La storia di Stefano Cucchi. Torture all’arresto, in carcere e morte all’ospedale “Sandro Pertini”. A un anno dalla sentenza della I^ Corte d’Assise d’Appello. Nuovi indizi, riaperte le indagini. Il pestaggio al momento del fermo, il 15 ottobre 2009. Due militari dell’Arma dei Carabinieri, i nuovi super testimoni, denunciano i colleghi. Il reato di tortura, legge bloccata in Senato.
di Alba Vastano
“Non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte mi cercarono l’anima a forza di botte” (F. De Andrè, Il Blasfemo).
A breve sapremo. Sarà il 15 dicembre. Nuovi indizi conducono a risvolti che potrebbero ribaltare l’ultima sentenza, sfavorevole per la famiglia Cucchi e il suo legale Fabio Anselmo, e consegnare i colpevoli alla giustizia. E che trionfi davvero la giustizia questa volta, che sia fatta luce ed emerga la verità su quanto accaduto in quei cupi giorni dell’ottobre 2009 che videro la fine misteriosa del loro Stefano, in stato di detenzione nelle carceri di “Regina Coeli”, dopo l’ arresto per spaccio di stupefacenti. Il fermo avvenne il 15 ottobre del 2009. La morte il 22 Ottobre, presso l’ospedale “Sandro Pertini” di Roma. Furono giorni di buio per la famiglia del giovane geometra romano, di assenza totale di informazioni, dopo la prima udienza per direttissima il giorno dopo l’arresto, sul suo stato di salute.
Nessuno, infatti, dei familiari poté più entrare in contatto con lui. In quei giorni cosa è accaduto a Stefano? Perché un giovane sia pur fisicamente debilitato da una vita sregolata e dall’uso di droghe, sia pur molto esile anche per costituzione, arriva a morire in quel modo, con il volto tumefatto, un occhio pesto e il bulbo rientrato, costole rotte? Chi l’ha ridotto così? Fuori i colpevoli. Questo vuole la famiglia, questo vuole chi lotta per la verità, chi pretende che prevalga la giustizia su fatti così riprovevoli, su personaggi che dichiarano il falso.
Per questo Ilaria, la sorella, si batte con tenacia da ben sei anni, affinché la morte del suo caro sia rivendicata. Affinché nessuno più, in carcere, debba essere torturato com’è accaduto a Stefano. Sarà il 15 dicembre, quindi, quando i giudici della Cassazione (quinta sezione penale) si esprimeranno, per vagliare di nuovo il caso che si arricchisce di nuove prove a favore dei Cucchi, dopo le sentenze della III˚ Corte d’Assise e della I˚ Corte d’Assise d’Appello di Roma.
La vicenda è ormai nota, ma soprattutto tristissima. Rappresenta ormai, come altri casi similari, fra cui quelli notissimi di Carlo Giuliani, Federico Aldrovandi e Giuseppe Uva, i soprusi che avvengono da parte della polizia in caso di fermo e le torture sui detenuti nelle carceri italiane. Rappresenta anche le prove insabbiate nei processi e la parzialità e le omissioni che avvengono.
Il giudizio emesso, quindi, non sempre è equo, non sempre la giustizia è uguale per tutti. Stefano, da prove consegnate dai legali ai giudici, prove inconfutabili e che parlano chiaro sul trattamento subito dal giovane, sembra proprio essere stato pestato selvaggiamente da chi avrebbe dovuto garantirne invece l’incolumità. Dai carabinieri che lo arrestarono e dalle guardie carcerarie, come da testimonianze di alcuni detenuti che hanno assistito al pestaggio. Come smentire quelle impressionanti immagini che mostrano il volto del giovane ridotto a poltiglia? Eppure gli imputati sono stati tutti assolti. Tra loro però ci sono i rei di tortura, ci sono dei colpevoli ancora a piede libero, autorizzati dall’ultimo verdetto.
Giudizio di primo grado e d’appello. Le sentenze
È il 5 giugno 2013. L’aula della III˚ Corte d’Assise è affollatissima. Una giornata lunghissima, iniziata nelle prime ore della mattina. Solo nel pomeriggio i giudici emettono il giudizio di primo grado sul caso Cucchi. Vengono assolti gli infermieri (Flauto, Martelli e Pepe) e gli agenti di polizia (Minichini, Santantonio e Domenici). Condannati, con pene diverse, i medici dell’ospedale romano “Sandro Pertini”. Al primario, Aldo Fierro, due anni di reclusione. Ai medici della struttura ospedaliera, che avevano in cura il giovane (Di Carlo, Bruno, Corbi e De Marchis) un anno e 4 mesi. Una sconfitta per la famiglia, soprattutto per Ilaria che esibisce prove innegabili. Le foto della salma di Stefano che parla da sola, riguardo alle torture subite. Si passa all’appello
È il 31 ottobre 2014. Si attende il verdetto della I˚ Corte d’Assise d’Appello. I giudici stravolgono la prima sentenza assolvendo tutti gli imputati. Una nuova tragedia per la famiglia. Vedono morire per la terza volta Stefano. Per le torture inflittegli e per due volte di malagiustizia. Ilaria si ribella. Va ovunque, parla con i media, vuole giustizia, quella vera, quella uguale per tutti. Si muove l’Acad e organizza una fiaccolata per ricordare tutte le vittime delle carceri italiane e gli altri pestati a morte dalle forze dell’ordine. Grande la partecipazione (v. Caso Cucchi. Un deja vu ancora più amaro del primo verdetto). Dall’alto degli scranni politici, dai sindacati di polizia si alzano i toni contro la famiglia che lotta per la giustizia. "Stefano Cucchi era uno spacciatore abituato alle percosse tipiche dell'ambiente della droga" così Carlo Giovanardi “Mi devono uccidere per farmi arrendere” grida Ilaria. Il popolo dei giusti è con lei. E chiede l’introduzione del reato di tortura.
Il reato di tortura in Italia
(v. Tortura e carceri, un male tutto italiano.)
La Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984, ratificata dal nostro paese nel 1988, prevede che ogni stato si adoperi per perseguire penalmente quegli atti di tortura delineati all’art. 1 della Convenzione stessa.
L’impegno con le Nazioni Unite, firmando la convenzione internazionale, è stato preso circa 30 anni fa, ma in Italia il reato di tortura, è ancora il grande assente. “Ho assistito, in Parlamento, a dibattiti sconvolgenti. Ho sentito parlamentari dire che non può essere punita la sofferenza psichica prodotta dalla tortura. O che la tortura, per essere tale, deve essere ‘reiterata’. Abbiamo sentito il governo spiegare che in Italia manca un reato specifico, perché la tortura è ‘lontana dalla nostra mentalità’”. (Giovanni Russo Spena).
Subito dopo i fatti di Genova, dove durante il G8 venne ucciso Carlo Giuliani e alla scuola “Diaz” furono torturate decine di persone, venne inoltrata la proposta di legge per approvare il reato di tortura. La proposta venne contrastata fermamente dalla Lega nord e cadde nel vuoto. Vittoria nell’aprile 2015. L’Italia è condannata per tortura dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, grazie al compagno Arnaldo Cestaro, torturato nella scuola Diaz. A che punto è oggi l’iter legislativo delle due camere? Approvato in Senato, da perfezionare alla Camera dei deputati, torna in Senato.
"La Camera dei Deputati ha approvato un testo sicuramente non perfetto. È stato fatto, tuttavia, un importante passo avanti. Ora infatti esiste la prospettiva concreta che la parola 'tortura' faccia il suo ingresso nel nostro codice penale e che si ponga fine all'impunità, pressoché garantita nella situazione attuale, di coloro che nel nostro paese si rendono colpevoli di atti di tortura. Adesso tocca nuovamente al Senato.
È dalla fine degli anni Ottanta che chiediamo al parlamento di onorare l'impegno preso dall'Italia più di un quarto di secolo fa con la ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura. Il monito lanciato pochi giorni fa dalla Corte europea dei diritti umani nella sua sentenza sul caso Diaz non può e non deve essere ignorato". Così Antonio Marchesi , presidente di Amnesty International. Quanti reati sono rimasti impuniti, quanti pestaggi, quante torture e i colpevoli garantiti, senza un solo giorno di carcere, con pene lievissime. Alcuni addirittura promossi nell’organico della polizia di Stato. Basti pensare a “…De Gennaro, uomo degli Usa, della Nato, di Napolitano e del Pd è l’uomo più potente d’Italia” (G. R. Spena) .
Un nuovo scenario per il processo Cucchi. Ci sono i supertestimoni
Una nuova indagine guidata dal procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, riapre i fondamentali capi d’accusa: pestaggio e torture sul ragazzo, subito dopo il fermo dei carabinieri. Indizi forniti da due testimoni, rappresentanti dell’Arma, che non se la sono sentita di tacere, dopo aver raccolto queste rivelazioni da altri colleghi. Sull’Espresso dell’11 settembre 2015, in un articolo di Giovanni Tizian, sono a disposizione gli audio che raccolgono la verità della notte in cui Stefano venne arrestato e portato in caserma.
In uno dei due audio: “Un carabiniere donna racconta di quando il maresciallo Roberto Mandolini, ora indagato per falsa testimonianza, gli disse che con Cucchi due agenti avevano esagerato, ovvero l'avevano massacrato di botte”.
Nell’altro audio “la testimonianza del carabiniere che raccolse lo sfogo del maresciallo Mandolini, preoccupato di quanto accaduto durante l'arresto del giovane geometra romano”.
La seconda testimonianza è quella del carabiniere. «È successo un casino, i ragazzi hanno combinato un casino. Non volevano nemmeno tenerlo nelle celle perché stava messo proprio male» (fonte: l’Espresso).
La lotta di Ilaria Cucchi continua
“La sentenza della Cassazione chiuderà un periodo di falsità che ha caratterizzato gli ultimi sei anni della mia vita - dice Ilaria- Guardo al futuro e ringrazio Stefano per avermi dato la forza di andare avanti nonostante tutto. E ricordo Stefano quando mi chiedeva, fino all'ultima volta che l'ho visto vivo, “Ila’ ma tu sei felice?” Ecco. Solo questo mi dà coraggio. Inizia una nuova era. All'insegna della verità.”
La giovane donna ha scritto anche un libro dedicato allo sfortunato fratello. “Vorrei dirti che non eri solo” a cura del giornalista Luigi Bianconi, edito da Rizzoli nel 2010. Il titolo si riferisce a quei lunghissimi sei giorni di carcere, in cui la famiglia fu improvvisamente tagliata fuori dalla vita di Stefano. È una ricostruzione della vita del giovane. Prevalgono i temi dell’amore e della preoccupazione per le sorti del ragazzo. C’è anche un appello più volte ripetuto affinché il reato di tortura possa diventare finalmente legge e che maltrattamenti e indifferenza non debbano più esistere.
E in questi giorni Ilaria è tesa più che mai. Sono sei anni che lotta per ottenere giustizia, non ce la fa più a rilasciare dichiarazioni e interviste, a raccontare della sua tragedia, delle vicende ancora irrisolte. È emotivamente provata, come non comprenderla. Il ricordo di Stefano e la sete di giustizia la sostiene, certamente arriverà fino in fondo, fino alla verità. Ora c’è la speranza che la giustizia faccia finalmente il suo corso. Le prove già presentate ai magistrati dall’avvocato Anselmo non possono esser più offuscate. Qualcuno questa volta pagherà. Se così non dovesse essere, sarà l’ennesima conferma che nel nostro Paese la giustizia corre per vie traverse e opportunistiche e non è davvero uguale per tutti.