Gramsci è stato un filosofo, giornalista, dirigente politico e rivoluzionario italiano, figura importante del marxismo dello scorso secolo e fondatore, assieme principalmente a Bordiga, del Partito Comunista d’Italia. Il suo contributo teorico al marxismo viene ancora oggi ritenuto fondamentale: in particolare, Gramsci viene molto studiato, oltre che in occidente, nei paesi dell’America Latina.
La vita
Antonio Gramsci nasce ad Ales, in provincia di Cagliari, nel 1891, da una famiglia di umili origini. Dopo un’infanzia difficile riesce, con ampi sacrifici, ad ottenere una borsa di studio per l’Università di Torino. Qui, sente piano piano affievolirsi l’interesse per l’ambiente universitario, mentre cresce in lui la passione politica. Abbandonati gli studi, Gramsci si iscrive al Psi [1] e fonda la rivista “L’Ordine Nuovo”, che poco dopo diventerà un giornale. Dalle pagine di questo giornale, Gramsci cerca di organizzare i lavoratori insorti all’indomani della Prima guerra mondiale e della Rivoluzione russa, in quello che è rimasto alla storia come il biennio rosso (1919-1920). In particolare il pensatore sardo ritiene cruciali i consigli come strumenti di autogoverno dei lavoratori e strutture funzionali ad uno sviluppo più razionale delle forze produttive. Tra i tanti articoli scritti in questo periodo, si ricorda il testo La rivoluzione contro il Capitale (1917), nel quale Gramsci difende la rivoluzione russa, nonostante essa fosse avvenuta nell’anello più debole della catena imperialista (la Russia) e non dove Marx se la sarebbe aspettata (ovvero in un paese a capitalismo sviluppato), e rivendica una visione antidogmatica del marxismo. Emerge qui il Gramsci che fin da giovane, conosciuto Labriola [2], il sindacalismo rivoluzionario ed i neoidealisti Croce e Gentile, si è profondamente appassionato, oltre che al marxismo, alla filosofia hegeliana. Come dirà lo stesso Gramsci: “In un certo senso […] la filosofia della prassi [3] è una riforma e uno sviluppo dello hegelismo” [4]. Insoddisfatto dalla risposta del partito socialista al moto rivoluzionario, Gramsci è tra i fondatori, nel 1921, a Livorno, del PCd’I [5], la sezione italiana della Terza Internazionale [6]. Nel 1923 fonda a Vienna il giornale “L’Unità”, che nella concezione politica gramsciana doveva essere l’unità tra gli operai ed i contadini poveri. Intanto si ampliano i contrasti tra i vari settori del PCd’I: dopo alterne vicende ed uno scontro interno tra il gruppo di Gramsci, sostenuto dall’Internazionale, ed il settario Bordiga [7], Gramsci ha la meglio e nel 1926 viene eletto segretario. È oramai troppo tardi per l’Italia, dove in risposta alle spinte rivoluzionarie la reazione ha preso la forma del regime fascista, capeggiato da Benito Mussolini. Gramsci, tornato nel paese, viene rapidamente incarcerato. Resterà in carcere a lungo, lottando per ottenere una cella singola e dei quaderni su cui scrivere, fino a quando l’aggravamento delle sue condizioni di salute non obbligherà il regime a concedergli la libertà condizionata. In quegli anni scrive nei quaderni gli sviluppi del suo pensiero politico, e scambia una gran quantità di lettere, specialmente con i familiari. I quaderni, pubblicati da Togliatti [8] nel secondo dopoguerra, diverranno noti con il nome di Quaderni del carcere (1948-1951); le lettere, anch’esse pubblicate, sono note come le Lettere dal carcere (1947). Gramsci, la cui forma fisica, debilitata fin dalla giovinezza, era sempre più in decadenza, muore pochi anni dopo aver ottenuto la libertà condizionata, nel 1937.
I Quaderni del carcere
Scritti nel periodo che va dall’arresto alla morte del rivoluzionario, sono ritenuti il suo più significativo lascito teorico. In essi, Gramsci affronta una grandissima varietà di questioni, costruendo la sua teoria politica attorno all’analisi del perché la rivoluzione, vittoriosa ad Oriente, in Occidente sia risultata sconfitta. Centrale nell’analisi gramsciana sulle possibilità di sviluppo della rivoluzione in Occidente sono le considerazioni che il pensatore sardo sviluppa in seguito all’evidenza del fallimento del tentativo di presa del potere da parte delle avanguardie rivoluzionarie in Italia. Gramsci ritrova la causa di questo fallimento nel diverso grado di sviluppo che la società civile [9] russa aveva rispetto a quella occidentale. Alla guerra di movimento svolta fin da subito dai rivoluzionari russi, viene quindi contrapposta la necessità di una precedente fase di guerra di posizione, durante la quale lottare per la conquista delle casematte del potere che, nascoste dietro lo Stato, rendono più solida la società occidentale. Dice a tal proposito Gramsci: “In Oriente lo Stato era tutto, la società civile era primordiale e gelatinosa; nell’Occidente tra Stato e società civile c’era un giusto rapporto e nel tremolio dello Stato si scorgeva subito una robusta struttura della società civile. Lo Stato era solo una trincea avanzata, dietro cui stava una robusta catena di fortezze e di casematte […]” [10]. Nella conquista delle casematte, che è funzionale alla realizzazione del processo rivoluzionario, è centrale, secondo Gramsci, la conquista dell’egemonia, che corrisponde alla manifestazione, sotto forma di direzione intellettuale e morale, della supremazia di un certo gruppo sociale [11]. Questa azione egemonica, svolta abitualmente dalle classi dominanti tramite i propri strumenti disposti nella società civile, deve essere contrastata in quella che Gramsci chiama la battaglia delle idee; bisogna quindi contrapporre al blocco sociale dominante la prospettiva di un blocco sociale alternativo. Gramsci descrive anche cosa sia un blocco storico, dando in questo una definizione storico-analitica (cfr. enricoberlinguer.org): “La struttura e le superstrutture formano un «blocco storico», cioè l’insieme complesso e discorde delle sovrastrutture sono il riflesso dell’insieme dei rapporti sociali di produzione” [12]. Per riuscire nell’obiettivo di rendersi egemone nella società (conquistando in questo processo anche le classi medie, che nelle società a capitalismo sviluppato sono l’ago della bilancia nella lotta e devono pertanto essere strappate al blocco sociale dominante), la costruzione e l’azione del blocco sociale alternativo, ed in particolare della classe operaia, devono essere organizzate dal partito, nel quale fondamentale è il ruolo di quegli intellettuali che Gramsci definisce come organici alla classe, ovvero di estrazione proletaria o rivoluzionari di professione. Gramsci sviluppa un paragone tra la concezione del principe in Machiavelli ed il ruolo del partito. Dice ancora Gramsci: “[...] una massa umana non si «distingue» e non diventa indipendente «per sé», senza organizzarsi (in senso lato) e non c'è organizzazione senza intellettuali, cioè senza organizzatori e dirigenti, cioè senza che l'aspetto teorico del nesso teoria-pratica si distingua concretamente in uno strato di persone «specializzate» nell'elaborazione concettuale e filosofica. Ma questo processo di creazione degli intellettuali è lungo, difficile, pieno di contraddizioni, di avanzate e di ritirate, di sbandamenti e di raggruppamenti, in cui la «fedeltà» della massa (e la fedeltà e la disciplina sono inizialmente la forma che assume l’adesione della massa e la sua collaborazione allo sviluppo dell'intero fenomeno culturale) è messa talvolta a dura prova. Il processo di sviluppo è legato a una dialettica intellettuali-massa: lo strato degli intellettuali si sviluppa quantitativamente e qualitativamente, ma ogni sbalzo verso una nuova «ampiezza» e complessità dello strato degli intellettuali è legato a un movimento analogo della massa dei semplici, che si innalza verso livelli superiori di cultura e allarga simultaneamente la sua cerchia di influenza […]” [13]. Qui come altrove è evidente l’importanza data da Gramsci allo scontro sovrastrutturale, fatto che dimostra la visione dialettica del rapporto struttura-sovrastrutture specialmente propria di un filosofo che si era posto fin dalla giovinezza in contrasto con ogni concezione dogmatica del marxismo. Gramsci nei quaderni approfondisce anche altre importanti questioni. Parlando dell’americanismo e del fordismo [14] mette in luce la trasformazione che l’organizzazione della produzione stava vivendo al suo tempo, paragonando il precedente taylorismo con il più recente fordismo; mostra anche come la borghesia abbia la capacità di risolvere le crisi periodiche del sistema capitalistico di produzione tramite una riorganizzazione interna (una rivoluzione passiva, ovvero operata dall’alto e che previene ogni movimento realmente rivoluzionario), segnalando come esempio più virtuoso in tal senso gli Stati Uniti; ritorna anche sui consigli come organi fondamentali della società futura. Sul piano filosofico, sviluppando un paragone con la critica che Marx fa ad Hegel, Gramsci mostra la centralità che nel marxismo ha l’aprirsi al pensiero borghese più progressista (che al suo tempo era soprattutto quello di Croce e Gentile); in tal senso Gramsci sviluppa una critica alla forma neoidealistica mistificante nel pensiero crociano, elogiandone allo stesso tempo lo storicismo. Sempre rispetto al pensiero che gli è contemporaneo, Gramsci critica il positivismo, condannandone le influenze anche nella Seconda Internazionale e rimettendo al centro il materialismo storico. Ripercorrendo la storia dell’unità d’Italia, Gramsci mostra come la poca attenzione data alla questione della terra abbia portato i mazziniani (democratici radicali) a perdere il controllo del processo unitario, lasciando spazio ai liberali moderati; da questa guida nel processo unitario si è originato il blocco sociale dominante composto da industriali del Nord ed agrari del Sud che è alla base della questione meridionale. La mancata volontà di redistribuire le terre ai contadini per garantire la continuità del blocco sociale dominante è, secondo Gramsci, anche alla base dell’imperialismo straccione [15] dell’Italia, funzionale all’unità nazionale e basato unicamente sulla vuota promessa di terre coltivabili oltremare da conquistare ed annettersi come colonie. Dalle molteplici considerazioni di Gramsci emerge la figura di un intellettuale brillante ed articolato, il cui pensiero, raccolto in una gigantesca ed intricata mole di scritti ed articoli, non può che essere considerato ancora oggi di fondamentale importanza per la storia del marxismo.
Note:
[1] Il Partito Socialista Italiano.
[2] L’intellettuale ad aver introdotto per primo sistematicamente il marxismo in Italia.
[3] Parola chiave della filosofia gramsciana (per quanto la formula non sia stata coniata dal pensatore sardo, cfr. sitocomunista.it), è il termine con il quale Gramsci parla del marxismo.
[4] Gramsci, A. (1977), Quaderni del carcere (2nd ed.), Torino: Giulio Einaudi, p. 1487
[5] Il Partito Comunista d’Italia.
[6] L’Internazionale fondata da Lenin.
[7] Fino ad allora il segretario del partito.
[8] Segretario del PCd’I e poi del PCI, succeduto a Gramsci in questa carica.
[9] Gramsci include nella società civile anche istituzioni come le chiese, i sindacati, i partiti, la scuola, l’università e così via.
[10] Ivi, p.866
[11] cfr. Gramsci, A., 1977
[12] Ivi, p. 1051
[13] Ivi, 1386
[14] Il nuovo tipo di organizzazione del lavoro di fabbrica che aveva il suo più attivo attuatore in Henry Ford.
[15] Il nome che Gramsci dà all’imperialismo italiano, in quanto non realmente basato sulla necessità di ovviare alla crisi di sovrapproduzione (come l’analisi marxista prevede sia, solitamente) ma soltanto basato su interessi sovrastrutturali politici.