In una scuola di Roma, un importante incontro con Sigfrido Ranucci, ora nella redazione di REPORT e impegnato sin dagli anni ’90 nel giornalismo d’inchiesta. Un’occasione per capire che non è sufficiente guardare a ciò che i mass media trasmettono se si vuole conoscere la verità sui fatti.
di Laura Nanni
È stata una grande occasione questa, di ascoltare Sigfrido Ranucci venuto all’inizio di febbraio per due mattinate a parlare con gli studenti e le studentesse in una scuola superiore. Una persona che ha saputo trasmettere il valore del suo lavoro, svolto con estrema onestà intellettuale, senza fronzoli e senza enfasi inutili. Nel caos dell’informazione e dei mass-media in cui viviamo, è un riferimento importante, un testimone della verità e dell’impegno per farla conoscere. E ora, in questi giorni in cui si trasmette la notizia dell’assassinio di Giulio Regeni, giovane ricercatore e giornalista free-lance del Manifesto, mi sembra ancora più importante raccontare, per tenere in mente Giulio e tutti coloro che rischiano la vita solo per il loro impegno e la loro onestà.
Sigfrido Ranucci, ora nella redazione di REPORT, impegnato nel giornalismo d’inchiesta da quando lavorava per la RAI e RAI NEWS24 negli anni Novanta, ha incontrato gli studenti in due mattinate per parlare di giornalismo, ma soprattutto per far comprendere che non è sufficiente guardare a ciò che i mass media trasmettono se si vuole conoscere la verità sui fatti. Ha parlato soprattutto della guerra in Iraq, quella voluta da George W. BUSH contro SADDAM HUSSEIN, accusato di detenere armi chimiche e di sostenere il terrorismo. È così che sono riuscita a incontrarlo e a porgli qualche domanda, partecipando all’evento con gli studenti e le studentesse. Ha presentato due filmati di sue inchieste, uno sulla guerra in Iraq, realizzato nel 2004 a Falluja, trasmesso nel 2005 da RAI NEWS24, un vero e proprio film; l’altro dell’indagine condotta sul traffico di armi recentemente andata in onda per REPORT.
Falluja, la strage dimenticata
Il filmato sulla guerra condotta dagli USA a Falluja è cruento. Il bombardamento del 2004 è documentato nei particolari dei corpi perché una delle cose principali dell’inchiesta verteva sull’utilizzo delle armi chimiche da parte dei militari americani che erano in Iraq perché Saddam era accusato di usarle... È stato un genocidio. Ma su questo i responsabili hanno sempre negato e non si trovano altri documenti ufficiali in cui viene attestato questo utilizzo.
C’è un feed-back con le note immagini del Vietnam all’inizio. Poi due ex-militari raccontano, parlano dell’utilizzo del fosforo bianco, di cui sono documentati i bombardamenti notturni dell’8 novembre 2004 nel servizio, parlano degli effetti che producono, bruciando la pelle e sciogliendo i corpi, mentre gli indumenti restano intatti. Ranucci precisa che il via ai bombardamenti venne dato dopo i risultati elettorali in USA, risultati che davano vittorioso di nuovo il presidente Bush.
Mohammed Tarek, di Falluja, direttore del Centro studi per i Diritti umani nato nel 2004, è stato invitato al Parlamento europeo a raccontare quanto aveva documentato. È stato naturale chiedere a Sigfrido Ranucci che seguito ha avuto quel memoriale presentato: il Parlamento europeo era semivuoto, nessuna commissione d’inchiesta è stata costituita, perché nessuno stato membro si è preso la responsabilità di fare denuncia e di richiederla! Ci vuole uno stato membro per fare la richiesta, non può farlo il parlamento europeo. Oltre al fosforo bianco è stato utilizzato l’MK67, che è come il Napalm utilizzato in Vietnam negli anni settanta.
Ma non era fuorilegge? C’è stata una Convenzione (veramente a più riprese) ma alla conferenza sul disarmo di Ginevra, aperta alla firma a Parigi il 13 Gennaio 1993 non è stata firmata dagli U.S.A., e non sono i soli a non averla firmata, per cui si sentono svincolati dal rispetto di una convenzione internazionale.
Ma allora a che cosa servono le Convenzioni internazionali?
Ci chiediamo in che modo l’OPAC, Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, fondata nel 1997 con sede a L’Aja, svolga la sua missione. Sono testimoniati altri atti vandalici nei confronti dei luoghi sacri e della città. Nel filmato si vede anche come funziona lo schermo a infrarossi, una sorta di filtro verde attraverso il quale i militari mirano e sparano sui bersagli scelti. Un sistema per cercare di allontanare sempre più dalla visione reale delle proprie azioni i militari, che si trovano davanti un quadro che ha perso le connotazioni della realtà.
Il giornalismo embedded e quello free-lance
Le missioni di guerra, come altre questioni, vengono seguite dai giornalisti, ma se sono embedded, incastonati, non possono che documentare quello che gli viene concesso di fare. Per questo non si viene quasi mai a sapere da loro la realtà dei fatti.
Ranucci parla degli imbrogli del giornalismo, delle menzogne che vengono passate per notizie e vengono credute e ritenute vere, se nessuno svela la falsità. Il punto è che a volte si riesce a scovare e punire chi ha falsificato notizie, ma non sempre. In America nonostante tutto, c’è il male ma anche la risposta possibile al male, nella ricerca della libertà di informazione. Porta l’esempio di Jayson Blair del New York Times che è stato punito per le menzogne; mentre d’altra parte Judith Miller, nonostante tutto premiata. Dipende dalle conoscenze, ci viene da dire.
Racconta di essere stato invitato dalla televisione Al Jazeera, un media che dà veramente le notizie, informa e diffonde le inchieste, dove ha presentato la sua indagine ed è stato messo a confronto con gli interlocutori coinvolti da quella inchiesta. Naturalmente i giornalisti free-lance sono quelli più esposti ai pericoli se vanno in zone di guerra, ogni anno quaranta o più perdono la vita, cosa che non accade per quelli embedded. Riguardo l’Italia, in questo campo le cose vanno molto peggio. È più difficile smascherare del tutto le menzogne, dice.
In Italia i giornalisti peccano di opinionismo, non documentano i fatti, non danno le notizie vere. E se non è per l’opinionismo, è per le strategie di potere a cui sottostanno, che raccontano fatti manipolati.
Questo è il vizio di fondo del giornalismo che non permette alle persone di farsi delle idee precise, di conoscere i fatti reali, dico io. E allora come fate a REPORT a continuare a resistere e a esistere?
Ranucci risponde che la redazione si batte per informare, ricercando la verità, muovendosi in tutte le direzioni, non prendendo di mira solo un obiettivo, ad esempio di tipo politico, come hanno fatto altri. Perché in quel caso, se lo stato di conflitto cade, finisce la motivazione di base. Per questo la trasmissione resiste e ha molto da dire. Inoltre mi racconta di come passi il tempo libero a compilare memoriali per rispondere alle tante querele che gli arrivano per le inchieste. Si nota nella platea studentesca un’atmosfera agghiacciata, le domande stentano ad emergere, sono tutte e tutti molto colpiti.
Sono d’accordo con la scelta fatta, è stata una grande esperienza per loro, dal momento che dall’infanzia si viene sottoposti alla visione di violenza finta e gratuita, che genera effetti dannosi e a volte spirito di emulazione, proprio perché non ci si trova di fronte ad effetti reali nei confronti di persone vere. Invece di fronte a documenti reali e a testimonianze autentiche, senza finzioni, la coscienza si desta.