Kant, l’importanza del giudizio e… un uomo che scambiò sua moglie per un cappello

Oliver Sacks, in L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, racconta la storia del Dottor P. Kant, nel 1740, pubblica la Critica della facoltà di giudizio. Cosa hanno in comune l’opera kantiana e la storia del Dottor P.? Entrambe ci permettono di comprendere quanto il giudizio sia necessario per l’esperienza umana.


Kant, l’importanza del giudizio e… un uomo che scambiò sua moglie per un cappello

Il Dottor P. è ‘’un uomo di grande cultura e fascino’’ [1] e parla ‘’con scioltezza, fantasia e umorismo’’ [2], egli ha inoltre un’ottima vista, è un abile giocatore di scacchi e un eccellente musicista ma, se glielo si mostra, non è capace di riconoscere un guanto o il volto di una persona di sua conoscenza come un familiare o un collega, anzi il Dottor P. non è in grado di riconoscere nemmeno il suo volto. Questa è la storia che Oliver Sacks, neurologo e scrittore britannico, ci racconta nel primo capitolo di L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, una raccolta di storie cliniche che non esplorano il caso in questione, capitolo per capitolo, soltanto da un punto di vista neurologico, non prendono in considerazione solo il ‘’danno’’ organico, ma anche da un punto di vista umano e terapeutico.

La prima storia che lo scrittore ci racconta è quella di un uomo singolare, ‘’sotto certi aspetti (…) perfettamente integro, sotto altri devastato in modo totale e incomprensibile’’ [3]. Egli infatti conduceva una vita apparentemente normale come insegnante in una scuola di musica e non manifestava nessun segno di demenza al primo sguardo del neurologo ma non di rado gli capitava di scambiare parchimetri o idranti per bambini oppure di non riconoscere i suoi studenti se non grazie alla loro voce e, proprio durante una visita di Sacks, l’uomo afferrò con disinvoltura la testa di sua moglie cercando di sollevarla convinto che fosse il suo cappello e con la stessa disinvoltura, poco prima, aveva scambiato il suo piede per una scarpa. 

Ma cosa era successo al Dottor P.? Perché nonostante la sua vista perfetta commetteva questi errori così grossolani e quasi comici, tanto da sembrare buffi perfino a lui? Sacks definisce il suo caso come agnosia visiva, ovvero perdita di ‘’ogni facoltà di raffigurazione e di creazioni di immagini, ogni senso del concreto, della realtà‘’ [4]. In altre parole l’uomo si era trasformato, almeno per quanto riguarda la sua percezione visiva, in un calcolatore che decodifica il mondo attraverso relazioni schematiche e caratteristiche chiave. Questo spiega il perché l’uomo riuscisse a riconoscere Einstein osservandone il volto su una rivista, utilizzando l’indizio chiave dato dalla sua pettinatura inconfondibile, ma non il volto della moglie o l’espressività di un volto qualunque, perché riuscisse a descrivere un guanto come una ‘’superficie continua, avvolta su se stessa’’ [5] e ‘’dotata di cinque estensioni cave‘’ [6] ma senza nemmeno intuire quale potesse essere l’oggetto che stava esaminando, facilmente riconoscibile anche da un bambino, anche con ulteriori indizi. Egli era persino arrivato ad ipotizzare che si trattasse di un portamonete per monete di cinque valori diversi. Allo stesso tempo, però, era perfettamente in grado di riconoscere qualsiasi figura geometrica, anche un icosaedro come disse al medico. Era, quindi, in grado di vedere caratteristiche, proprietà, singoli particolari ma non l’intera immagine nella sua completezza.

Il mondo visivo del Dottor P. è un insieme di schemi, un modo astratto e inanimato nel quale non c’è posto per la realtà dei sensi, dell’immaginazione e delle emozioni. Gli oggetti tornavano per lui ad essere tali solo se esaminati dagli altri sensi (egli aveva riconosciuto una rosa dal suo profumo) ma, per la sua vista, l’unico tipo di conoscenza ammessa era quella formale: quella personale, forse possiamo dire quella più umana, non aveva posto. La perdita di conoscenza personale spiega la sua incapacità di riconoscere i volti in quanto essi non corrispondono più a dei ‘’tu’’ ma a dei ‘’esso’’, un insieme di tratti che non costituiscono nulla. Ma cosa lega il Dottor P. con la sua agnosia visiva a Kant, il famoso filosofo di Königsberg autore della Critica della facoltà di giudizio? Lo stesso Sacks risponde a questa domanda. Cosa aveva perduto realmente l’uomo che scambiò sua moglie per un cappello? Egli aveva perso la capacità di ‘’formulare un giudizio cognitivo, pur essendo in grado di produrre ipotesi cognitive’’ [7].

Sacks definisce il giudizio come ‘’intuitivo, personale, comprensivo e concreto’’ [8] e quello che Goldstein definisce ‘’atteggiamento astratto’’ [9], l’unico di cui il Dottor P. fosse visivamente capace, gli impedisce proprio il giudizio, la capacità di mettere le cose in relazione con se stesso e con gli altri, di definire un oggetto senza analizzarlo scindendolo nelle sue caratteristiche, la capacità di sintesi. Si può capire la grave perdita del paziente di Sacks solo se si tiene presente che tutti i processi mentali non sono solo meccanici e astratti, non prevedono solo ‘’la classificazione e l’ordinamento in categorie’’ [10] ma anche una costante ‘’attività di giudizio e sentimento’’ [11] ed è proprio quest’ultima che ci distingue da un qualunque elaboratore, da una macchina. Per essere umani abbiamo bisogno del concreto e del reale più di quanto riusciamo a rendercene conto e proprio ciò che crediamo ci renda tali, ovvero l’astratto, il calcolo e così via, senza giudizio ci rende simili ad automi. Per queste ragioni, Sacks evidenzia il ruolo fondamentale della facoltà di giudizio ma, prima di lui, già Kant aveva intuito quanto fosse necessaria e infatti lo stesso Sacks lo cita scrivendo che ‘’vuoi in senso filosofico (kantiano) vuoi in senso empirico ed evolutivo, il giudizio è la nostra facoltà più importante’’ [12], così da conciliare filosofia e medicina.

Kant, infatti, nel 1790 non scrive la Terza Critica come aggiunta alle due precedenti, relegando il giudizio a facoltà inferiore rispetto all’intelletto o alla ragione. Il giudizio è, per Kant, fondamentale per l’esercizio delle altre due facoltà perché giudicare equivale a pensare e a conoscere in quanto il conoscere è una parte del pensare: ogni volta che si conosce, si giudica. Per questo motivo l’ultima ma non meno importante critica kantiana viene definita anche critica della critica, essa è il ripensamento e insieme il fondamento delle precedenti, in quanto ne permette la coesistenza nell’esperienza fungendo da ponte tra il fenomenico e il noumenico, e segna un’evoluzione nel pensiero kantiano. Ciò che è interessante è che il filosofo tedesco, nel cercare il principio (la regola a priori dell’attività del giudicare) della facoltà di giudizio, non arriva ad individuare il concetto in cui esso consiste ma il sentimento del piacere (diverso della sensazione fisica del piacere) come sua manifestazione. Tale sentimento è peculiare perché è la nostra unica via di accesso ad un principio che, appunto, possiamo solo sentire e non conoscere ‘’intellettualmente’’, in una parola esso è inintellegibile perché appartenente ad una realtà soprasensibile della quale la conoscenza è a noi preclusa. Ed è così che Kant apre la strada a quella dimensione concreta, reale, intuitiva e personale così importante per Sacks, a quel sintetico a priori che grava come una pesante perdita sulla vita interiore del Dottor P. Il sentimento oggetto della critica kantiana è comune, ovvero condiviso intersoggettivamente, e la sua universale comunicabilità (condivisione della sensatezza dell’esperienza) è quello ‘’spazio di senso’’ in cui i significanti significano, in cui le nostre singole esperienze assumono senso, in altre parole ciò che ci permette di vivere in uno stesso mondo, una stessa esperienza in genere, la condizione di possibilità intersoggettiva di qualsiasi conoscenza oggettiva.

Questo significa che ciò che ci permette di esperire come umani è qualcosa che sentiamo come reale e concreto ma che non possiamo conoscere, rendere schema, concetto, astrarre in nessun modo, così tangibile e vivo quanto inafferrabile. Inoltre è da sottolineare che tale principio è a priori rispetto all’esperienza ma è solo nell’esperienza concreta che possiamo ‘’vederlo’’, solo in maniera esemplare (nella singola esperienza) nei giudizi di gusto (sul bello e il brutto), e anche svilupparlo. Infatti Kant evidenzia che la condizione per costruire un mondo comune è data a priori ma tale costruzione è possibile solo a posteriori con il continuo confronto con gli altri. Sembra chiaro, quindi, quanto giudicare e conseguentemente conoscere non possa fare a meno di fare i conti con la realtà, concreta e intuitiva. Inoltre il principio di cui si parla è descritto da Kant, tra gli altri modi, come libero gioco tra due facoltà, proprio quelle coinvolte nella conoscenza, in una proporzione armonica tra di loro: intelletto ed immaginazione ed è proprio quest’ultima ad essere colpita dall’agnosia del paziente di Sacks in tutti gli aspetti personali e concreti della sua vita. Ancora una volta si sottolinea quindi come l’intelletto, senza l’ausilio di una sana immaginazione che fornisca i dati sensibili in un’unica rappresentazione, non sia sufficiente per quanto fondamentale per il giudizio e quindi anche per la conoscenza sia a livello di condizione (principio della facoltà di giudizio) sia a quello dei giudizi di fatto. Infatti la conoscenza si ottiene quando l’intelletto, tramite i propri concetti, riesce a determinare la rappresentazione fornita dall’immaginazione, che ha quindi un ruolo chiave in tale processo. Ma come ha potuto il Dottor P. superare la sua mancanza di giudizio se esso è così importante? Egli, come si è detto, era un abile musicista nonostante non fosse più in grado di leggere la musica ed era proprio quest’ultima la sua guida quotidiana: egli mangiava, si vestiva, insomma faceva tutto cantando. La musica aveva preso il posto dell’immagine o, meglio, aveva trasformato tutto ciò che prima era immagine in melodia. Quest’ultima, adesso, era il suo strano ma essenziale modo di giudicare. Aveva trasformato tutta la sua vita in musica, in ciò che riusciva ancora a sentire fuori dagli schemi. Il suono, come musica ma anche come voce, come canzoni canticchiate nelle attività quotidiane, era la sua nuova realtà e insieme il ritrovamento della sua umanità o di quell’elemento personale che potesse restituirgli la propria identità di Dottor P.

 

Note:

[1] cit. Oliver Sacks, L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello,1985, Adelphi 10° edizione (23 maggio 2001), p.24 

[2] ivi, p. 24

[3] ivi, p. 27

[4] ivi, p.34

[5] ivi, p. 30

[6] ivi, p.30

[7] ivi, p.35

[8] ivi, p.35

[9] ivi, p.36

[10] ivi, p.37

[11] ivi, p.37

[12] ivi, p.37

01/10/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Catia Crescente

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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