Dopo diversi decenni in cui i ministri dell’istruzione hanno fatto di tutto per affossare la scuola pubblica per avvantaggiare le private, a partire dal taglio dei finanziamenti alla prima per spostare maggiori risorse sulle seconde, abbiamo avuto un ministro che, al contrario, ha da subito messo il dito sulla piaga della mancanza di fondi, denunciando che senza una inversione di tendenza tutte le prese di posizione sulla necessità di rilanciare la scuola rischiavano di apparire ipocrite. Inoltre, dopo aver visto per decenni ministri incollati in ogni modo alle loro poltrone, abbiamo avuto un ministro che appena ha visto che non c’era alcuna intenzione di rilanciare la scuola pubblica si è subito dimesso. Infine, dopo aver sentito “sparate” di ogni tipo da parte dei politici, mai tradotte in pratica – a partire da Renzi che aveva assicurato che se avesse perso il referendum costituzionale si sarebbe ritirato dalla vita politica – abbiamo avuto un ministro che aveva da subito assicurato che si sarebbe dimesso se non fosse stata rifinanziata la scuola pubblica e che, puntualmente, lo ha fatto.
La notizia è stata così sensazionale e così in controtendenza rispetto a quello a cui ci avevano abituato negli ultimi decenni i tristi figuri della politica politicante che, subito, i grandi mezzi di comunicazione si sono messi alla caccia di presunti moventi nascosti, utilitaristici, anche perché un personaggio così di spicco delle istituzioni in grado di coniugare etica, morale e politica sarebbe quanto mai scandaloso, in quanto svelerebbe che l’imperatore è nudo. In altri termini, un politico di successo, che cerca di coniugare la sua attività politica con valori etici e morali e che non sia mosso dal puro utilitarismo metterebbe in discussione tutti gli altri, che da anni fanno esattamente il contrario e che sono stati sempre giustificati dagli apparati ideologici dello Stato presentando un tale modo di fare come “naturale”, come se appunto non fosse possibile fare altrimenti. Ad esempio, quanti uomini politici di rilievo abbiamo visto – una volta conclusa la carriera politica – criticare in modo anche pesante il mondo della politica politicante in cui avevano prosperato? Sempre pronti a divenire critici, anche implacabili, solo quando avevano ormai concluso la carriera, senza che mai un giornalista si sognasse nemmeno di domandargli come mai, se era cosciente di tutto ciò quando era in carica, non lo aveva denunciato né si era dimesso nel momento in cui la propria denuncia non aveva sortito gli effetti sperati.
Ecco, dunque, subito all’opera gli esperti di dietrologia ed i complottisti di professione, subito pronti a denunciare dei secondi fini, una qualche forma di opportunismo politico e di trasformismo che cancelli l’“onta” di un politico politicante onesto, che con il suo “cattivo esempio”, rischia di mettere seriamente in cattiva luce l’intera categoria e, indirettamente, l’intera categoria dei cronisti, da sempre intenti a giustificare la prima, naturalizzando anche i comportamenti più palesemente intollerabili.
I tentativi di individuare nascosti secondi fini, miranti a favorire la propria carriera politica, erano del resto, quanto mai indispensabili, per nascondere, occultare e far passare definitivamente in secondo piano la cosa stessa, ossia che persino un ministro dell’istruzione ha denunciato che l’imperatore è nudo, ovvero che non si fanno le nozze con i fichi secchi; fuor di metafora che sono pure ipocrisie le presunte buone intenzioni di rilanciare la scuola (pubblica), se non si parte da un suo, indispensabile, rifinanziamento.
Perciò, persino nell’unico quotidiano sedicente comunista, si è giustificata la dimissione come funzionale a creare una nuova formazione politica volta a supportare il presidente Conte, grazie a una significativa scissione all’interno dei Cinque stelle. Anche il fatto che Conte abbia immediatamente smentito non solo di essere favorevole, ma di essere a conoscenza di una tale operazione, è stato malignamente interpretato come una sconfessione da parte del presidente di un presunto progetto politico a lui favorevole. Anche il fatto che i deputati e senatori Cinque stelle hanno continuato a lasciare ogni giorno il partito, andando in tutte le direzioni possibili, meno che dietro all’ex ministro dell’istruzione, è stato giustificato ideologicamente come il risultato del fatto che Conte avrebbe bruciato le dimissioni del suo ministro, sconfessando la sua presunta intenzione di creare un gruppo di fedelissimi a sostegno del Presidente del consiglio.
Per altro, cercare di interpretare la storia dal punto di vista più basso – quello del cameriere, che vede sempre gli interessi personali ed egoistici dell’uomo storico – non può che produrre i risultati più deludenti; da tale angusto punto di vista non può che emergere il male radicale proprio della natura di ogni uomo. D’altra parte, per chi vuole comprendere la realtà per poterla trasformare radicalmente, è essenziale cogliere gli eventi dal punto di vista universalistico della storia. Da questo punto di vista le dimissioni di Fioramonti hanno avuto un preciso significato politico che ha ben colto la destra, che ha prontamente messo in moto la macchina del fango, puntando a riprodurre la notte in cui tutte le vacche divengono nere, secondo lo pseudo sillogismo: tutti i potenti abusano, necessariamente, del loro potere e, quindi, nessuno può essere punito per un tale scontato delitto. Al contrario la sinistra ha mancato l’ennesimo appuntamento con la storia, non dando il decisivo sostegno, con la mobilitazione dal basso, a una misura, per certi aspetti, decisamente illuminata del ministro.
Discorso analogo vale per quanto riguarda le uscite del ministro volte a smantellare aspetti centrali residui dellabuona scuola di Renzi, come l’eliminazione del bonus meritocratico, con lo spostamento delle risorse per esso previsto sul salario dei docenti. A ciò si sono aggiunte le prese di posizione critiche rispetto all’alternanza scuola lavoro e alle prove Invalsi, sostenendo che non sarebbero dovute essere criterio di ammissione all’esame di Stato. Certo, su questi punti, il ministro è stato costretto a fare dietro-front dalle pressioni congiunte di renziani e piddini, intenti a difendere quanto resta del loro programma di completa dequalificazione delle scuole pubbliche a tutto vantaggio delle private. Bisogna anche dire che se il ministro non ha protestato, è anche vero che è stato lasciato sostanzialmente da solo dalle forze sociali e politiche che lo avrebbero dovuto sostenere, magari provando a sfruttare l’occasione per far ripartire qualche mobilitazione fra gli insegnanti, da troppo tempo incapaci di far sentire la propria voce per far valere i proprio interessi e difendere i diritti acquisiti.
Se sbagliare è senza dubbio umano e non ha particolarmente senso piangere sul latte versato, bisogna però tenere sempre a mente che perseverare nell’errore è diabolico. Ora, dunque, che le clamorose dimissioni del ministro sono passate del tutto sotto traccia e non sono state sfruttate in nessun modo dal mondo della scuola per recuperare le enormi risorse sottratte negli ultimi anni, non tutto è perduto, dal momento che ministro della scuola è divenuta Lucia Azzolina, una docente che ha in qualche modo preso parte alle mobilitazioni per la scuola pubblica, spendendosi in particolare contro uno degli aspetti più deleteri delle controriforme degli ultimi anni, ovvero la creazione di classi “pollaio” con più di trenta alunni.
Per quanto è evidente che il non aver solidarizzato con il ministro Fioramonti e aver preso il suo posto senza risollevare il decisivo problema del mancato finanziamento alla scuola pubblica non lascia ben sperare. D’altra parte, però, se si può comprendere – anche se non certo giustificare – che, pur di divenire ministro, si possa tacere su una questione così importante e spinosa, quello che appare incomprensibile è il silenzio del mondo della scuola su un fatto certamente grave come questo. Se è vero com’è vero che non è possibile nessun rilancio della scuola pubblica se non rifinanziandola – dopo anni in cui è stata martoriata da controriforme che ne hanno ridotto il budget al lumicino – le risorse minime pretese da Fioramonti, per quanto ancora largamente insufficienti, sarebbero state un importante segnale di controtendenza. È altrettanto evidente che anche la misura su cui più si era spesa la futura ministra, la lotta alle classi “pollaio”, può essere affrontata solo se saranno assegnate risorse aggiuntive alla scuola, dal momento che lo sconsiderato aumento del numero di alunni per classe è stato giustificato proprio con la necessità impellente di risparmiare, dopo la drastica riduzione degli investimenti dello Stato nella scuola pubblica. Detto fra parentesi, colpisce come i nostri europeisti non abbiano mai aperto bocca sul fatto che a furia di controriforme volte a ridurre le risorse per la scuola pubblica, gli investimenti dello Stato si sono drasticamente ridotti rispetto alla grande maggioranza degli Stati dell’Unione europea.
D’altra parte, come è necessario, gli spazi vuoti sono destinati ben presto a scomparire in politica. Così, mentre ancora una volta le forze progressiste non hanno fatto nulla per denunciare questa palese contraddizione del governo e, in particolare, dei Cinque stelle e della neoministra, subito lo spazio lasciato vuoto è stato occupato da pesanti attacchi contro la ministra – di fatto pretestuosi – da parte dei grandi giornali sedicenti progressisti letti, soprattutto, dagli insegnanti. Si tratta della tipica tattica della guerra preventiva, funzionale a creare il vuoto intorno alla ministra e a intimidirla, nel caso intendesse veramente essere conseguente e, ora che ne ha effettivamente modo, fare qualcosa di concreto contro questa vergogna nazionale che sono le classi “pollaio”, senza contare come questo sovraffollamento delle aule sia generalmente contrario anche alle più basilari misure di sicurezza.
Inoltre, è evidente che tutte le belle parole costantemente spese sulla necessità di una didattica il più possibile individualizzata e attenta a predisporre programmazioni ad hoc per i diversamente abili, i DSA, i bisogni educativi speciali, gli studenti impegnati ad alti livelli in attività sportive etc. rischiano di rimanere lettera morta se non si riduce il numero di alunni per classe, aumentando i finanziamenti per la scuola pubblica.
Del resto anche la solita scusa addotta – per cui l’imponente debito pubblico renderebbe necessarie politiche di austerità – è al solito un puro e semplice inganno, dal momento che anche l’attuale governo è intento ad aumentare le spese militari, continuando a investire in questo settore preziose risorse sottratte, fra l’altro, alla scuola pubblica.
Certo si potrebbe sostenere che in realtà quello di Fioramonti è stato un bluff o un’ingenuità ed è del tutto inutile fare pressioni sulla nuova ministra, perché si dimostri coerente con quanto aveva sostenuto prima di divenirlo, dal momento che il fatto stesso di far parte di questo governo – per il quale l’unica reale discontinuità con il governo precedente è la posizione, a prescindere, prona ai diktat dell’Unione europea – significa porsi nell’impossibilità di un’inversione di rotta rispetto alla dequalificazione della scuola pubblica. Si potrebbe anche aggiungere che già il fatto di aver accettato il posto di ministro, subito dopo la sottoscrizione di una finanziaria da parte del governo che non rifinanzia la scuola pubblica, significa – implicitamente – rinunciare a qualsiasi aspirazione a ridurre il numero di alunni per classe.
Il problema, però, è che queste giuste considerazioni sono patrimonio di una ristrettissima élite di raffinati intellettuali della sinistra radicale, ma sono quasi completamente sconosciute alla quasi totalità delle persone che vivono il mondo della scuola e alla stragrande maggioranza degli stessi elettori di “sinistra”, che hanno votato, per disperazione, i Cinque stelle.
Ora, è del tutto evidente che l’opposizione della sinistra radicale, ridotta più che mai al lumicino, non potrà mai pensare di mettere minimamente in difficoltà il governo – per altro sostanzialmente coperto dai partiti di “sinistra” dell’arco parlamentare, dai sindacati maggiormente rappresentative e da una parte significativa degli stessi poteri forti – se non giocando abilmente sulle contraddizioni reali, quanto mai evidenti nella compagine di governo.
Allo stesso modo è impensabile sperare di poter recuperare alla sinistra radicale quell’elettorato deluso e quei ceti sociali di riferimento sfiduciati, che hanno votato – in nome del meno peggio – i grillini, se non utilizzando tutti i mezzi necessari per far emergere le contraddizioni fra quanto promettevano di fare quando erano all’opposizione e/o in campagna elettorale e quanto hanno fatto e non hanno fatto al governo.