L’emergenza ininterrotta: continuità e discontinuità tra gli esecutivi Conte bis e Draghi
Fino ad ora, i primi passi del governo Draghi non hanno mostrato alcuna discontinuità nella gestione della crisi sanitaria, nonostante le grandi aspettative da più parti (politiche e sociali): l’attesa che si riaprissero le attività commerciali, sportive e della ristorazione, che vi fosse un approccio meno “terroristico” e più rassicurante sull’andamento della pandemia, che l’organizzazione del piano vaccinale divenisse improvvisamente efficiente e si iniziasse una rincorsa all’immunizzazione per raggiungere in poche settimane la piena libertà…
Nonostante le aspettative messianiche (che ancora non sono esaurite, ma sono entrate nella fase della paziente attesa che si palesino i segni del miracolo in corso) verso Draghi e le sue proprietà taumaturgiche, non si è visto un provvedimento che contraddicesse sostanzialmente l’impostazione del precedente governo Conte bis. Certo, la conferma di Speranza al ministero della Salute, salutata con insofferenza da Salvini&Co., potrebbe farci pensare a un riconoscimento del lavoro svolto dal ministro, ma in realtà rivela che l’eredità della responsabilità emergenziale non attrae evidentemente nessuno, e che il cosiddetto “aperturismo” (cioè l’irresponsabile linea di sottovalutazione del progresso dei contagi) non è stato sposato dal presidente del Consiglio (che si è evidentemente reso conto della drammaticità della situazione).
Infine, anche il vituperato strumento del Dpcm è stato nuovamente ripreso per l’evidente necessità di essere rapidi negli interventi di gestione dell’emergenza (che non è per niente finita). Evidentemente, di fronte all’uomo forte, miracoloso e austero, le presunte “sospensioni delle libertà” (individuali) applicate dal governo Conte bis sono improvvisamente accettabili.
Un’altra continuità con il precedente esecutivo è la sostanziale regressione dei diritti collettivi e sociali, per lavoratori e lavoratrici in generale (in particolare per i/le dipendenti di cooperative e ditte in appalto, per esempio), non preservati adeguatamente e universalmente con il Fondo di Integrazione Salariale (Fis), ma anche per larghi settori di piccola borghesia (ristoratori soprattutto) a cui non sono arrivati adeguati ristori; inoltre, la gestione della pandemia mediante la divisione cromatica delle regioni non ha dato grandi risultati, ma è stata comunque confermata come concessione al padronato confindustriale e multinazionale per permettere di proseguire nella produzione e distribuzione delle merci mantenendo aperte le aziende (che in realtà, in buona parte, sono sempre rimaste aperte…) con grande rischio per lavoratori e lavoratrici sia sul posto di lavoro che per gli spostamenti pendolari con mezzi pubblici non adeguatamente potenziati (anche in concomitanza con la riapertura delle scuole).
Se vogliamo trovare due discontinuità (o quantomeno, divergenze esplicite) dobbiamo andare alla politica estera e alla campagna vaccinale: per quanto riguarda la prima, accenneremo solo al fatto che Draghi ha in più occasioni sottolineato la vocazione europeista (rivendicata anche da Conte), ribadendo a Lega e sovranisti come la linea di questo esecutivo non possa avere alcun tentennamento sull’appartenenza all’Ue e all’euro, e la collocazione atlantista dell’Italia, l’adesione alla Nato e la subalternità subimperialista agli Usa, mai messa in discussione seriamente da nessuno (nonostante gli ammiccamenti salviniani rivolti alla Russia di Putin), tanto da far pensare a un messaggio di rassicurazione all’alleato statunitense più che altro riguardo alle dinamiche economico-commerciali (in controtendenza rispetto alle aperture alla Cina con la “Nuova Via della Seta” da parte del governo Conte bis: tuttavia, se così fosse, la conferma di Di Maio non sarebbe coerente).
Per la seconda, invece, Draghi ha proposto un coinvolgimento ampio di strutture esistenti sul territorio (soprattutto militari), piuttosto che ricorrere alle costose tensostrutture (le primule…) tutte da costruire, peraltro in luoghi e spazi ancora da individuare. Draghi intende mostrare il cambio di passo nell’efficienza (che però al momento si scontra con la mancanza di vaccini, distribuiti dalle multinazionali in base alle convenienze di mercato): per questo il commissario straordinario Arcuri (di cui non sentiremo particolarmente nostalgia) è stato sostituito con il generale Figliuolo (comandante logistico dell’esercito e già comandante del contingente nazionale in Afghanistan (Isaf) e delle forze Nato in Kosovo. Una vera e propria militarizzazione della campagna vaccinale che avrà evidentemente conseguenze anche sul piano più generale, prefigurando un protagonismo dell’esercito nella gestione delle emergenze sociali prossime venture.
Manovre nel silenzio
Ma quello che si sta imponendo soprattutto è Io “stile Draghi”: fin dal primo momento ha imposto ai ministri una riserva assoluta e di non parlare se non nelle sedi istituzionali, e di non rilasciare alcuna dichiarazione. Draghi stesso non solo non ha ancora rilasciato una dichiarazione, a parte quanto detto nei discorsi pronunciati alle Camere, ma ha perfino richiamato Salvini ad assumere toni più moderati, in sostanza a stare zitto ed evitare di continuare a rilasciare dichiarazioni destabilizzanti.
Apprezzabile questo silenzio? Sinceramente no. Ovviamente gli sproloqui e le lunghe digressioni prolisse, gli interventi verbosi con dilatazioni avvolgenti in stile oratorio avevano stancato, ma a confronto dell’impenetrabile fortezza in cui si è chiuso Draghi in queste settimane le dirette di Conte rappresentavano un tentativo di mantenere un collegamento tra esecutivo e paese, anche se con i toni imbonitori della retorica populista.
Il silenzio di Draghi è sinceramente inquietante, la manifestazione di una torre d’avorio a cui era evidentemente abituato l’ex presidente della Bce, ma che come presidente del Consiglio appare del tutto inadeguato, soprattutto in un momento come questo. Ci rassicura che, invece di comunicare, Draghi sia chino sulle carte a lavorare? Ripeto, proprio no. È il silenzio del potere che si allontana sempre di più dalla società, ormai neppure filtrato dalle forme istituzionali borghesi dei corpi intermedi di parlamento e partiti, chiamati a tacere o comunque a mantenere un livello di confronto sfumato e unitario. Certo non possiamo rimpiangere il plebeismo di certi interventi, ma la crisi politica della rappresentanza ha raggiunto un livello tale che perfino la dialettica politica parlamentaristica (dopo essere stata marginalizzata e resa ancillare rispetto al potere esecutivo) va verso l’autosospensione: almeno fino a quando non torneranno a esserci elezioni e seggi da conquistare, il partito unico di centrosinistradestra si “accontenterà” di intercettare i fondi europei e orientarli verso i propri referenti economico-sociali (aziendali e finanziari).
La voce del padrone
La novità più chiara dell’era Draghi è la saldatura (ricercata con pervicacia da Berlusconi, per niente rincoglionito come lo si è più volte descritto) tra grande capitale europeista e piccolo-medio aziende sovraniste: si va ricomponendo cioè un blocco sociale modernizzatore e reazionario al contempo, che aveva assunto posizioni contrapposte negli ultimi trent’anni tra le componenti del centrosinistra “progressista” (nel campo dei diritti civili individuali) e “modernizzatore” (sul piano della riconversione e ristrutturazione produttiva) e quelle del “conservatorismo reazionario e tradizionalista” della piccola borghesia (imprenditoriale e commerciale) abbarbicata ai propri interessi di piccola scala, ormai travolta dai processi di globalizzazione. Possiamo iniziare a immaginare le scelte strategiche di Draghi per la transizione (“ecologica” e “digitale”), vista anche la scelta dell’economista iperliberista Giavazzi in qualità di consulente economico: tagli al residuo Stato sociale (debito cattivo), con la riformulazione dei necessari strumenti di assistenzialismo, investimenti in infrastrutture funzionali al rilancio della competitività delle imprese e del sistema commerciale nazionale (debito buono), restituendo al libero mercato gli spazi per il rilancio la concorrenzialità economica dell’Italia. Nel discorso di insediamento, Draghi ha proposto di sviluppare una schumpeteriana “distruzione creatrice” delle aziende in via di fallimento, per convogliare risorse a sostegno di quelle da rilanciare: di fatto un proclama di rimodulazione del blocco dei licenziamenti a favore di alcuni settori e aziende, abbandonando altre, impianto ripreso immediatamente dal presidente di Confindustria Bonomi che lancia un’idea di transizione mediante un “blocco selettivo” dei licenziamenti.
Si sta dunque creando un asse politico-sociale tra il settore produttivo della borghesia, prevalentemente delle medie aziende, che si va allineando con il grande capitale europeista e il settore finanziario con cui finora era in contrapposizione. Un blocco sociale ancora in formazione, che può diventare un blocco storico consolidato a spese del proletariato e degli strati impoveriti della piccola borghesia.
Le riforme prossime venture
In questa prospettiva, possiamo cogliere i segnali rispetto ai progetti di riforme a cui saranno condizionati i fondi stanziati con il Next Generation Eu, assegnati ai paesi con il Recovery Plan e distribuiti tramite il Recovery Fund: in particolare, oltre alla transizione ecologica (che interesserà prevalentemente la riconversione delle aziende), i settori che saranno interessati da una profonda revisione riorganizzativa digitale saranno la pubblica amministrazione – con i processi di digitalizzazione e di riorganizzazione in smart working che inciderà su orari, condizioni salariali e di lavoro, sicurezza e occupazione – e la scuola – anch’essa con l’innovazione delle reti digitali e l’investimento per il rilancio degli istituti tecnico-professionali come centri di formazione professionale di manodopera: d’altronde il ministro Bianchi come assessore a Scuola, Università e Lavoro dell’Emilia Romagna ha particolarmente insistito sulla disseminazione della scuola nella società civile e nel territorio, di fatto una privatizzazione strisciante del processo d’istruzione.
Ci attendono momenti duri di “distruzione creatrice”, cioè di ristrutturazione capitalistica 4.0 con l’aumento della precarietà, dello sfruttamento e la diffusione di lavori dequalificati e sottopagati. Sottrarre strati sociali alla costituzione del blocco modernizzatore e reazionario diventa necessario per i comunisti, con l’obiettivo di costruire il nuovo fronte sociale e politico anticapitalista.