IV lezione del corso di filosofia: La Repubblica di Platone

Mercoledì 22 settembre dalle ore 18 alle 20,15, quarta lezione del corso:” Controstoria della filosofia” (II ciclo), tenuto dal professor Renato Caputo per l’Università popolare Antonio Gramsci. La lezione (che si terrà in videoconferenza per gli iscritti all’Università popolare Antonio Gramsci e in diretta facebook al link https://www.facebook.com/unigramsci/) affronterà – in un’ottica marxista – La Repubblica di Platone.


IV lezione del corso di filosofia: La Repubblica di Platone

Mercoledì 22 settembre dalle ore 18 (puntuali) avrà luogo la quarta lezione del corso di filosofia – tenuto dal professor Renato Caputo – intitolato “Controstoria della filosofia da un punto di vista marxista”, secondo ciclo: “Dal comunismo utopistico di Platone al realismo immanente di Aristotele”.

L’abolizione della proprietà privata

Platone è consapevole dei rischi del potere: la brama di ricchezza mette a rischio il benessere collettivo. Per ovviare a questi pericoli ed evitare le discordie che derivano dalla proprietà e dall’avidità di ricchezza, Platone stabilisce il divieto per governanti e guardiani di possedere la proprietà privata. Divieto che non concerne solo i beni materiali, ma anche la famiglia.

Il divieto della proprietà privata a partire dalla sua base: la famiglia e l’emancipazione della donna

Anche le donne saranno in comune, non più proprietà privata dei maschi, e i figli allevati a cura dello Stato, sì da sopprimere la famiglia quale base di ogni privatizzazione. La soppressione della famiglia libererà la donna dalla sua tradizionale schiavitù domestica, che è l’unico motivo della sua inferiorità culturale. Per Platone non c’è motivo di escludere le donne dall’educazione, anche nelle sue forme più elevate e se meritevoli dall’esercizio della filosofia e del governo. È questo uno dei tratti più rivoluzionari di Platone, insieme al comunismo dei beni, almeno per i ceti governanti e i guerrieri. Elementi che rimangono quasi isolati in tutto il mondo antico.

Ma i filosofi governanti sono anche felici, visto che sono sottoposti a molte restrizioni? Per Platone sì, in quanto la felicità corrisponde con la giustizia e, quindi, con lo svolgere il proprio compito in vista della felicità della comunità. La vita in comune rafforzerà i vincoli di amicizia e solidarietà, garanzia di coesione del gruppo dirigente.

I limiti della concezione platonica dello Stato

Al sostentamento del gruppo dirigente provvederanno i produttori, ai quali la proprietà privata è concessa nei limiti fissati dal governo. La polis, secondo Platone, dovrà avere dimensioni limitate, fondarsi principalmente sulla produzione agricola, riducendo al minimo l’attività commerciale ed evitando ogni politica imperialistica.

L’aristocraticismo platonico

Platone ha una concezione aristocratica di legittimazione del potere, la sua è una reazione alla democrazia attraverso una rigida diversificazione della società contro gli sconquassi democratici. Per Platone uno Stato sano è uno Stato dove ognuno svolge il suo compito e ognuno sa stare al posto che gli compete; è appunto una forma di organicismo politico che per funzionare necessità l’accordo e l’armonia tra le parti.

Quindi Platone è contrario a una gestione comune della cosa pubblica, tant’è che i cittadini produttori sono esclusi dalla partecipazione politica e non possono esercitare nessuna forma di controllo. Nel suo antidemocraticismo vi è però un’importante novità: non vi sono gli schiavi.

Pur non essendo democratico, lo Stato platonico è aristocratico nel senso letterale del termine. La sua non è un’aristocrazia di nascita, bensì del sapere. I filosofi sono chiamati a governare non perché appartengono a una stirpe di antica nobiltà, ma perché sono in possesso del sapere e sono quindi i migliori. Per Platone è possibile inoltre la mobilità sociale, non vi sono caste chiuse. Questa società, in cui ognuno impara a dismettere il proprio individualismo e a cooperare al bene comune, è quanto più si avvicina alla realizzazione del bene nel mondo del divenire e del tempo.

Le degenerazioni dello Stato

Lo Stato descritto rappresenta un modello, in riferimento al quale è possibile migliorare gli Stati esistenti, che sono delle degenerazioni dell’ideale:

  1. Oligarchia, dove governando i più ricchi domina l’avidità.
  2. Democrazia, governo che nasce quando il ceto povero si ribella all’oligarchia. I cittadini sono liberi e gli è concesso di fare ciò che vogliono, il rischio è l’abbondonarsi al desiderio smodato.
  3. Tirannide, forma più degenerata di governo, che nasce come reazione all’eccessiva libertà della democrazia. Il tiranno, per difendersi dall’odio dei cittadini, si circonda dei peggiori individui.

Il dibattito sulla Repubblica

Si tratta di un testo chiave della filosofia politica, che ha stimolato un secolare dibattito.

- il motivo utopico: ripreso a partire da Tommaso Moro, 1516. Molti hanno considerato l’utopia vera filosofia e vera politica, in quanto mette di fronte agli uomini un modello ideale e li spinge a correggere le imperfezioni storiche.

- la tesi dei filosofi-re: da molti rifiutata in quanto il filosofo con le sua astrazioni non conoscerebbe la realtà. Kant la rifiuta perché il possesso della forza corrompe inevitabilmente il libero giudizio della ragione, ma c’è anche chi la condivide in quanto i filosofi possedendo virtù e disciplina sarebbero i più atti a dirigere la cosa pubblica.

- Comunismo e statalismo: da sinistra sono stati sottolineati gli aspetti comunitari e anti-individualistici, la preminenza del bene collettivo su quello personale, e il primo abbozzo di comunismo. Ma anche c’è chi, come Marx, l’ha criticata in quanto ha visto nell’organicismo platonico un’ideologia tesa a giustificare una società classista, fondata su una rigida divisone del lavoro.

Al contrario i liberali come Popper l’hanno criticata per lo statalismo, prototipo di una società illiberale e antidemocratica, paradigma dello Stato dispotico.

L’utopia pedagogica

Tornando a La Repubblica si pone il problema che se non vi è nessun controllo dal basso, chi controllerà i custodi? Per Platone non vi è bisogno di un controllo dal basso, in quanto a suo avviso la questione si risolve con il sistema educativo che addestrerà i futuri guardiani a pensare al bene collettivo. Perciò la funzione delle scienze sarà la formazione dei filosofi destinati ad assumere e gestire il potere e a educare il resto della società e, in primis, i guardiani. Come osserverà Rousseau, la Repubblica è il più grande trattato sull’educazione dell’antichità.

La pedagogia

L’ideale pedagogico di Platone prevede, innanzitutto, un’educazione alle forme elementari del sapere, come la musica e la ginnastica. Poi i migliori passeranno allo studio delle scienze matematiche. A 35 anni entreranno nella vita politica. I migliori intraprenderanno lo studio del sapere supremo: la dialettica. A turno poi si sobbarcheranno il ruolo di filosofi-re.

I gradi della conoscenza e il compito dei filosofi

Il governante deve essere il filosofo in quanto colui che sa. Ma che cos’è la conoscenza? Per Platone essa è simmetrica al mondo dell’essere: a ogni forma di conoscenza corrisponde un tipo di oggetti. Colloca in un segmento le quattro forme conoscitive, ognuna delle quali si rivolge a uno specifico genere di oggetti.

Divide il segmento in due parti, la prima corrisponde alla conoscenza intelligibile, la seconda a quella sensibile. Il segmento noetico a sua volta si divide in due sottosezioni: 1) la conoscenza dialettica, che si rivolge alle idee 2) la conoscenza matematica, che ha per oggetto numeri e figure. Il segmento sensibile si divide in: 1) la credenza, i cui oggetti sono costituiti da cose sensibili; 2) l’immaginazione che si rivolge alle copie degli oggetti sensibili, cioè ai prodotti artistici. Quindi mentre nella parte inferiore la conoscenza appartiene all’opinione, nella parte superiore hanno posto le conoscenze vere e proprie: ragionamento matematico e sapere dialettico.

Per Platone l’epistemologia, il tipo di conoscenza, dipende dall’ontologia, ovvero dalla natura degli oggetti cui si rivolge. Mentre noi siamo abituati a pensare che dello stesso oggetto si possano avere diverse forme di conoscenza, a seconda del metodo con il quale l’oggetto viene studiato. Per Platone se ci sono due conoscenze diverse – opinabile e scientifica – deriva dal fatto che si rivolgono a due generi di oggetti differenti: gli oggetti sensibili e le idee.

Per Platone, per quanto ritenga importantissima la matematica, la filosofia è superiore in quanto nella matematica permangono legami con il mondo sensibile: le figure geometriche sono un’astrazione degli oggetti percepiti dai sensi, mentre la filosofia risale alle idee e da queste all’idea suprema: il bene. Inoltre, il filosofo si occupa dei problemi della città, mentre lo scienziato astrae dalle questioni etico-politiche. Nell’educazione le matematiche hanno una funzione propedeutica alla filosofia.

Il mito della caverna e la funzione dei filosofi

La teoria dei gradi della conoscenza e dell’educazione trova una suggestiva esemplificazione nel mito della caverna. La condizione di partenza degli uomini è quella di prigionieri incatenati nel fondo di una caverna, che non possono vedere né la luce del sole, né gli oggetti reali. Obbligati a guardare solo il fondo della caverna, vi vedono le ombre di oggetti che vengono fatti passare alle loro spalle e che considerano reali. La condizione dell’uomo legato alle apparenze sensibili, alle opinioni, al divenire è quella, appunto, del prigioniero. Tuttavia è possibile, secondo Platone, liberarsi da questa situazione mediante le scienze matematiche che elevano l’uomo al piano della realtà ideale. Una volta fuori dalla caverna, il prigioniero liberato non potrà fissare i suoi occhi direttamente sul sole, ma dovrà dapprima levarlo sulle ombre e poi sugli oggetti dal sole illuminati. Solo a poco a poco, mediante la dialettica, indirizzerà lo sguardo al sole, metafora del bene. L’uomo diviene così, secondo Platone, libero e si trasforma in filosofo, il cui compito è ora di tornare nel fondo della caverna per liberare gli altri uomini ivi rimasti. Il filosofo non deve limitarsi alla contemplazione del mondo delle idee, ma deve porre il suo sapere al servizio del processo di emancipazione dell’umanità.

La concezione dell’arte di Platone

è esposta nel X libro della Repubblica. Essa è esclusa dall’educazione in quanto riproduce le immagini delle cose che a loro volta sono copie delle idee. Invece di avvicinare l’anima al mondo delle idee la allontana dalla verità. La musica si salva per i suoi aspetti matematici e in quanto introduce al rigore morale.

Platone condanna l’arte in quanto gli uomini e, soprattutto, i governanti devono apprendere a tenere a bada istinti e passioni. Perciò l’arte deve essere sostituita dalla filosofia nella educazione.

I miti sono utili alla filosofia per rappresentate contenuti di difficile spiegazione. Arte e mito sono accettabili solo se assoggettate alla filosofia.

Per quanto riguarda la sua concezione della bellezza, essa è la forma esteriore della bontà, quindi coincide con il vero. Di contro ai sofisti, Platone ha una concezione oggettiva del bello, in quanto le cose belle sono in rapporto con l’idea di bello.

Completata La Repubblica si tratta di dare alla dialettica metodi e obiettivi rigorosamente definibili.

La dialettica senza il bene: il progetto di una scienza universale

Il progetto di fare della dialettica una vera scienza, universale e suprema, si sviluppa nel Sofista, Filebo e Parmenide. Qui il discorso si eleva alle premesse filosofiche nella loro astrattezza. Se nella Repubblica le idee si concatenavano con l’obiettivo di realizzare il bene, nel Sofista la relazione delle idee è indagata quale fondamento della possibilità di costruire un discorso specifico e controllarne la verità. Come si è visto ogni rapporto predicativo è da riferire, secondo Platone, a un rapporto fra idee per poter comprendere se è vero o no. Le proposizioni: l’uomo è un animale o l’uomo vola sono vere se l’idea di uomo è in rapporto con quella di animale o di voltatile. Il discorso scientifico è possibile nel caso in cui alcune idee comunichino fra loro e altre no.

Gli ultimi dialoghi

Platone, più che occuparsi dei rapporti tra idee e cose sensibili, sposta la sua attenzione sui rapporti tra le idee. Le cose sensibili sono contraddittorie, ciascuna di esse è e non è: Elena è bella nei confronti di una donna, ma brutta nei confronti di una dea. Le idee dovrebbero risultare immuni dalla natura contraddittoria. A un esame più accurato, però, l’ultimo Platone nota come la contraddizione s’insinua nel mondo delle idee, perché anche esse hanno predicati opposti: per esempio, l’idea di simile è anche dissimile, perché è dissimile da altre. L’idea di uno è anche molteplice, dal momento che possiede più di una caratteristica, per esempio l’unità e l’esistenza.

La pluralità di determinazioni all’interno della stessa idea si spiega con il fatto che non solo le cose entrano in relazione con le idee, ma anche queste ultime hanno rapporti di partecipazione reciproca. Quindi il simile è anche dissimile in quanto partecipa della idea della dissomiglianza.

17/09/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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