopero.
Tale modello di sfruttamento del lavoro gratuito (presentato come “opportunità per i giovani per arricchire il curriculum”), benedetto da governo e amministrazioni locali, è stato siglato da Cgil, Cisl e Uil ma contestato da subito dalle reti sociali del movimento NoExpo, dai sindacati di base e dalla FIOM che ha condannato “tutta la doppiezza della Cgil, che da un lato critica il Jobs Act di Renzi, rimproverando una flessibilità troppo marcata, ma d'altro canto avalla la flessibilità selvaggia e la utilizza come dogma, perdendo di vista gli interessi dei lavoratori, che vengono sacrificati sull’altare dell’Expo”.
Si calcola che questa macchina dello sfruttamento potrà coinvolgere circa 18.500 giovani volontari andando a pescarli addirittura nelle scuole, smascherando vosì anche la vera faccia della “scuola del fare” come “fabbrica della precarietà”.
Tutto questo in un paese dove il tasso di disoccupazione giovanile sfiora il 46% e dove il Jobs Act imporrà un modello di precarietà permanente ai contratti a tempo e la cancellazione delle tutele per quelli stabili. La filosofia sembra quella del passaggio all’idea dei mini-jobs già sperimentata in Germania e della cancellazione del modello di welfare fin qui conosciuto a vantaggio di un sistema di workfare, ossia dell’accesso ad alcuni ammortizzatori sociali solo in cambio dell’accettazione di lavoro sottopagato e semischiavistico a “tutele crescenti”. Il concetto di fondo, che Renzi vuole ora isitituzionalizzare in un “modello contrattuale, è che se sei precario o disoccupato devi accettare qualsiasi forma di lavoro perché l’alternativa è restare senza, in un paese in cui il lavorare a tempo determinato è per sempre.
Così le migliaia di posti di lavoro ventilati con Expo 2015 si traducono in “volontariato” (ossia lavoro gratis). Non solo si impone ai precari di accettare stage malpagati, apprendistati senza nessuna garanzia di assunzione e contratti determinati rinnovabili all’infinito, ma si reclutano anche studenti per svolgere lavori non retribuiti. Quei lavori che potrebbero servire a molti disoccupati per ricevere uno stipendio per vivere.
Questa è l’eredità vera che lascerà sul campo il modello Expo 2015. E per contrastare questo modello, questo sabato 17 gennaio a Milano, si sono riunite nuovamente le reti sociali ed i movimenti di lotta che nel paese lo vogliono contrastare cercando di comunicare a livello di massa la possibilità di costituire una “alternativa a questo modello di sviluppo (...). A Milano, nell’intero paese, ovunque”. Da qui si lanceranno i prossimi appuntamenti che passeranno per il secondo appuntamento dello #StrikeMeeting e per la manifestazione nazionale del prossimo 1° Maggio a Milano quando la tradizionale #EuroMayDay, in una sorta di prosecuzione dell’autunno di lotte, sarà caratterizzata proprio da una piattaforma contro JobsAct e contro il modello dell’Expo 2015 che inaugurerà proprio in quei giorni.
Perchè, come dicono i comunicati di convocazione, “nel 2015 l’uscita dalla crisi sociale percorre anche la strada dell’opposizione ad Expo!”