Renzi, la TASI e il dèjà-vu

La strategia del Governo Renzi: perdere a sinistra ma recuperare a destra per il “partito della nazione”.


Renzi, la TASI e il dèjà-vu

L’abrogazione della tassa sulla prima casa, contenuta nella Legge di Stabilità, dà la possibilità di mettere ulteriormente a fuoco la strategia che il Governo Renzi sta impostando e la direzione nella quale il Primo ministro sta spingendo il proprio partito: perdere a sinistra ma recuperare a destra e creare il c.d. “partito della nazione”.

di Carlo Seravalli

Il provvedimento che a nostro giudizio permette maggiormente di capire il senso politico della nuova Legge di Stabilità del Governo Renzi è l’abrogazione della tassa sulla prima casa. Analizziamo la questione in modo più approfondito.

Si noti, in primo luogo, che si tratta di una misura del tutto analoga a quella presa da Berlusconi nel 2008 con l’abolizione dell’Ici, abolizione che, essendo stata annunciata in campagna elettorale, aveva contribuito significativamente alla vittoria del centro-destra alle elezioni politiche. Lo stesso Renzi non ha nascosto questa affinità che, anzi, ha rivendicato in molteplici dichiarazioni tv e a mezzo stampa. Su questo punto torneremo, ma è necessario preliminarmente fare alcune osservazioni sul corso del dibattito politico che si è sviluppato all’indomani della conferenza stampa del 15 ottobre, quella nella quale il Premier e il Ministro Padoan hanno presentato il profilo della nuova manovra economica.

Come è noto, in un primo momento il Governo prevedeva l’abolizione della tassazione su tutte le abitazioni che fossero registrate come prime case di residenza. Su questo punto si sono sollevate le critiche. In particolare, al solito, la cosiddetta “opposizione interna” del Partito Democratico ha stigmatizzato la volontà del premier di cancellare la tassa anche ai possessori di case di lusso, messi alla pari di proprietari di monolocali in periferia. Bersani ha usato parole forti, parlando di violazione della Costituzione, la quale sancisce la progressività delle imposte. Per alcuni giorni non si è fatto altro che parlare di castelli, superattici, ville.

A queste critiche il Premier ha risposto annunciando, il 20 ottobre, che le abitazioni registrate al catasto sotto le categorie A1, case signorili, A8, ville, A9, castelli, non saranno esentate dal pagamento dell’imposta. Si tratta veramente di una retromarcia, come titolava Repubblica? Conviene approfondire. Scenderemo un po’ nel dettaglio tecnico, ma ne vale la pena.

In Italia, a fronte di circa 19 milioni di abitazioni principali, solamente poco più di 73.000 immobili risultano registrati nelle categorie A1, A8 e A9. Una tabella recentemente pubblicata da Confedilizia sul proprio sito web, relativa agli immobili di tipo A1, mette in luce una situazione incredibile: in Italia le abitazioni accatastate come case signorili sono soltanto 23.974. La loro distribuzione geografica risulta ancora più sorprendente: il più alto numero si trova a Genova (4.398)! Il capoluogo ligure è seguito da Firenze (2.926), Napoli (2.840), Milano (2.504), Torino (2.278) e soltanto in sesta posizione da Roma (2.124). Una città con poco meno di 600.000 abitanti, come Genova, registra un numero di appartamenti di lusso più che doppio rispetto a Roma, capitale dello Stato e città di quasi 3 milioni di abitanti!

Ancora qualche dato: secondo la tabella di Confedilizia, Palermo avrebbe soltanto 171 appartamenti di lusso, Bologna 85, Salerno 71 (ecco perché De Luca non fa altro che parlare di rigore spartano!); alcuni capoluoghi di provincia non ne contano nemmeno uno: Latina, Potenza, Grosseto, Caltanissetta. C’è qualcosa che non va.

Tale quadro abnorme ci viene chiarito da un interessante articolo apparso sul Sole24ore il 30 agosto 2013. La soluzione è presto detta: in Italia gli appartamenti di lusso sono molti di più, ma non vengono accatastati nel gruppo A1. La norma, infatti, stabilisce che per far parte di questa categoria un’abitazione debba avere una superficie commerciale superiore a 240 metri quadrati, almeno 3 bagni con “finiture di tipo signorile”, ascensore e portineria. Basta costruire un appartamento con una superficie di poco inferiore, oppure rifinire soltanto due dei tre bagni in modo signorile, ed ecco che l’immobile può essere registrato nella classe A2, che comprende le abitazioni di tipo civile. Lo stesso vale per le ville: anche in questo caso, per far parte della categoria A8, bisogna avere una casa di almeno 230 metri quadrati con tre bagni. Tutte le ville con abitazione di metratura inferiore sono registrati come villini, categoria A7, e non pagheranno tasse. Immaginiamo che i costruttori siano stati attenti a non superare tali limiti; infatti il catasto registra soltanto 35.000 ville (classe A8) sul suolo nazionale, mentre i “villini” (classe A7) risultano essere ben 2.200.000.

Lo stesso articolo, inoltre, ci informa del fatto che l’assegnazione di un immobile ad una categoria è stabilita dagli impiegati del catasto non in virtù di un controllo diretto, ma sulla base dei dati forniti dai tecnici delle ditte di costruzione. Di fatto si tratta di un’autocertificazione che raramente viene verificata dagli uffici pubblici.

Da quanto abbiamo sopra riportato appare evidente come la retromarcia di Renzi sulla prima casa non ci sia affatto stata e come la natura brutalmente regressiva del provvedimento resti assolutamente intatta:i ricchi avranno forti vantaggi dall’abolizione della Tasi, mentre i proprietari di appartamenti di dimensioni comuni si dovranno accontentare di pochi euro l’anno. Il senso politico della manovra sta proprio qui: avvantaggiare i medi e grandi proprietari, ovvero attrarre verso il Governo il blocco berlusconiano in disgregazione.

Con la Legge di Stabilità la strategia complessiva messa in atto da Renzi si delinea in modo piuttosto chiaro. Il Premier considera evidentemente una propria priorità, un proprio mandato, diremmo, l’attacco al mondo del lavoro subordinato, al pubblico impiego e in generale allo stato sociale. Il Governo si è assunto il compito di smantellare ciò che resta dell’apparato giuridico a tutela dei lavoratori e di ridurre ulteriormente la spesa sociale dello Stato. La finanziaria, con i 17 miliardi di tagli in tre anni a carico delle Regioni (quindi della sanità) e con la riduzione del turnover nel pubblico impiego al 25%, si spinge ulteriormente in questa direzione.

Questa linea politica sta facendo accelerare un processo storico in atto da almeno due decenni: la separazione della classe lavoratrice da ciò che resta dell’apparato politico erede del Partito Comunista Italiano, cioè dal PD. Renzi è consapevole di questo. Sa che la propria linea antisindacale, l’attacco frontale al mondo della scuola e del pubblico impiego, hanno prodotto una rottura con l’elettorato di centro-sinistra che si tradurrà necessariamente in una perdita di consenso. Questo lo ha messo in conto.

L’ipotesi su cui il premier fonda il proprio avvenire si riduce a due punti. In primo luogo fare in modo che questa emorragia di voti a sinistra sia la più ridotta possibile; a questo servono provvedimenti di natura populistica, come gli 80 euro in busta paga, le ipotesi di tipo “laicista” alla Zapatero - quali quella della legge sulle unioni civili (finora, inoltre, rimaste allo stato progettuale e quindi propagandistico)-, iniziative di natura puramente simbolica, come la riapertura del quotidiano L’Unità. In tal senso risulta fondamentale l’inconsistenza politica delle forze a sinistra del PD e la cialtroneria di gran parte del loro gruppo dirigente: non tutti i voti in uscita confluiranno nel Movimento 5 Stelle, anche se molti lo faranno; alcuni andranno nell’astensionismo, una parte tornerà al PD. L’obiettivo strategico tuttavia è un altro. La prospettiva di Renzi è di perdere a sinistra, ma di recuperare a destra. Questo il senso ultimo dell’abolizione della tassa sulla casa, ma anche dell’innalzamento della soglia del contante a 3.000 euro: presentarsi come il nuovo Berlusconi. Di qui le esplicite ammissioni del Premier di aver imitato il cavaliere. È un ammiccamento agli ex berlusconiani d’Italia.

Emerge ciclicamente nelle dichiarazioni di esponenti politici del Partito Democratico la questione del cosiddetto “partito della nazione”. In genere si tratta di oppositori di Renzi, che ne parlano come di una prospettiva da evitare. Il progetto sarebbe questo: utilizzare il PD come mezzo per la formazione di un partito conservatore che assorba gran parte degli elettori di centro-destra, mantenendo almeno in parte il consenso di centro-sinistra. Sulla reale fattibilità di questo progetto abbiamo dei seri dubbi, ma ci sembra innegabile che un’ipotesi del genere stia in piedi e che la borghesia italiana ed europea vi lavori da tempo.

Un partito di ampie dimensioni, aiutato da una legge elettorale con forte premio di maggioranza e quindi dotato di una forza stabilizzatrice, atto a portare a termine la ristrutturazione liberale del Paese, in risposta alla crisi economica. Questa è la prospettiva che la Legge di Stabilità indica.

06/11/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Carlo Seravalli

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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