La potenza egemonica dell’ideologia dominante è tale che si parla a ragione di pensiero unico. Al punto che oggi, almeno nel mondo occidentale, non solo la stragrande maggioranza delle masse popolari, ma la maggioranza di coloro che si definiscono comunisti e marxisti non sono coscienti di dover operare all’interno di un sistema caratterizzato dalla dittatura, per quanto democratica, del blocco sociale dominato dall’alta borghesia. Ciò non vale solo a livello del semplice militante, ma anche la grande maggioranza degli intellettuali tradizionali, che generalmente guidano le organizzazioni politiche che si richiamano al socialismo e al comunismo, o che occupano posti di rilievo a livello culturale – a partire dai professori universitari che si considerano marxisti –, è sinceramente convinta di vivere in una democrazia.
Anzi, addirittura la maggioranza degli esponenti che ricoprono ruoli dirigenziali nella sinistra radicale europea considerano tutto sommato democratiche persino le istituzioni della Unione europea. Al di là di quello che pensano, del resto quasi nessun dirigente politico e sindacale della sinistra politica e sindacale occidentale denuncia la natura di dittatura democratica borghese dei sistemi economici, politici, sociali e culturali occidentali. Nonostante tutti i classici del marxismo e i più importanti dirigenti comunisti della storia non abbiano mai nutrito dubbi in proposito. Anzi, sino a non molto tempo fa tale concezione era considerata discriminante fra i marxisti e i revisionisti, fra i comunisti e i socialdemocratici e, persino, fra materialisti e idealisti. Al contrario, oggi, tali distinzioni sembrano venute meno, anche perché, che ne siano consapevoli o meno, i socialdemocratici di una volta sono quasi tutti divenuti liberaldemocratici, mente la grande maggioranza dei comunisti è divenuta in realtà socialdemocratica.
Dunque, la capacità di egemonia della classe dominante è talmente preponderante da far apparire questo aspetto fondamentale del marxismo, la natura di dittatura di ogni Stato in quanto tale, un arnese ideologico di un passato remoto, di cui si prova sostanzialmente vergogna, tanto di non parlarne nemmeno più. Paradossalmente, poi, mentre sulla natura dittatoriale degli Stati che si definiscono o definivano socialisti non dubita sostanzialmente nessuno nemmeno nella sinistra radicale occidentale, la concezione marxista della natura dittatoriale dello Stato in quanto tale è completamente ripudiata anche dai sedicenti marxisti e comunisti proprio per quanto riguarda i paesi a capitalismo avanzato, che in teoria i marxisti coerenti con loro stessi dovrebbero definire oggi, più che mai, imperialisti. Mentre al contrario si ha generalmente timore persino nell’estrema sinistra europea a definire imperialista l’Unione europea.
Ora, per quanto inconsapevolmente, tutti questi sedicenti marxisti e comunisti, o esponenti della sinistra estrema e radicale occidentale hanno fatto pienamente proprio il fulcro della concezione revisionista di Bernstein, alla base del pensiero socialdemocratico, ovvero che la natura di dittatura di classe potesse essere adeguata tutt’al più agli Stati borghesi dei tempi di Marx. Ne consegue che gli Stati borghesi, aggettivo non a caso quasi sempre omesso da costoro, occidentali sarebbero divenuti sostanzialmente democratici, tanto che quasi nessuno di loro non solo non fa nulla di pratico in funzione della rivoluzione socialista, ma di fatto evita il più possibile anche solo di nominarla.
Tutto ciò avviene proprio quando – a partire da quello che dovrebbe essere considerato l’aspetto fondamentale dal punto di vista di un marxista, persino borghese, ossia la struttura economica e sociale – nei paesi occidentali, ovvero a capitalismo avanzato, mai come oggi la grande borghesia ha un controllo sempre più monopolistico dei mezzi di produzione e di riproduzione della forza-lavoro. Tanto che è sotto gli occhi di tutti la progressiva proletarizzazione della piccola borghesia, dei ceti medi e persino di buona parte degli intellettuali tradizionali, che sembrano paradossalmente perdere di vista il mero dato di fatto che non può certo considerarsi democratica una società in cui una sempre più ristretta minoranza ha la proprietà monopolistica dei mezzi di produzione e riproduzione della forza-lavoro, mentre cresce altrettanto consistentemente il numero di coloro che si vedono costretti a vendere la propria forza-lavoro. Già, dunque, il fatto che la maggioranza e proprio le masse popolari, che dovrebbero avere il potere in un regime democratico (dal punto di vista sia storico, che etimologico), siano nei fatti espropriate dei mezzi di produzione e si vedano, perciò, ridotta a merce la loro stessa essenza generica è un evidente segnale di essere all’interno di un sistema oligarchico, quale dominio della minoranza più ricca, ovvero della grande borghesia.
Anche a livello sociale la presenza di proletari, ovvero delle masse popolari alla direzione economica del paese è radicalmente negata. Quindi, è evidente che dal punto di vista strutturale, socio-economico, anche se ormai nessuno paradossalmente sembra denunciarlo, il potere è pienamente sotto il controllo del blocco sociale borghese egemonizzato dal grande capitale finanziario, mentre le masse popolari non hanno nessun controllo su tale decisivo potere.
Anzi, addirittura la principale caratteristica progressiva della società capitalistica, ovvero la possibilità che a livello molecolare gli elementi più capaci e funzionali delle classi subalterne potessero essere cooptate in ruoli dirigenziali dalla classe economicamente dominante, sta venendo progressivamente meno. Oggi più o meno in ogni ambito, persino a livello culturale, quasi esclusivamente chi è ricco di famiglia ha la possibilità di far carriera. Persino nelle istituzioni elettive a suffragio universale della democrazia rappresentativa e formale borghese oggi i rappresentanti delle masse popolari sono quasi scomparsi, mentre le maggioranze sono in tutti i paesi occidentali, aka imperialisti, decisamente sotto il controllo delle oligarchie o di personale che opera al loro servizio.
Anche sul piano sovrastrutturale mai come ora si dovrebbe constatare che le società occidentali, ovvero a capitalismo avanzato, sono totalmente antidemocratiche, in quanto in nessun ambito anche a questo livello si esprime la democrazia, ovvero il potere delle masse popolari. Anzi, non solo sul piano politico come abbiamo visto, ma anche sul piano giuridico, religioso e culturale nel senso più ampio della parola in tutto il mondo occidentale, alias imperialista, predominano le forze filo-oligarchiche, mentre la capacità di egemonia delle masse popolari, fondamento sovrastrutturale delle democrazie, è ovunque ridotta al lumicino.
Innanzitutto ciò ha, al solito, come dovrebbe essere scontato per un marxista, un fondamento strutturale, ovvero gli orari di lavoro e i ritmi di sfruttamento, a cominciare dagli straordinari sempre meno retribuiti come tali, sono in continuo aumento in rapporto necessariamente proporzionale con la progressiva precarizzazione del lavoro e la riduzione del potere d’acquisto del salario (per sua natura sociale). Ciò a livello strutturale rende più che mai evidente – nel nostro paese in modo esemplare con lo smantellamento dello Statuto dei lavoratori – la natura nei fatti non solo oligarchica, ma addirittura dispotica dell’organizzazione del lavoro nella imprese capitalistiche o dirette con metodi capitalistici, tayloristi e, sempre più spesso, toyotisti, ancora una volta in perfetta antitesi alla democrazia.
Negli odierni posti di lavoro il potere delle masse popolari, in tutto il mondo occidentale, è sempre più ridotto al lumicino, mentre la dittatura degli oligarchi diviene sempre più aperta e totalitaria da perdere la natura formalmente democratica e divenire sempre più dispotica. D’altra parte, in tal modo, anche il “tempo libero” dei lavoratori e, sempre più, della stessa forza lavoro in formazione è ridotto al lumicino, in aperta antitesi a ciò che sarebbe necessario in una democrazia. Così, non solo il potere reale delle masse popolari è ridotto a un livello nei fatti quasi trascurabile da parte degli oligarchi, ma lo stesso numero di proletari che hanno modo di dedicarsi attivamente alla politica si è spaventosamente ridotto, in modo ancora una volta apertamente antidemocratico. Anzi, non solo si è drasticamente ridotto il numero di esponenti delle classi popolari direttamente impegnati in politica, fondamento imprescindibile di ogni democrazia, ma la stesso interesse per la politica è in costante e, sempre più, allarmante diminuzione fra le masse popolari, fra cui ormai domina apertamente la posizione più smaccatamente antidemocratica, ovvero l’ideologia antipartitica antipolitica e qualunquista.
Anche a livello più latamente culturale e, dunque, come capacità di egemonia sulla società civile e in particolare fra i ceti medi – decisivi per decidere la natura di un potere oligarchico o democratico – sempre più evidente è l’affermarsi dell’ideologia dominante, espressione come è naturale della classe dominante. Al punto che ormai è divenuto quasi un senso comune, anche fra i sinceri democratici, definire pensiero unico il pensiero neoliberista dominante smaccatamente anti-democratico. Al punto che gli stessi organismi della democrazia formale borghese sono sempre più indeboliti e messi radicalmente in discussione dall’ideologia dominante. Per cui sono divenute senso comune, ampiamente egemone fra le stesse masse popolari, le concezioni più apertamente oligarchiche per le quali ogni spesa sociale, necessaria a consentire nei fatti la stessa libertà di stampa o di rappresentanza politica, è considerata un faux frais della produzione. Per cui la stessa presenza di rappresentati eletti delle istituzioni o la divisione dei poteri viene vista come un ostacolo per le decisioni politiche, che devono quindi essere prese in modo sempre più autoritario e, dunque, necessariamente antidemocratico dal potere esecutivo, che deve essere sempre più centralizzato e potente.
Anzi oggi persino i capisaldi della “democrazia occidentale”, come il sedicente Stato sociale sono sempre più screditati non solo fra le forze della destra o socialdemocratiche, ma anche fra l’estrema sinistra, in gran parte convertitasi alla ricetta neoliberista del reddito di cittadinanza individualista, di contro a ogni forma di solidarietà di classe, altro fondamento della democrazia. Discorso analogo vale per la completa subordinazione della sinistra radical al pensiero unico dominante, anche nelle sue versioni più irrazionalistiche e anti-democratiche come il postmoderno, che la sinistra estrema occidentale mira a radicalizzare, invece che contrastare. Ecco così che anche nella sinistra estrema italiana ci si interessa molto più di autori come Foucault o altri pensatori largamente egemonizzati dalle correnti di pensiero di estrema destra da Nietzsche a Heidegger, piuttosto che ai classici del marxismo come Lenin o Gramsci, considerati come gli stessi classici del pensiero rivoluzionario borghese, come Hegel, dei cani morti.
Al contrario di quanto dà a credere l’ideologia dominante non solo è sempre più dominante nel mondo occidentale la dittatura della grande borghesia, ma tale dittatura è sempre meno democratica e sempre più dispotica. Non solo perché gli spazi di democrazia formale nei confronti delle masse popolari tendono sempre più a ridursi o a divenire dei meri feticci, ma la stessa democrazia all’interno della classe dominante borghese tende a decrescere, con l’affermarsi di regimi sempre più autoritari. Del resto le stesse componenti “democratiche” e di “sinistra”, espressioni dell’ala più progressista della piccola borghesia e dei ceti medi in via di proletarizzazione, sono sempre più prive di potere reale. Mentre nel blocco sociale dominante tendo a prevalere o posizioni apertamente ispirate alla reazione oligarchica neoliberista o al cesarismo, ovvero al bonapartismo più regressivo e reazionario.