La vita
Agostino nasce a Tagaste nell’attuale Algeria nel 354 da famiglia non ricca. Studia grammatica e retorica, materia che poi insegna a Cartagine e a Roma dal 383. Con l’appoggio dei Manichei ottiene la cattedra a Milano, sede dell’imperatore, di cui diviene un funzionario importante, tanto da scriverne i discorsi. Si converte al cristianesimo e torna a Tagaste dove fonda un monastero, ma contro la sua volontà è eletto vescovo di Ippona. Si dedica tutto allo studio e agli impegni pastorali. Muore nel 430 mentre i Vandali di Giansenico assediano Ippona.
Le tappe della formazione intellettuale di Agostino
Le tappe della tortuosa formazione di Agostino segnano motivi che rimarranno essenziali nel suo successivo impegno speculativo e pastorale e per la sua caratterizzazione del compito della filosofia. Dallo studio dell’Hortensius di Cicerone, la filosofia si presenta a Agostino come amore per la sapienza, che implica una continua ricerca. Tale ricerca si articola per Agostino come sforzo della razionalità per individuare il proprio fondamento. Senza rinunciare al compito di infinito chiarimento, la ragione, secondo Agostino, riconosce qualcosa che la trascende e a cui deve credere.
Il manicheismo
La verità ricercata è trovata in primis nel manicheismo, per il metodo razionale con cui indaga le scritture, e per la radicalità con cu si risolve il problema del male. Il Manicheismo è una religione fondata dal persiano Mani (205-76). Il formarsi della realtà e il male in essa sono spiegati con uno schema zoroastriano: ci sono due principi creatori opposti, uno è il signore della luce, l’altro delle tenebre. Dalla loro continua lotta deriva la realtà costituita dal bene e dal male. Anche l’uomo è fatto di luce, lo spirito, e tenebra, il corpo, perciò con una morale molto rigida l’uomo deve far prevalere lo spirito sul corpo.
Dallo scetticismo al neoplatonismo
In seguito la razionalità del Manicheismo apparirà ad Agostino astratta e sterile, giudicando inconsistente la tesi sul male, in quanto se esso si opponesse al bene dio non sarebbe onnipotente. Passando attraverso una fase scettica, Agostino attraverso l’esegesi biblica di Ambrogio, ricca di influenze neoplatoniche, e la lettura diretta delle Enneadi, conclude i suoi anni giovani convertendosi al neoplatonismo e al cristianesimo. L’inizio del Vangelo di Giovanni gli offre una soluzione al problema del male riconoscendolo come non-essere e non come principio separato in opposizione all’onnipotenza e unicità di dio.
La grazia e la filosofia come introduzione alla fede
Dinanzi alla perdurante angoscia per il male, interviene il riconoscimento della carenza delle forze umane, che necessitano di una grazia per vincere la tendenza al male. Agostino si serve in modo cospicuo di schemi neoplatonici, giustificandosi con il compito attributo alla filosofia di introduzione alla fede e di delucidazione dei contenuti della fede. Tuttavia la filosofia non ha valore in sé, ma in quanto ci fa penetrare nei contenuti della fede. Perciò occorre rubare la filosofia ai greci per utilizzarla per il suo vero scopo.
La soluzione al problema del male
Il rapporto fra principio unitario del reale ed esseri molteplici e limitati, di Plotino, dà ad Agostino la chiave per interpretare il rapporto fra dio e creature, di modo ché né dio possa essere ritenuto responsabile della imperfezione, carenze (del male), presenti nel mondo, né il male possa essere posto come principio di tutti gli esseri finiti, questi ultimi sì carenti e imperfetti, ma comunque positivi, perché in quanto Essenti partecipano dell’Essere. L’universo si struttura gerarchicamente secondo i diversi gradi di essere che le creature hanno ricevuto. Data l’equivalenza fra Bene ed essere il male propriamente non è, è non essere, privazione, limite e non realtà.
Le differenze da Plotino
A differenza che in Plotino non c’è per Agostino necessità nella creazione divina, ma è opera della libera iniziativa di dio. Inoltre in Agostino non c’è un’Unità oltre l’Essere, ma l’Essere si identifica con l’Uno. Dio è uno e bene in quanto è pienezza d’essere. Dio e l’anima sono legati da un’accentuata tensione emozionale oltre che razionale. Il luogo di tale rapporto è l’interiorità e il metodo per coglierlo l’analisi psicologica.
Una religiosità interiore
L’uomo scopre in sé criteri stabili cui fa riferimento per conoscere il mutevole e scopre la presenza di proposizioni (specie matematiche e logiche) la cui universalità non deriva dai sensi. Tali evidenze e regole l’uomo non ricava dall’esperienza, visto che esse sono necessarie per valutarla, né le produce l’uomo, visto che sono le condizioni di possibilità del suo pensare. Tali criteri certi sono il riflesso di idee immutabili e perciò vere, che testimoniano l’esistenza di una verità assoluta e oggettiva, proprio nell’uomo. Nell’interiorità l’uomo può colloquiare direttamente con Cristo, quale maestro interiore. Alla luce di concetti e criteri veri presenti nell’anima, possiamo reperire conoscenze certe, come reperire indicazioni etiche rette. L’illuminazione è condizione della vera conoscenza ed è il risultato di una nostra conversione, ma anche della grazia. Pur scoprendosi libero e responsabile nella propria interiorità, l’uomo può sottrarsi dalla tentazione solo per la guida del Maestro interiore.
La cristianizzazione della filosofia di Plotino
Dunque concetti tipici della filosofia di Plotino sono qui utilizzati con un altro significato. Nella riflessione di Agostino torna anche il tema platonico della memoria: ma nel senso che ritrovare la Verità significa ricordarsi del dio che è in noi.
Agostino vescovo in Africa
In Agostino vi sono temi ricorrenti, come la grazia o l’ossessione per il male, ma non si organizzano in un sistema. La filosofia per Agostino è uno strumento per penetrare i contenuti della rivelazione, inoltre lo stile della sua ricerca lo porta a rivisitare le proprie posizioni. Agostino ha scritto diverse opere di autoanalisi come le Confessioni o i Soliloqui.
Le opere teologiche
Ancora meno sistematici sono gli scritti dopo il 395, quando Agostino diviene vescovo e si dedica all’impegno pastorale. Le sue opere divengono esegetiche, catechetiche e polemiche. Dopo che nella sua filosofia ha avuto come riferimento costante il centro unitario dell’interiorità, nelle sue opere teologiche l’interiorità è sostituita dall’ideale dell’unità della chiesa contro gli effetti disgregativi del male.
Contro i donatisti
Tale spirito guida Agostino nella lotta ai donatisti, che devono il loro nome al Vescovo Donato. Nel donatismo confluiscono motivi religiosi e proteste sociali, radicalizzandosi in moti popolari e antiromani anche violenti. Lo scisma donatista si fonda su due motivi: in primo luogo i donatisti considerano la vera chiesa come una comunità di puri, santi e martiri. Vanno perciò banditi da essa coloro che sono scesi a compromessi con il potere imperiale. In secondo luogo a parere dei donatisti il valore dei sacramenti dipende da chi li somministra.
Il carattere universale della chiesa e l’accettazione della volontà divina
Agostino contrappone a tali tesi la funzione mediatrice della chiesa e il suo carattere universale, per cui anche i più deboli debbono essere accolti nel suo seno. Per Agostino ognuno deve nell’al di qua restare al posto assegnatoli provvidenzialmente nella gerarchia. Aspirazioni egualitarie e meritocratiche debbono essere represse.
Contro i Pelagiani
Nella polemica con i pelagiani Agostino non chiede la repressione violenta, ma si limita alla confutazione dottrinale di questa concezione che dal monaco irlandese Pelagio si è diffusa principalmente in una cerchia intellettuale e altolocata. Pelagio limita il peso del peccato originale e sostiene che gli uomini nascono liberi di scegliere. Perciò se vivranno una vita pura fondata sul rigore morale otterranno la grazia. Dio è, dunque, per Pelagio equanime e gli uomini con il loro impegno si conquistano il diritto alla salvezza.
La necessità della grazia e la centralità della chiesa
Di contro ai pelagiani Agostino accentua la debolezza dell’umanità, massa damnationis, a cui senza la grazia a nulla valgono le opere. I criteri della scelta divina restano incomprensibili. Tale concezione della predizione è in contrasto con le tesi della responsabilità umana, sostenute da Agostino contro i manichei. L’asprezza della polemica agostiniana è dovuta ai pericoli sociali del paradigma della povertà predicato dai pelagiani e al ruolo secondario che i pelagiani danno alla chiesa quale mediatrice della grazia.
Città del cielo e città terrena in Agostino
Legata alla predestinazione è la filosofia della storia del Civitate dei (La città di Dio). L’opera risponde all’angoscia e allo smarrimento suscitati nei cristiani dal sacco di Roma dei Goti di Alarico nel 410. I pagani incolpano i cristiani del crollo, avendo messo in questione l’antica eticità; i cristiani temono di crollare con l’impero alla cui sorte si sono strettamente legati.
La separazione della chiesa dallo Stato in crisi
Ai pagani Agostino risponde che tutta la storia è retta dalla provvidenza divina e ciò dà valore positivo anche alle apparenti catastrofi. Ai cristiani Agostino assicura la sopravvivenza con la tesi delle due città: la terrestre e la celeste. Nella storia sembrano confondersi, ma la seconda è costituita dai predestinati. Dunque pur nel mondo la Civitas dei ha un destino ultraterreno. Essa è indifferente rispetto alle istituzioni della città dell’uomo, purché esse garantiscano la pace che propizia la città divina. Pur proponendo la subordinazione del senso della storia a valori che la trascendono e solo provvisoriamente in essa s’incarnano, Agostino non è fautore della teocrazia. Inoltre Agostino consiglia ai cristiani di recuperare e usare la cultura pagana ai propri fini.
Una religione soggettiva e l’importanza della chiesa dinanzi alla crisi dell’impero
La caduta di Roma porta Agostino a oscillare fra il consiliare ai cristiani di ritirarsi in sé stessi, o provare a fornire con la chiesa un’organizzazione alternativa al crollo dell’impero. Così da una parte occorre rifugiarsi nell’interiorità del dialogo con dio, mentre all’esterno la salvezza è da ricercare solo nella chiesa e chi non lo accetta va combattuto. Proprio perciò ad Agostino si richiameranno sia i fautori di un integralismo cristiano, sia chi ricercava dio nel colloquio interiore con la propria coscienza.
L’ultima patristica
Dalla seconda metà del V secolo la patristica perde la vitalità speculativa. La cultura vive a spese del passato venendo meno la creatività in un’epoca in cui una civiltà crolla e si afferma la barbarie. La patristica sopravvive come attività erudita, tesa alla compilazione di estratti di testi antichi e di commentari.
Lo Pseudo Dionigi l’Areopagita
In oriente, salvo dal crollo dell’impero occidentale, si afferma lo Pseudo Dionigi. Dionigi detto l’Areopagita era l’unico che Paolo era riuscito a convertire all’Areopago. Dionigi però era morto nel I secolo, mentre questi scritti sono del V. Hanno avuto però molta influenza, perché hanno legittimato la ripresa della tradizione neoplatonica all’interno del Cristianesimo. L’idea centrale di questi scritti è l’assoluta trascendenza di dio quale unità, di cui è impossibile all’uomo determinare la natura. Da qui lo sviluppo dell’estasi mistica e di una teologia negativa, secondo la quale si può dire solo cosa dio non è.
Boezio
Nel mondo occidentale l’opera di Severino Boezio (480-526) ha dato un importante contributo alla sopravvivenza di parte della filosofia antica, traducendo e commentando in latino le opere logiche di Aristotele. Tali opere diverranno un elemento fondamentale della filosofia medievale. Boezio è stato l’ultimo significativo intellettuale del mondo occidentale, prima che fosse sommerso dalla barbarie, e ha dato un importante contributo all’acquisizione del neoplatonismo nella cultura cristiana.
La consolazione della filosofia
Boezio scrive La consolazione della filosofia, opera che lo rese noto in tutto il medioevo. Tale opera è ispirata al neoplatonismo e allo stoicismo; essa presenta la filosofia allegoricamente mediante la figura di un’augusta matrona che consola Boezio imprigionato da Teodorico, mostrandogli che la felicità non dipende dai beni del mondo, ma da dio, inteso platonicamente come il sommo bene. Boezio discute il problema della provvidenza e del fato, e della loro conciliazione con la libertà umana.
La decadenza della patristica
Nel VII secolo comincia il periodo più oscuro della storia medievale. La cultura si mantiene viva grazie a qualche solitario erudito, che l’attinge dalle opere del passato e la trasmette in rozzi e disordinati compendi. Tra questi spicca Isidoro di Siviglia (570-636) autore di opere per la formazione dei monaci, fra cui Le etimologie, una specie di enciclopedia in venti libri in cui condensa e cerca di preservare l’intero sapere. Un compendio di scienze naturali antiche ci ha lasciato Beda il Venerabile, con la cui morte nel 735 i cattolici considerano conclusa la patristica.