La conferenza stampa di Draghi: sobrietà grigio-padronal

Si chiariscono gli obiettivi del nuovo presidente del Consiglio: oltre a gestire l’emergenza sindemica (sanitaria e sociale), il “lavoro sporco” consiste nell’avviare profonde riforme “istituzionali” per rimuovere le residue resistenze a difesa delle tutele sociali costituzionalmente garantite


La conferenza stampa di Draghi: sobrietà grigio-padronal

Il programma contingente, la direzione strategica

Dopo settimane di silenzio, intercalato solo da un paio di interventi occasionali, finalmente il presidente del Consiglio Draghi ha rotto gli indugi e, coadiuvato dall’ineffabile Locatelli, si è offerto alle domande dei giornalisti che in questa circostanza hanno mostrato meno timore reverenziale rispetto a tutti i vari articoli, editoriali, servizi apparsi in questo periodo su stampa e televisioni, in generale iperossequiosi fino allo stucchevole. Le domande, incentrate in prevalenza su tre assi fondamentali (vaccinazioni, sostegni, imprese, piano nazionale di investimenti dei fondi europei), hanno dato l’occasione a Draghi di rispondere con alcune indicazioni di prospettiva e rendere esplicite le sue intenzioni e gli orientamenti che intenderà imprimere all’azione dell’esecutivo nei prossimi mesi. 

Lo stile-Draghi è espressione dell’ipocrisia che maschera la volontà del manovratore che non vuole essere disturbato, che sfugge al controllo democratico e si concede al confronto con la servile stampa nazionale che, nella stragrande maggioranza, si è genuflessa di fronte al potere (o quantomeno al suo Ad finanziario). Questa conferenza stampa viene dopo giorni di silenzio incredibile durante la sospensione di somministrazione del vaccino di AstraZeneca, che ha gettato nel caos non solo gli operatori sanitari impegnati nella campagna di vaccinazione, ma l’intera nazione: in determinati momenti (come quello ricordato) è necessario l’intervento di un leader politico, o quantomeno un commento di chi guida il governo e il paese. 

La linea di comunicazione di Draghi, decisamente grigia e noiosa, a tratti anche approssimativa ha indicato vari obiettivi e azioni correlate che si possono distinguere per livelli: il primo, degli obiettivi immediati, dettati dall’emergenza pandemica (campagna vaccinale: reperimento, distribuzione, organizzazione e somministrazione dei vaccini); un secondo, inerente il medio periodo, in cui sono state riconosciute le drammatiche conseguenze  economico-sociali che hanno colpito vasti settori sociali (innanzitutto del proletariato precario, sottopagato e sfruttato, e di medio-piccola borghesia autonoma, commercianti e ristoratori e piccoli imprenditori) che stanno già suscitando crepe nel tessuto della società e le sempre più probabili mobilitazioni  non appena le varie “protezioni”, reti, ammortizzatori (dal Fis e blocco licenziamenti ai “ristori”/”sostegni”) verranno ritirate, e questo avverrà sia nel caso – auspicabile – che la battaglia dei vaccini permetta di vincere in tempi brevi la guerra contro il virus Sars-Cov-2, sia che si allunghi ancora l’emergenza fino al prossimo anno; il terzo livello è quello strategico: la prospettiva di una ridefinizione complessiva della Pa (che prevede anche assunzioni di nuove figure per i processi di digitalizzazione) e degli investimenti da sbloccare, affermando – in sostanza – che l’attuale “contesto istituzionale” non è credibile per sviluppare tutte le azioni necessarie a scongiurare le risorse di centinaia di miliardi, e affermando testualmente come nel confronto con Regioni ed Enti Locali fosse emersa la necessità di “cambiare tutto, superare gli ostacoli a livello politico, istituzionale, amministrativo, contabile e financo… giuridico”. Un’indicazione di direzione per una stagione di (contro)riforme che potrebbe già essere impostata da questo esecutivo (su questi temi vi sono molte interessi convergenti tra Pd e Lega, anche in ambito regionale e locale), ma che ovviamente potrà essere sviluppata (e conclusa?) nella prossima legislatura. 

I vaccini e la campagna bellica: il pennacchio sul cappello non fa la differenza…  

Le battute sulla battaglia in corso per la campagna vaccinale sono state disastrose: Draghi non ha trovato di meglio che scaricare i problemi di attuazione del piano vaccinale sul “primo che passa”, il giovane psicologo di 35 anni che salta la fila (per decreto firmato da Draghi stesso, peraltro); il piano vaccinale viene affidato all’esercito (come se non avessimo strutture civili per gestire le emergenze), ma anche a privati (ma non sanitari): con il protocollo sottoscritto da varie sigle sindacali si prevede infatti che siano i medici aziendali, all’interno dei locali aziendali, a vaccinare dipendenti e loro familiari, in un rigurgito di paternalismo da anni Cinquanta che fa rabbrividire.

La logistica delle vaccinazioni è formalmente affidata al piglio e al pennacchio del generale Figliuolo, ma in realtà ogni regione continua per conto proprio; inoltre, il commissario straordinario continua a mostrare spavalderia militaresca indicando obiettivi obiettivamente inattuabili per la mancanza di approvvigionamenti, nei tempi e per le dosi stabilite (500mila vaccinazioni al giorno entro aprile): nonostante la baldanza, il problema è che neppure il “Migliore” Draghi ha potuto finora raddrizzare l’andamento claudicante nell’approvvigionamento, per contratti con i produttori di vaccini (tutti sostanzialmente extracomunitari) al ribasso e senza penalità (per inettitudine e subalternità della Commissione Europea verso le case produttrici).

Nella corsa alla creazione, alla produzione e alla distribuzione di vaccini contro il Sars-Cov-2 gli Stati hanno finanziato le multinazionali, ma non con la medesima forza contrattuale: l’Ue si dimostra del tutto incapace di gestire una situazione così drammatica con istituzioni incoerenti e burocratiche, in cui emergono continuamente le contraddizioni generate da interessi diversificati degli Stati membri che rendono l’Unione Europea un pachiderma che vorrebbe ambire a diventare un colosso del mercato mondiale, ma che risulta solamente un gigante disarticolato e condannato alla subalternità nella gerarchia dell’imperialismo occidentale.

Nonostante tutte le sbruffonate, le promesse sperticate, in Italia le dosi arrivano con il contagocce, sia da AstraZeneca che da Pfizer: segno che nell’Ue l’Italia continua a essere l’anello debole, il socio di minoranza che non ha la credibilità strutturale (né economico-produttiva, né tantomeno economico-finanziaria) per poter alzare la voce e ottenere le adeguate forniture dal mercato internazionale. La battaglia di breve periodo rischia di essere una Caporetto, e il generale Figliuolo di fare la figura del Cadorna.

Il PNRR: investimenti europei e consulenti americani. Il caso McKinsey e l’affaire AstraZeneca

Nella conferenza stampa Draghi ha anche toccato l’altro tema (a lui più caro) della gestione dei soldi: il 30 aprile, ha assicurato, sarà presentato il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Almeno qui ci sarà una grande centralizzazione, un ruolo determinante dello Stato, un barlume di riqualificazione del pubblico (ci si immagina)… in realtà, Draghi ha chiarito che le responsabilità di spesa delle risorse del Recovery Plan saranno in capo alle regioni, ai comuni e financo alle province, mentre lo Stato coordina, valuta e controlla (un Srl: Stato a Responsabilità Limitata), mediante tre commissioni (che adesso non scandalizzano più…). Non dimentichiamo poi che l’esecutivo si avvale della consulenza della società statunitense Mc Kinsey, ben nota per la “visione” neoliberista.

Come saranno dunque investiti i miliardi di euro del Recovery Fund? Si progettano assunzioni per la digitalizzazione della Pa (scuola compresa, così la didattica digitale diventerà regime ordinario) per rendere tutto più smart (cioè smantellare i diritti di lavoratori e lavoratrici, spianare la formazione culturale riducendo i processi di apprendimento a procedure standard che impediscono la riflessione critica); gli investimenti nella sanità, che verrà rafforzata non con centralizzazione integralmente pubblica, ma come sistema integrato pubblico-privato (se ascoltiamo bene le parole del fintamente “pentito” Brunetta) finanziato dai soldi pubblici (insomma il modello Lombardia che in quest’anno ha mostrato tutta la sua inadeguatezza); ripartenza delle grandi opere, liberando le procedure degli appalti da vincoli e controlli per costruire infrastrutture spesso inutili, costose, devastanti per i territori e l’ambiente (altro che svolta green…); aumento delle spese militari per modernizzare le forze armate (d’altronde ci apprestiamo a riprendere l’atavica propensione imperialista, con obiettivo Libia…).

 

Per quanto riguarda il blocco dei licenziamenti, Draghi ha confermato che a giugno verrà rimosso e si aprirà una fase di distruzione di tutte le aziende non virtuose, mentre andranno sostenute le aziende “sane” (qualunque merce o servizio producano… non interessa la qualità, ma il mercato) in un processo di immane ristrutturazione dell’intero mercato interno e internazionale (europeo). Il prossimo autunno ci sarà dunque l’annunciato bagno di sangue sociale che provocherà un aumento esponenziale della miseria: le ripetute richieste di Bonomi e di Confindustria saranno finalmente applicate (dimenticando la responsabilità padronale che in questi mesi ha contribuito alla diffusione del virus, in alcune zone particolarmente funestate dal contagio, mantenendo aperti siti di produzione non essenziale e determinando conseguentemente la mobilità dei lavoratori pendolari).

L’incontro tra Letta e Salvini, che hanno individuato nel sostegno all’imprenditoria (e nelle grandi opere) un terreno comune, ben esemplifica verso quale direzione sia orientato questo governo di unità nazionale, ed è sempre più evidente e palese che Draghi (e a chi ha manovrato perché assumesse la responsabilità del governo italiano) ha il compito di gestire una situazione drammatica come quella sanitaria allo scopo di creare le condizioni per poter accedere ai miliardi del Next Generation Eu e ristrutturare il sistema economico (produttivo/distributivo e finanziario) italiano: ma il lavoro sporco consiste, in ultima analisi, nel dare una spallata decisiva alle residue resistenze a difesa delle tutele sociali costituzionalmente garantite.

(E tralasciamo le dichiarazioni che con i “dittatori” occorre cooperare – come dimostra il legame con l’Egitto di Al-Sisi a cui vendiamo armi: gli affari sono affari! – o il mostrare i muscoli con Erdogan e la Turchia, pochi giorni dopo la sciagurata visita in Tripolitania a sancire l’amicizia con il governo massacratore di migranti a Tripoli: 110 anni dopo la Guerra di Libia contro l’Impero Ottomano, fa un po’ impressione.)

16/04/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Giovanni Bruno

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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