Dopo la messa in soffitta di Marino, da parte del governo Renzi, e l’imposizione del commissario Tronca a garantire le politiche liberiste, è cominciato il circo a Roma per la corsa al Campidoglio. Il balletto dei nomi, primarie e keremesse che circolano non affronta i problemi della maggioranza della città, quella disagiata e delle periferie, ma ci parla solo della sopravvivenza o del riciclo di personale politico squalificato. Anche a sinistra. Serve un programma di lotta per una città diversa. Una città che rovesci il centro.
di Claudio Ortale
Sono iniziate ormai da ben oltre un mese le “primarie dei pretendenti” che potrebbero o vorrebbero giocarsi la corsa per il Campidoglio a Roma. Primarie sì o mezze primarie, liste di partito o listoni civici, confronto tra le “idee” di città (quali?) o riempimento delle sale di qualche teatro con staff e peones, dove casomai ti blindi dentro con tanto di strabordante presenza di forze dell’ordine fuori (vedi cosa successo al Teatro Brancaccio alla kermesse dei mini-sindaci del PD), banchetti per strada (sempre pochissimi per la verità) o meet-up in rete che fà più five stars, video riunioni sul programma o più semplicemente accordi tra i soliti noti?
Tutto questo circo avanza faticosamente a destra, al centro ed inevitabilmente soprattutto a sinistra, compresa quella un tempo definitasi di alternativa o radicale termini ormai spentisi come significato nel pensar comune della gente ormai da diversi anni.
Mentre gli ingegneri ed i geometri del neoliberismo continuano a dare indicazioni ai propri assistenti di continuare a fare piazzare dalle maestranze ulteriori binari che proseguano in maniera unilaterale ed inequivocabile la direzione già decisa a livello di governo nazionale, e non solo. Per Roma, dopo la “cacciata” di Marino e l’arrivo del Commissario Tronca, si conferma in pieno lo scenario prima simbolicamente definito: un binario unico ed a senso unico che non permette assolutamente minime aperture o “scambi” per provare a deviare da questo viaggio, funesto per molti ed utile per pochi.
La prova provata la si trova facilmente leggendo il D.U.P. (documento unico di programmazione) che viene imposto alla città senza che minimamente la gente, o chi dovrebbe rappresentarla, possano provare, anche solo opportunisticamente, a dire la loro. Un documento che ricalca in maniera ancora più netta, e per via “commissariale” senza gli impacci della democrazia formale, le direttrici già tracciate nel bilancio previsionale della giunta Marino.
Quello che è chiaro a tutti è che una volta indossato il D.U.P. (meglio sarebbe dire “fatta indossare questa camicia di forza ai cittadini”) grazie ai poteri speciali assegnati al Commissario straordinario, nulla sarà più come prima. E che, al di là di dove si dovesse fermare tra qualche mese la pallina nella roulette del sindaco che vincerà e della sua futura giunta, il percorso sarà già bello che tracciato e l’unica scelta possibile sarà diventarne complici, fiancheggiatori o capibastone. Così si potrà al massimo pensare a come garantire agli eventuali eletti quei privilegi fatti di bouvette, gettoni, indennità, auto e benefit che come sempre verranno sottratte dalle risorse destinate ai molti che vivono quotidianamente la Città in ogni suo angolo, compresi quelli più sperduti e degradati, per assicurarle nelle mani di pochi… eletti.
Ma è ancora possibile guardare alla rovescia Roma? Pensare davvero ad una città diversa? Allora dobbiamo immaginare una città che rovesci il centro e fermi questo viaggio disastroso. Proviamoci ancora una volta.
Le periferie sono ormai i luoghi dove la stragrande maggioranza dei cittadini vive la propria esistenza tra disoccupazione e precarietà, montagne di rifiuti, strade divelte, manutenzione invisibile, case popolari fatiscenti, scuole e nidi sempre in affanno o, peggio ancora, prossime ad affondare, servizi agli anziani, ai disabili, ai minori ridotti al lumicino, accoglienza ai cittadini stranieri sterilizzata, verde lasciato all’abbandono o destinato a qualche sfalcio d’erba per dare qualche mancia alla solita cooperativa porta voti, illuminazione sempre più al lumicino se non spenta in varie arterie, trasporto pubblico tagliato e automezzi sempre più vecchi fatiscenti e fermi.
Una città diversa, quindi, deve porsi il problema delle periferie, mettendolo come primo punto all’ordine del giorno. E per far questo non servono chiacchieroni prima delle elezioni, ma serve decidere dove mettere i soldi in sede di bilancio per poter iniziare a lenire i decenni di degrado e di abbandono totale che la gente sente come un peso in groppa ormai immodificabile. Se non si parte da qui, il resto è solo bluff.
Il decentramento a Roma non è mai stato attuato realmente negli ultimi 30 anni, soprattutto se pensiamo ad altre metropoli europee come Parigi che, con un’estensione ben 12 volte inferiore, ha ben 20 sindaci che amministrano i territori oltre al sindaco della città. La nostra città “metropolitana” - che ormai straborda per Km oltre il GRA a nord come a sud, ad est come ad ovest - ha visto appena tre anni fa ridurre il numero dei suoi municipi da 19 a soli 15, per un finto risparmio che ha viceversa aumentato il numero dei membri delle mini giunte, passati da 4 a 6 per ogni municipio.
Servirebbe un decentramento vero, sostanziale, con il passaggio reale delle funzioni che ricadono su ogni amministrazione di prossimità, garantendo a queste piena autonomia finanziaria, di bilancio, amministrativa e gestionale. E vista l’estensione di ogni attuale municipio, bisognerà prevedere, regolamentare e sperimentare delle forme di partecipazione diretta da parte dei cittadini dei vari territori che insistono nell’area di ogni municipio. Creare quindi una suddivisione di ciascun municipio in aree territoriali con organi di rappresentanza eletti e verificati dai residenti di ciascuna area, i consigli territoriali, che abbiano compiti di proposta, indirizzo e controllo sulle diverse attività svolte dall’amministrazione locale o centrale che ricadono sul proprio territorio.
Un welfare al centro dell’attività di chi amministra la città, per garantire a tutti un servizio diverso, posto che la spesa più consistente che grava e graverà sempre sul bilancio cittadino e dei municipi sono i servizi sociali.
Serve innanzitutto fare una scelta netta che riaffermi che gli asili nidi e le scuole dell’infanzia devono restare pubbliche, che il personale precario deve essere assorbito negli organici comunali e che chi vuole aprire nidi o scuole dell’infanzia private lo deve fare basandosi esclusivamente sul proprio portafoglio. Serve garantire la copertura della pianta organica (amministrativi, vigili, educatrici, giardinieri, etc.) che ormai evidenzia quasi 8.000 unità in meno rispetto a quanto dovrebbe prevedere la “città metropolitana”. Altrimenti è inutile, ad esempio, allungare gli orari di apertura dei front office agli sportelli centrali e municipali se poi ti mancano le risorse umane. Serve tagliare di netto la politica della finta assistenza alloggiativa, perché i residence non sono stati e non sono la risposta giusta all’enorme e drammatica emergenza e bisogno di alloggi che vive la nostra città. Bisogna recuperare ed utilizzare diversamente quei 29-30 milioni di euro che ogni anno sono stati via via bruciati in questo modo nei vari bilanci, investendoli per il recupero del vasto patrimonio immobiliare di proprietà comunale, e non solo, presente in città così da poter rispondere al fabbisogno, non con i residence ma direttamente con il patrimonio pubblico.
A fianco a questo, chi è Sindaco di Roma, deve esercitare quanto la Costituzione Repubblicana ancora prevede per situazioni emergenziali e ad alto rischio sociale: la requisizione del patrimonio privato e pubblico lasciato sfitto o abbandonato. Serve prevedere di riportare in house una serie di servizi sociali che sono stati esternalizzati e, a fianco di questi, di tutti quei servizi che, creatisi già fuori dalla gestione diretta da parte dell’Amministrazione, sono divenuti ormai strutturali per garantire il welfare cittadino. A che serve, ad esempio, continuare ad dare in appalto esterno il servizio degli A.E.C. (Assistenti Educativi Comunali), quando ben sappiamo purtroppo che le tante disabilità presenti dalla scuola dell’infanzia alle scuole superiori saranno comunque una costante? Proporre e realizzare quindi, in piena controtendenza, un’Azienda Speciale comunale ad hoc che organizzi in house i vari servizi, sia la parte riguardante la gestione, sia quella di programmazione dei servizi, sia infine i lavoratori stessi. Questo è un obiettivo per una città che cambia passo e risponde così anche al malaffare ed alle ormai ricorrenti marchette elettorali.
Un bilancio che regga ha bisogno di essere programmato in maniera rovesciata rispetto agli anni passati. Patto di Stabilità, Debito, Tagli al Bilancio, sono tre cose che non possono determinare le politiche di una città che vuole rimettersi in piedi, salvo non la si voglia scientemente tenere sotto ad un treno. Per prima cosa vanno rimessi in discussione i trasferimenti dello Stato alle città. Senza una decisa inversione di flussi, saranno sempre i cittadini a dover pagare i costanti aumenti dei tanti balzelli. Stessa cosa per quel che arriva (sempre meno a dire il vero) dalla Regione Lazio con le evidenti ripercussioni sul Trasporto Pubblico Locale, sulla Sanità, sulle Scuole e sul patrimonio di Edilizia Residenziale Pubblica. Occorre rimettere del tutto in discussione (e non solo “ristrutturare”) il debito di Roma che risale ormai, come origine, a ben oltre mezzo secolo fa. Serve intercettare ma in maniera seria i fondi europei, soprattutto i fondi FAS, per garantire nuovi flussi di denaro da investire sulla città che altrimenti verrebbe dirottato su altre aree, quando va bene, o sulle ricorrenti speculazioni.
Urbanistica, Acea, TPL, Case Popolari. Serve partire, come già detto, con tanti soldi da investire per un reale recupero delle periferie, fermare l’inutile ulteriore consumo del suolo (Piani di Zona ed Articoli 11) ed azzerare la delibera n. 140/15 che regala il patrimonio immobiliare e gli spazi di tutti agli affari di pochi. Serve recuperare il patrimonio immobiliare all’emergenza alloggiativa e prevedere che i locali ai piani stradali possano anche essere utilizzati come “incubatori sociali” a favore dei giovani in cerca di lavoro. ACEA deve essere tolta dagli appetiti private e riportata nella piena proprietà dell’Amministrazione, sotto controllo pubblico e collettivo. Quindi nessuna vendita di ulteriori quote ai soliti noti ed assunzione in modo chiaro e fermo di quanto deciso dai romani nel giugno 2011 in merito alla ripublicizzazione del servizio di erogazione dell’acqua pubblica. Serve un forte investimento per il rinnovamento del parco di automezzi di ATAC e della TPL, rilanciare percorsi di tram che attraversino la nostra città, potenziare le linee di superfice e metro, allargando ulteriormente le zone di non accesso al traffico privato intorno al centro di Roma, ma anche nelle zone esterne al centro della città.
Serve sbloccare i fondi regionali per il recupero del patrimonio di Case Popolari, prevedendo investimenti per l’autorecupero e recupero di immobili da destinare ad alloggi popolari. Il patrimonio ERP è sempre più degradato e chi vi abita si sente ormai abbandonato, al punto di non saper o voler neanche più alzare un telefono per chiamare gli uffici preposti (ATER o Comune), vista ormai la pluriennale assenza di interventi necessari seguenti, non diciamo tempestivi (sarebbe un vero miracolo di San Gennaro a Roma), ma nemmeno svolti nelle settimane o mesi che seguono alle segnalazioni. Dovranno essere anche affrontate e prese per le corna le situazioni che vedono i “furbetti del quartierino” essere assegnatari di un alloggio popolare senza averne titolo, così da garantire la casa a chi ne ha regolarmente diritto.
Infine, serve che chi governa da primo Cittadino la città ci spieghi perché possono essere aperti od occupati locali che si richiamano dichiaratamente al nazismo, al fascismo ed alla xenofobia.
Qualora anche lui la pensi come la pensiamo noi, allora non perda altro tempo e predisponga tra i suoi primi atti una Ordinanza ad hoc che disponga la chiusura di questi spazi. Roma medaglia d’Oro alla Resistenza gliene sarebbe sicuramente grata.
Questa sarebbe una città diversa. Una città che rovesci il centro.