La scala a chiocciola del nuovo stadio della Roma

La più grande speculazione urbanistica dall'unità d'Italia sacrifica l'interesse pubblico alla rendita fondiaria e al profitto, complice il governo.


La scala a chiocciola del nuovo stadio della Roma Credits: http://www.forzaroma.info/wp-content/uploads/sites/20/2016/02/10/31/stadio_roma2_ok.jpg

La scala a chiocciola, bellissimo film in bianco e nero del 1945, contiene una scena impressionante: la protagonista, muta a causa di un trauma subito, salendo le scale mentre l’occhio dell’assassino la segue, si vede riflessa in un grande specchio con la bocca oscurata. La ritengo un perfetto esempio della nostra condizione di fronte al potere: persone che non hanno voce e non debbono neppure averla. Così, quando ce la prendiamo corrono subito a cambiare le regole affinché un fatto tanto increscioso non debba ripetersi. Lo conferma la vicenda del cosiddetto “Stadio della Roma”: avendo raccolto il progetto, elaborato a seguito della Deliberazione comunale n.132 del 2014 proposta dalla Giunta Marino, ben tre pareri negativi da parte della Regione, del Comune di Roma e della Città metropolitana e l’unico parere positivo (guarda un po’!) da parte dello Stato, il Governo è corso ai ripari con l’articolo 62 del Decreto Legge 50/2017 modificando la cosiddetta legge degli stadi - contenuta nei commi 303-306 dell’art.1 della legge n.147/2013 (cosiddetta Legge di stabilità per l’anno 2014) - e addirittura le competenze finora esistenti in materia di VIA e di adozione delle Varianti di Piano Regolatore.

Sì. Proprio la modifica introdotta in tema di Varianti si presenta come un vero e proprio bavaglio, anzi una mordacchia imposta a chi volesse interloquire nel merito, siano consiglieri comunali o cittadini, poiché il verbale conclusivo della Conferenza dei servizi che esamina il progetto di un impianto sportivo, se approvato, costituisce “adozione di variante allo strumento urbanistico comunale”. E, ove la Regione sia d’accordo, “il verbale è trasmesso al sindaco che lo sottopone all’approvazione del consiglio comunale nella prima seduta utile”. Una ratifica dunque, perché è evidente che qualora il consiglio comunale dissentisse vorrebbe dire che è venuta meno la maggioranza che sostiene il sindaco. Così è archiviata la procedura che prevede l’adozione degli strumenti urbanistici da parte dell’Assemblea comunale a seguito di un processo partecipativo aperto agli abitanti, la successiva raccolta delle osservazioni dei cittadini e infine la deliberazione di approvazione contenente le risposte alle stesse. Cioè viene annullata una delle poche competenze del Comune, cruciale per il governo del territorio. La modifica vale, oggi, per la realizzazione di impianti sportivi (e non più solo per gli stadi), ma il precedente sarà utilizzato più ampiamente. Si è anche argomentato, per temperarne la ignominiosa portata, che già sarebbe così per l’installazione di tralicci dell’alta tensione o di impianti eolici, ecc. Non sono precedenti perché si tratta di modesti impatti territoriali (seppure alle volte paesaggisticamente desolanti) comunque legati alle strategie energetiche nazionali, e non di una vera e propria imponente urbanizzazione di un territorio già destinato ad altro dal PRG. Una centralità vera e propria in cui, secondo questa nuova regola, possono essere previsti anche quegli edifici di abitazione che erano esclusi dalla precedente norma sugli stadi. Motivati, gli edifici terziari e di abitazione, sempre con la necessità di raggiungere quell’equilibrio finanziario che la realizzazione dello stadio di per sé non garantirebbe. Insomma, la Conferenza dei servizi decisoria sul progetto dell’impianto sportivo sostituisce ogni e qualsiasi autorizzazione, secondo quanto prevedono le modifiche introdotte dalla Legge Madia, ed oggi riassume in sé anche le procedure di VIA (la Conferenza dei servizi ”si svolge in forma simultanea, in modalità sincrona e, se del caso, in sede unificata a quella avente come oggetto la valutazione di impatto ambientale”), nonché le competenze del Comune! Pensano, Governo e Regione, di aver risolto gli sbarramenti su cui si sono incagliati nei mesi scorsi nell’esame dello “Stadio della Roma”; progetto alla fine bocciato sia perché pasticciato, sia a causa delle regole ora cambiate. Ai pasticci tecnici si può eventualmente riparare, non così facilmente alle regole se restano le stesse. Del resto, insistentemente la Regione continuava a chiedere al Comune di produrre la Variante al PRG per consentire l’edificazione dei circa novecento mila metri cubi proposti dal duo Parnasi Pallotta, e bene ha fatto Berdini a rifiutarla e a dare quel parere negativo che poi non è stato possibile rimuovere in alcun modo. Pochi sanno che la sindaca Raggi aveva addirittura inviato una lettera alla Regione in cui precisava ”di considerare non definitivo” il parere del proprio Comune. Una porta che non è stato possibile più aprire e che ha fatto naufragare il confuso sovrapporsi degli intenti regionali e comunali per mantenere in vita quella che appariva sempre più ciò che in realtà era: la più grande speculazione urbanistica dall’Unità d’Italia. Voluta da Marino e Caudo e sostenuta da Di Maio, Raggi e Frongia sia nella vecchia che nella nuova versione, ridotta, che dovrebbe venire alla luce nelle prossime settimane.

Ricordiamo, infine, che la Sovrintendente che ha dato avvio, in ossequio al parere espresso in tal senso dai Comitati di settore, al procedimento di riconoscimento dell’interesse culturale alla conservazione dell’Ippodromo di Tor di Valle, è stata rimossa con l’avvio della deforma Franceschini. A tal proposito bisogna rilevare, per correggere le disinformazioni correnti, che non si tratta affatto di una intempestiva alzata di testa della Sovrintendente bensì di un bene pubblico di cui si era già indicata l’importanza inserendolo nella Carta di Qualità connessa al Piano Regolatore del 2008, ovvero quel documento che contiene la visione del patrimonio storico della città, comprese appunto le architetture moderne, considerato un elemento indispensabile per garantire la qualità delle future trasformazioni. Le Amministrazioni Regionale e Comunale sono direttamente responsabili, come espressione delle comunità che rappresentano, della tutela e valorizzazione dei beni pubblici, segnatamente di quelli rilevanti nella storia della città. La procedura di apposizione del vincolo di interesse culturale sul complesso dell’ex Ippodromo, dovrebbe vedere tali Amministrazioni in prima fila nello scongiurare qualsiasi manomissione e anzitutto nel prendere sul serio su di sé il compito di contribuire all’apposizione del vincolo, evitando di dare anche solo l’impressione che la cosa non le riguardi e sia addirittura un fastidioso impiccio. Invece proprio così si stanno comportando, a cominciare dall’ineffabile Franceschini, ministro dell’incultura.

Perciò, come finora sottolineato, se l’impegno resta sì quello di impedire la nuova distruzione di paesaggio che si profila sotto il solito pretesto dello “Stadio della Roma” a Tor di Valle, esso deve estendersi a contrastare il vergognoso più ampio disegno di annichilimento del governo pubblico del territorio e della difesa del paesaggio. Diventa dunque obiettivo di una grande lotta politica e culturale quello di opporsi a questa ulteriore privazione del diritto di pensare e parlare su quel che si sta facendo per rifiutare che il dominio resti quello della rendita immobiliare e finanziaria. In perfetta continuità con la pratica di scambiare cubature con ipotetici e mai compiutamente realizzati interventi pubblici e di privatizzare il territorio per trarne profitto economico e politico.

Nel merito, poi, della nuova deliberazione comunale in attuazione dell’accordo Parnasi-Pallotta-Raggi del febbraio scorso, in questi giorni deve essere approvata dalla Giunta capitolina una Memoria specifica di inquadramento della medesima e conseguentemente di indirizzo agli uffici comunali per la sua elaborazione affinché essa possa essere approvata entro il prossimo 30 giugno dal Consiglio comunale. In sostanza, per quel che è dato sapere, si tratta della riduzione dei tre grattacieli a circa 18 palazzine con la prescrizione, piuttosto grottesca, della realizzazione degli edifici con alti standard energetici e a basso impatto ambientale. Usiamo la parola grottesca perché altrimenti non si può definire un progetto che mentre cementifica il fragile suolo di quell’ansa del Tevere, gravemente degradandola, si preoccupa che gli edifici, i volumi e le tipologie costruttive, siano di elevata qualità energetica e ambientale. Una schizofrenia che cerca di occultare l’abbandono dei propositi spesi per ottenere i voti e subito dimenticati in omaggio alle oligarchie dominanti. La discontinuità promessa cede il passo agli interessi costituiti.

Una grande attenzione va posta a questa nuova deliberazione perché con essa, se non muterà il quadro sopra delineato, si andrà alla nuova Conferenza dei servizi decisoria e si attueranno quelle perverse regole. Per ora si sa che nello scambio di cubature con opere pubbliche a queste ultime resta, anche sulla carta, ben poca cosa: il potenziamento della ferrovia Roma–Lido, l’unificazione della via Ostiense e della via del Mare dal GRA a viale Marconi, la messa in sicurezza del Fosso di Vallerano per “superare” il rischio idrogeologico. Neppure il vincolo della loro realizzazione prima dell’entrata in attività dello Stadio e della fine dei lavori edili è ben chiaro. Non per caso, perché la loro attuabilità è ipotetica e probabilmente neppure risolutiva dei gravissimi problemi trasportistici e idrogeologici.

Non è qui possibile richiamare le complesse, articolate e precise controindicazioni elencate nei pareri negativi istituzionali e nella determina conclusiva della precedente Conferenza dei servizi che dimostrano quanto fosse infelice prima di tutto la scelta di Tori di Valle e, poi, quanto superficiale fosse il progetto che si puntava ad approvare. Quelle controindicazioni possono costituire le invarianti da cui non deflettere per quel che riguarda sia i gravissimi problemi della fattibilità delle opere, che l’accertamento dell’attribuzione dell‘interesse pubblico alla realizzazione della “Stadio”. Troppo facilmente nella precedente deliberazione si attribuì tale interesse all’operazione, sia pure indicando alcune condizioni per la sua esistenza con l’avvertenza che sarebbe venuto meno anche al solo mancare di una di esse, quando si confusero nelle opere pubbliche anche le infrastrutture utili soprattutto all’insediamento privato, compensandole con le cubature eccedenti le previsioni di PRG. Che tali restano anche nell’attuale riduzione, dichiarata ma non chiarita. Non si capisce quale sarà la dimensione dell’impermeabilizzazione del suolo, né quali minori infrastrutture comporta la minore cubatura. Perché una cosa è chiarissima: il profitto della speculazione non può, esso sì, diminuire.

Torneremo, eventualmente, su questi punti che qui, visto lo spazio ristretto non possono essere che accennati. Mi preme dire, a conclusione, che tra i molti interrogativi ne segnalo almeno quello della specifica attenzione e pubblicità, finora assente, che va posta sulla situazione delle proprietà delle aree interessate all’operazione e sulla solidità finanziaria e operativa della società Eurnova del Parnasi.

13/05/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Vittorio Sartogo

Ambientalista comunista da tempo si occupa di mobilità e di trasformazione delle città. Iscritto al PCI fino alla sua conclusione, attualmente non è militante di alcun Partito della sinistra. È stato membro della direzione della rivista “Giano” e ha lavorato con gli Amici della Terra sui temi dell’energia, costituendo poi l’associazione Otherearth contro le scelte nucleari e per le rinnovabili. È coordinatore di CALMA (Coordinamento Associazioni del Lazio per la Mobilità Alternativa).

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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