Non è passato neppure un mese dall’inizio della scuola che già venerdì 25 settembre gli studenti e le studentesse sono in piazza, per la prima volta in questo autunno, chiedendo centralità alla scuola, anche e soprattutto nella redistribuzione dei fondi del Recovery Fund. Un evidente fallimento che stride con le continue rassicurazioni vuote della ministra e del governo. Siamo a Roma per chiedere ad alcune studentesse e ad alcuni studenti cosa pensino, quali siano le ragioni della protesta e come questa si stia organizzando.
- Buongiorno. Quest’anno ancora più degli scorsi la rabbia delle scuole non ha tardato a farsi sentire, sintomo di un inizio della didattica estremamente difficoltoso. Quali sono le ragioni della protesta?
“La didattica a distanza o mista va a creare problemi a noi studenti”, dice subito Chiara, del Giordano Bruno. “Nella mia scuola, per esempio, manca mezzo corpo docenti perché il ministero ancora non ha assegnato le cattedre ai professori.” Una problematica, questa della mancanza di docenti (e dei mezzi) percepita anche in altre scuole, come dice Enrico, del Plinio: “Alcune scuole prestigiose del centro della capitale come il Liceo Visconti o Albertelli sono attualmente senza banchi, gli studenti devono prendere appunti ricurvi sulle proprie ginocchia per 6 ore. E se questo accade in centro, lascio immaginare in periferia gli scenari che si presentano”.
Filippo, sempre del Plinio, mette al centro una questione fondamentale: “Nelle aule mancano banchi, mancano sedie, spesso mancano anche i professori! Quindi vogliamo che vengano assunti nuovi professori”, aggiungendo poi che “scendiamo in piazza per ribadire problemi che già negli scorsi anni abbiamo constatato ma che in particolare dopo il lockdown e nel rientro si sono evidenziati molto” a dimostrazione che, lungi dal volere un ritorno alla “normalità”, anche nelle scuole sia evidente come la normalità fosse il problema.
- Quali sono le rivendicazioni e le richieste che portate avanti?
A chiarire cosa vogliono studenti e studentesse pensa subito Enrico che sintetizza così: “Sono 6 mesi che il governo, il ministero e la scuola decidono del nostro futuro senza interpellarci, senza coinvolgerci nei processi decisionali, cacciandoci dai tavoli delle trattative. La ragione della protesta è quindi semplice: sfruttare l'attenzione mediatica che ora verte sulla scuola per lanciare la nostra principale richiesta: usare i soldi del Recovery Fund per assicurare una didattica che funzioni per tutti e tutte e la costruzione collaborata con gli studenti di un progetto di riforma complessiva del sistema scolastico. Hanno a lungo parlato di scuola senza lasciar parlare la scuola, e ora ci siamo presi la piazza più simbolica di Roma, bussando al Parlamento”. È determinante nella mobilitazione questa richiesta di centralità del ruolo della scuola nella riapertura e dello studentato nella scuola, che ricorre in molti interventi. La centralità dei discenti nell’organizzazione della vita scolastica viene frustrata anche dalle condizioni attuali che limitano ancora di più l’agibilità, compresa quella politica. Dice Chiara: “Vogliamo il superamento delle classi pollaio, WiFi funzionante all’interno della scuola per far funzionare senza problemi le lezioni a distanza (…) vogliamo poter usare gli spazi esterni alla scuola perché la situazione attuale ci impedisce anche di fare assemblee ed altre attività collettive”. Filippo rilancia e integra con una considerazione amara: “Chiediamo scuole sicure da un punto di vista delle infrastrutture e delle garanzie di distanziamento, vogliamo siano forniti fondi alle scuole per garantire strumenti e mezzi che rendano possibile seguire le lezioni, anche eventualmente da casa (…) hanno avuto 6 mesi tra lockdown ed estate per pensare a come poter risolvere i problemi della scuola e non l’hanno fatto, la scuola arriva sempre alla fine di tutto e questo non va bene, non hanno pensato a studenti e docenti”.
- Rispetto alla situazione odierna percepite nelle scuole più rabbia e voglia di lottare o più paura per il virus? Questi sentimenti come hanno contribuito a definire la partecipazione a questa piazza?
Secondo Filippo “la questione è complicata, effettivamente il Covid ha influito molto sulla partecipazione perché molte persone avevano paura del virus e perciò non sono venute, d’altra parte in questi 6 mesi in cui il movimento è stato fermo le persone si sono attivate molto quindi si è vista parecchia gente nuova”. Anche Enrico concorda con questa visione, e dice: “Abbiamo una percezione falsata (della partecipazione n.d.r.) da quello che è stato il fenomeno dei Fridays for Future, che hanno portato in piazza il 27 settembre 2019 200mila persone a Roma e 1 milione in tutta Italia. Sicuramente è molto diffuso un malcontento generale e durante la quarantena si è andato formando un attivismo spontaneo”. Chiara è più decisa, a suo avviso “per ora, a scuola appena iniziata, sembra che tra gli studenti predomini la rabbia più che la paura”. Impressioni, queste, che lasciano intendere come il disastro annunciato della riapertura delle scuole non abbia lasciato indifferenti e che una qualche risposta, sebbene attualmente abbastanza poco organizzata, ci sia. Potrà svilupparsi?
- Dopo oggi ci si prospettano già future mobilitazioni? Pensate che la questione dell’unità nella lotta sia determinante oggi? Vi sembra in corso un processo unitario?
Filippo è ottimista, ma mette subito al centro il grande interrogativo di questo autunno di mobilitazione: “Sì, spero possa nascere (un movimento forte ed unitario n.d.r.), credo che dopo questa piazza ce ne saranno altre più spesso degli scorsi anni perché siamo stati fermi per troppo tempo e abbiamo voglia di fare, l’unica incognita è il Covid”. Chiara ancora non vede immediate le prospettive unitarie, e mette al centro da una parte la frammentazione tra le organizzazioni di studenti e studentesse e dall’altra la questione cruciale dell’unità anche con le lavoratrici e i lavoratori (docenti come ATA), unico modo per strappare conquiste concrete. Dice: “Per quanto riguarda la costruzione di un processo unitario la situazione è complessa, per esempio oggi scendiamo in due piazze diverse e questa cosa mina l’unità, a volte anche con i lavoratori (…) domani ci sarà un’altra piazza chiamata anche con la partecipazione di molti lavoratori, sia professori sia personale ATA, tutti i lavoratori della scuola insieme perché questa situazione mette in ginocchio anche loro”. Aggiunge poi che “l’unità è fondamentale perché senza unità le cose non si possono andare a cambiare (…) ci sono già prospettive future di lotta, speriamo sarà un autunno bello caldo”. Infine Enrico conclude con le sue impressioni, dice: “Il movimento studentesco è sceso in piazza Montecitorio unito e senza le bandiere di organizzazioni e sindacati studenteschi, ma organizzato dai coordinamenti territoriali dei collettivi. Non esiste altro modo per ottenere risultati tangibili in breve tempo”, per poi dichiarare precisamente le intenzioni per l’autunno: “Entro dicembre si deciderà dove investire i fondi del Recovery Fund. Se la scuola è una priorità solo a parole per ministra e governo, allora avrà uno degli autunni più caldi degli ultimi anni”.
Tra studentesse e studenti appare quindi evidente un rifiuto della condizione attuale e una voglia, sebbene al momento in parte frenata da paura e limiti organizzativi, di lottare per rimettere al centro il ruolo fondamentale della scuola nella società e garantire a tutti e tutte il pieno accesso ad un’istruzione di qualità e garantita, nella cui organizzazione sia centrale la figura di discente e docente. Vedremo se le condizioni permetteranno la crescita di questo movimento e se questo saprà darsi la direzione unitaria di lotta che viene rimarcata già ora dagli interventi.
SI ringraziano Chiara, Filippo ed Enrico per la partecipazione all’intervista.