La situazione di migranti e senzatetto a Como

Le problematiche della marginalità nei contesti urbani stressano l’azione amministrativa e richiedono interventi legislativi urgenti. Anche a Como, città di frontiera e transito migratorio, l’abrogazione dei “Decreti Sicurezza” restituirebbe i diritti alle persone, serenità e benessere alla città.


La situazione di migranti e senzatetto a Como Credits: https://pixabay.com/it/photos/senzatetto-umano-uomo-mendicanti-4772990

Il lavoro svolto dalla Giunta comasca di centrosinistra nella tornata amministrativa 2012-2017 si era connotato per un’assunzione di responsabilità riguardo i problemi collegati alla presenza a Como di persone in situazioni critiche, mettendo in campo la volontà di creare dei percorsi di presa in carico delle componenti fragili, quali i senza fissa dimora tra cui vari italiani, gli immigrati in transito e numerosi minori stranieri non accompagnati, gettando le basi perché si potessero offrire le migliori risposte articolate in sinergia fra Comune, ministeri competenti, Prefettura, ASST Lariana e una vasta rete di soggetti da anni operativi sui temi dell’emarginazione e marginalità sociale come Caritas, associazioni di volontari, Terzo Settore con mediatori e psicologi interculturali ecc.

In particolare, nel 2016, durante l’emergenza migratoria, a Como si era verificata una concentrazione di centinaia di migranti provenienti da paesi extra-UE in transito attraverso la città e continuamente respinti alla frontiera Svizzera (paese extra-UE di passaggio obbligato verso paesi UE del centro e nord Europa): allora l’amministrazione comasca di centrosinistra si era impegnata affinché la situazione non gravasse economicamente sulla città, e nonostante la fortissima opposizione dell’allora minoranza di centrodestra, grazie al coinvolgimento del Governo fu disposta dal ministero degli Interni l’apertura nel settembre 2016 di un campo profughi governativo da 400 posti in via Regina, adiacente l’area ferroviaria di arrivo dei migranti.

Mentre la gestione del campo veniva affidata alla Croce Rossa, tanti volontari di varie associazioni italiane e svizzere furono protagonisti per mesi di una grande stagione di solidarietà sociale verso le persone che cercavano di transitare attraverso una frontiera Italia-Svizzera preclusa a quegli sfortunati: gente in fuga da guerre, cambiamenti climatici, sistemi politici oppressivi in cerca di un futuro possibile. Tra i residenti nel campo tante famiglie di rifugiati. Già allora le associazioni di volontari si prodigarono oltre che per i bisogni primari anche per fornire assistenza tecnica e giuridica alle persone migranti per consentire l’esercizio dei loro diritti. In seguito, l’emergenza migratoria è cessata e ha lasciato il passo a una presenza strutturale e a flussi regolari anche a Como di persone di provenienza extracomunitaria.

La Giunta di centrosinistra si dispose ad affrontare le problematiche connesse con un piano che oltre alla doverosa presa in carica dei minori non accompagnati – onere per legge di competenza dei Comuni italiani – prevedeva azioni di sostegno al diritto di abitazione, per esempio attivandosi per ottenere fondi ministeriali per restaurare un immobile in via Tibaldi e rendere, di conseguenza, disponibile gli oltre 50 posti di via Sacco e Vanzetti per le emergenze abitative. Restano ad oggi giacenti nelle casse del Comune gli 845.000 euro portati a Como dall’amministrazione di centrosinistra alla fine del 2016 sul “PON inclusione”, destinati a realizzare progetti di housing first e housing led proprio per i senza dimora.

Purtroppo questi progetti integrati di accoglienza sono stati definitivamente bloccati con l’avvicendamento al governo della città dal 2017 di una Giunta “civica” di centrodestra guidata dal sindaco Landriscina e che ha per vicesindaca e mentore a livello nazionale Alessandra Locatelli, deputata per la Lega Nord dal 2018 che venne nominata ministra per la Famiglia e le Disabilità nel primo Governo Conte.

Forte di una laurea in sociologia, educatrice per professione dei disabili mentali e leghista salviniana di stretta osservanza, Locatelli forse solo per opportunismo politico ha una bacheca Facebook grondante post conto migranti, clochard e diseredati della terra. Nella sua attività amministrativa a Como si è contraddistinta per le polemiche sul Ramadan a suon di “niente spazi a chi non si adegua ai nostri principi” e poi per varie ordinanze contro accattonaggio e clochard e contro i venditori di rose e di mimose l'8 marzo, Giornata internazionale delle donne.

Da assessora della giunta Landriscina ha pensato bene di chiudere la struttura per le emergenze abitative di via Conciliazione adducendo come motivo il cambio di una caldaia. Divenne famosa la sua condivisione su Facebook – stigmatizzata anche dal suo sindaco – della proposta sottoscritta nel 2018 dal segretario lombardo della Lega Grimoldi: “Chiederemo a tutti gli amministratori della Lega in Lombardia di rimuovere immediatamente dai loro uffici pubblici la foto di Mattarella, che non rappresenta più un garante imparziale dei cittadini”.

Nella fase di governo nazionale Lega-Cinque stelle, i due decreti Sicurezza voluti da Matteo Salvini hanno sostituito al migrante nelle sue varie tipologie ( migrante economico, richiedente asilo, profugo, rifugiato, per ricongiungimento familiare ecc.) la figura giuridica del “clandestino”, stravolgendo il quadro normativo di riferimento per chi quotidianamente a livello amministrativo deve confrontarsi in modo costruttivo e proattivo con le problematiche migratorie nelle città italiane: intanto con l’entrata in vigore dei due decreti sono state effettuate le chiusure dei campi profughi come quello di Como, e centinaia di persone si sono riversate sul territorio; persone lasciate deliberatamente fuori da ogni sistema di tutela e di esercizio dei diritti previsti dalle norme costituzionali e internazionali come quella protezione umanitaria che i “decreti Sicurezza” hanno cancellato in Italia. Persone abbandonate a se stesse e divenute invisibili e non rappresentabili, persone esposte a tutto, e che finiscono additate dal contesto sociale qualunquista e spesso da certi media come “capro espiatorio” della criminalità e del degrado nelle aree urbane, con una vulgata propagandistica da parte del centrodestra che rischia, questa sì di creare le condizioni per l’esplosione di una vera e propria bomba sociale.

Lo scorso 9 luglio 2020 la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la norma che esclude i richiedenti asilo dall’iscrizione all’anagrafe, abolendo così una delle parti più contestate del primo decreto Salvini sull’immigrazione: la motivazione è la violazione dell’articolo 3 della Costituzione, cioè quello che sancisce l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Inoltre, la norma attuale è “irrazionale” in quanto non riesce a garantire il controllo del territorio – che rappresentava la finalità dichiarata dal decreto – e poi “per l’irragionevole disparità di trattamento” dei cittadini, visto che rende più difficile ai richiedenti asilo l’accesso ai servizi. Infatti l’iscrizione all’anagrafe è necessaria per il rilascio del certificato di residenza e del documento d’identità, oltre che per l’accesso a determinati servizi sociali. In molte città amministratori locali e sindaci l’avevano capito da tempo, e si erano già mobilitati per contestare o addirittura disattendere la norma.

Fra resistenze istituzionali e distinguo politici nella maggioranza che sostiene il Governo Conte II si discute se sia il caso di abrogare questi famigerati decreti Sicurezza, perché le due norme in meno di due anni hanno dissestato e travolto i presidi più funzionali a un’accoglienza valida dei migranti, sia sotto il profilo dei diritti delle persone, sia sotto il profilo dell’ordine e della sicurezza sociale, che vengono paradossalmente messi a repentaglio proprio da una legge sbandierata nella vulgata propagandistica della destra come garanzia di sicurezza e diritto a tutela degli Italiani.

Annichilito il sistema SPRAR, si sono azzerate le tutele verso soggetti vulnerabili, una complessa situazione di difficoltà che ha riversato tantissimi soggetti nelle strade senza punti di riferimento. Nel contempo, si sono cancellati migliaia di posti di lavoro che si erano creati negli anni per molti nostri giovani laureati che riuscivano a essere coinvolti dal terzo settore attraverso progetti e bandi in occupazioni altamente specializzate come psicologi, mediatori culturali, educatori e assistenti sociali, personale sanitario e infermieristico che con i migranti potevano lavorare.

Lo scontro politico in atto oggi a livello parlamentare sul tema dell’abolizione dei decreti Sicurezza evidenzia le molte resistenze a intraprendere con forza l’unica strada capace di segnare la vera discontinuità nella visione e nel modo di affrontare in termini non solo securitari la questione strutturale della migrazione umana.

Anche nel caso di Como, molti extracomunitari giovani di recente arrivo, o meno giovani che magari per anni con il permesso di soggiorno avevano lavorato in aziende locali (edilizia, ristorazione, turismo, servizi) hanno perso il lavoro per la crisi economica o il Covid-19 e sono rimasti abbandonati a se stessi: confinati o regrediti in un limbo giuridico che paralizza progetti di vita o iniziative per nuove destinazioni e aggrava la loro condizione umana in maniera indicibile, esponendoli anche sul versante della criminalità organizzata, dello sfruttamento nella prostituzione e nello spaccio di stupefacenti.

Nonostante i decreti “sicurezza”, la resilienza della “città solidale” a Como è stata insospettabile e si è declinata negli ultimi mesi al fianco delle sempre più numerose presenze fragili di italiani drop out e impoveriti e di stranieri senza tetto che vivono e dormono in alcune stradine del centro storico su giacigli di fortuna, o sotto ai bei portici del Liceo e davanti alla ex chiesa trecentesca di San Francesco, accanto al tribunale e al mercato coperto: percepiti anche da tanti cittadini come presenze scomode e indecorose in un centro città riprogettato in versione glamour per la sola fruizione turistica, se ne continua da più parti a richiedere lo spostamento e da parte del Comune sono state fatte varie ordinanze di sgombero.

A Como si sono mobilitate, di fatto vicariando le istituzioni, tante persone capaci di azioni quotidiane di solidarietà: alle presenze storiche come la mensa delle suore di San Vincenzo de Paoli e degli istituti Guanelliani fondati da San Luigi Guanella, sostenute da tanti donatori anonimi e alla Caritas diocesana, si è aggiunto un grande prete come Don Giusto della Valle, parroco di periferia, divenuto punto di riferimento per l’accoglienza e per la sinergia con i volontari che offrono mediazione culturale e corsi di lingua italiana; C’è poi dal 2016 l’Osservatorio giuridico sui diritti dei migranti, che animato da avvocati volontari e giuristi svolge un servizio di consulenza gratuita e tutela giuridica nei singoli casi. Negli anni più recenti molti volontari durante i mesi invernali dell’emergenza freddo si sono avvicendanti nei turni di assistenza notturna al tendone-dormitorio di via Sirtori, alternandosi ai volontari dei gruppi spontanei Como Accoglie e Como Senza Frontiere in azioni di sostegno e rifornimento di coperte e presidi alimentari. Ma il tendone d’estate viene smontato, e la gente torna a dormire per strada...

Diciamo che la protervia sul tema migranti e senzatetto a Como è quasi tutta istituzionale: negli ultimi mesi ha tenuto banco in Consiglio comunale a Como la polemica sull’ipotesi di un dormitorio pubblico promesso con una mozione trasversale presentata l’anno scorso e approvata con una maggioranza dei 2/3 dal Consiglio. A fronte di un bando per la sua gestione, il tanto sospirato dormitorio si dovrebbe aprire fra settembre e ottobre 2020 in uno stabile già di proprietà dell’ATS Insubria – che fu lo storico “dispensario” di Como – già oggi sede del Sert e recentemente adibito durante la crisi Covid-19 a ricovero per senza fissa dimora positivi al test.

Le minoranze in consiglio comunale e soprattutto i consiglieri di centrosinistra sul tema “dormitorio” inizialmente hanno incalzato la Giunta Landriscina, ma forse ora tergiversano perché alla “Commissione speciale per la sicurezza urbana e i reati ambientali, le mafie e le ecomafie” sono pervenute lettere di critica e obiezioni relative a igiene e sicurezza da parte di residenti e commercianti della zona dove sorgerebbe il dormitorio, sostenuti anche dalle associazioni di categoria Confesercenti e Confcommercio.

L’assessore ai Servizi sociali Angela Corengia aveva già corretto il tiro e ridimensionato le aspettative precisando che “più che di un dormitorio si tratterà di un progetto di dormitorio per persone con certi requisiti e che avranno voglia di reinserirsi, ovviamente regolari” e l’assessore alla Sicurezza Elena Negretti ha ribadito che “l’immobile, viste le caratteristiche, è il solo idoneo e permetterà di accogliere un massimo di 25 persone selezionate”.

Nella stagnazione sociale e culturale di questa città “ricca e virtuosa” della Lombardia – ex leader della produzione serica italiana e oggi gentrificata in versione turistico-immobiliare – una città che durante la pandemia non ha conosciuto i tormenti di Bergamo e Brescia ed è stata relativamente risparmiata dal Covid-19 (solo nelle molte RSA della provincia ci sono stati numeri elevati e non meglio precisati di decessi), nel sonnolento e oscuro benessere di Como si è palesata recentemente la novità dei gruppi giovanili e di studenti dei Fridays for Future che chiedono una riconversione ambientalista del modello di sviluppo, qualche iniziativa femminista relativa ai temi della violenza e dei diritti delle donne e di genere, e il gruppo di giovani solidali di “Cominciamo da Como”.

Dopo il lockdown, sono loro da qualche settimana a focalizzare l’attenzione con iniziative di nome e di fatto “Fuori dal Comune”: presenze settimanali per intercettare fisicamente il sindaco Landriscina mentre in auto varca i cancelli del Comune per recarsi in Consiglio comunale; flash mob musicali per denunciare lo stato di degrado e abbandono in cui sono lasciati i senzatetto a Como; una campagna – con tanto di incatenamento ai cancelli e duello verbale con l’assessore alla Sicurezza Elena Negretti – per ottenere l’apertura 24/24 h dei bagni pubblici cittadini ora aperti poche ore al giorno e di difficile fruizione da parte dei senza fissa dimora.

I giovani attivisti di “Cominciamo da Como” – per lo più studenti e universitari – insieme a diversi volontari, nei sabati di questa estate malata di Covid-19 hanno presidiato durante le operazioni di sanificazione effettuate reiteratamente dagli incaricati della Polizia locale sotto il portico di San Francesco dove trascorrono la notte su precari giacigli alcuni senzatetto.

I giovani hanno protestato contro l’eliminazione da parte di addetti incaricati da assessore e forze dell’ordine degli effetti personali e delle coperte fornite ai poveri dai volontari e hanno denunciato in un’occasione anche la sottrazione da parte delle forze dell’ordine di beni privati e documenti personali dei senzatetto e degli “irregolari”.

Uno dei ragazzi durante un intervento di sanificazione a San Francesco ha rimediato una multa da un’agente della Vigilanza urbana per avere calpestato un’aiuola e in un’altra occasione il cellulare di uno dei ragazzi che riprendeva la sanificazione è stato scaraventato a terra da un altro vigile.

Giovedì 30 luglio, in occasione dell’ultimo Consiglio comunale prima della pausa estiva, gli attivisti di “Cominciamo da Como” hanno dato appuntamento alla città per una mobilitazione a cui hanno aderito anche i ragazzi di Fridays for Future, per rappresentare i numerosi motivi del crescente malcontento cittadino di fronte allo stallo dell’attività amministrativa dovuto a continui rimpasti politici e turbolenze nella compagine di centrodestra che sostiene l’amministrazione Landriscina: un grande numero di problemi irrisolti, da quelli seguiti alla chiusura del dormitorio invernale alla gestione degli asili nido, dalle questioni riguardanti la mobilità e la viabilità cittadine alla gestione sciagurata delle concessioni per le infrastrutture pubbliche.

01/08/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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