Una straordinaria vittoria, ma in Cile la lotta continua

Il popolo cileno ha conseguito una vittoria straordinaria, ma non sarà facile cancellare l’eredità della feroce dittatura militare.


Una straordinaria vittoria, ma in Cile la lotta continua

Il 25 ottobre passato il 78% della popolazione cilena, soprattutto i giovani, ha affermato con forza la volontà di darsi una nuova Costituzione che rompa ogni vincolo con la terribile dittatura istaurata nel 1973 da Augusto Pinochet con l’appoggio della Cia. La vittoria nel plebiscito sancisce le rivendicazioni antiliberiste del popolo cileno che il 18 ottobre del 2019 era sceso in piazza al grido "No son 30 pesos, son 30 años". Parole con le quali intendeva dire che non si opponeva solo all’aumento del costo del biglietto della metropolitana, ma che era ora di finirla con i 30 anni di politiche antidemocratiche e neoliberiste portate avanti da un gruppo di capitalisti corrotti.

Prima che si conoscessero i risultati centinaia di migliaia di cileni hanno cominciato a scendere in strada non solo per festeggiare la vittoria presentita, ma anche gridare le loro parole d’ordine: salute e educazione gratuite, salari decenti, basta con l’amministrazione privata dei fondi pensionistici. Una manifestazione impressionante a Piazza Dignità, le cui dimensioni rimandano la nostra memoria a quegli eventi che il Pci è stato capace di organizzare ormai tanto tempo fa nel nostro paese. 

Il clima caratterizzante i giorni precedenti al voto faceva presagire che la maggioranza della popolazione volesse farla finita con la triste eredità della dittatura e con il governo di Sebastian Piñera, che si è distinto per le violente repressioni delle proteste di questo ultimo anno.

In questa nuova situazione non del tutto inattesa la classe dirigente politica ed economica, con l’appoggio dei media, si sta organizzando per difendere i fondamenti del Cile di Pinochet: il sacrosanto diritto alla proprietà privata, l’espropriazione ai danni del popolo cileno delle risorse fondamentali del paese, come il rame, e a vantaggio dei monopoli stranieri e nazionali, i limitati investimenti sociali.

Il plebiscito poneva due quesiti: il primo “approvo o rifiuto”, il secondo “Convenzione costituzionale o Convenzione mista”. In entrambi i casi il popolo cileno ha scelto a stragrande maggioranza la prima opzione, cioè ha dichiarato di volere una nuova Convenzione costituzionale, che si distingue dalla mista per esser eletta a suffragio universale e non al 50% dal Congresso, ossia dagli esponenti dei partiti al potere. Purtroppo, tuttavia, come cercherò di spiegare, la Convenzione costituzionale, voluta da un insieme di partiti moderati, non coincide con l’Assemblea libera e sovrana richiesta dalla maggioranza degli oppositori del presidente Piñera. Infatti, la Convenzione costituzionale presenta una serie di limiti, il primo dei quali è rappresentato dal criterio dei 2/3 dei voti per approvare le decisioni prese, criterio che darebbe al settore conservatore la possibilità di opporre un veto alle proposte più innovative.

A questo proposito, poco dopo la clamorosa vittoria, il presidente del Partito comunista cileno Guillermo Teillier ha dichiarato che i progressisti debbono operare per far cadere questo criterio paralizzante e che in questa prospettiva i comunisti si sono già riuniti con gli esponenti del Frente Amplio, una coalizione socialdemocratica, appellandosi anche alla Federazione verde, perché si unisca a questa nuova battaglia

Come osservano importanti giuristi cileni la Convenzione costituzionale, come del resto quella mista, presentano alcune limitazioni assai criticate da coloro che hanno partecipato alle proteste e che sono stati brutalmente repressi. In primo luogo, un limite di tempo (potrà lavorare per un totale di 12 mesi), a cui si aggiunge un limite agli obiettivi da perseguire: deve redigere una nuova Costituzione rispettando il regime democratico, le sentenze giudiziali e i trattati internazionali, e non le è permesso spodestare i poteri degli altri organi dello Stato. Il che significa in soldoni che la nuova Costituzione non potrà mettere in discussione il quadro politico-giuridico-economico del Cile, il cui tasso di democraticità anche confrontato con quello di paesi come l’Italia è alquanto scarso

Altre forze che portano avanti una visione radicale sostengono la necessità di continuare la mobilitazione con lo scopo di dar vita a una vera Assemblea Costituente libera e sovrana, che si collochi al di sopra delle attuali istituzioni e che faccia fuori Piñera. Assemblea, nella quale abbiano spazio i giovani, i popoli originari, i dirigenti sindacali, e che punisca i repressori e ponga fine all’impunità di cui hanno goduto finora gli autori e i sostenitori del colpo di Stato del 1973. 

Queste forze, che si stanno organizzando su base territoriale, guardano con sospetto all’accordo del Pcc con il Frente Amplio e altri gruppi antineoliberali, perché ritengono che esso non garantisca un cambiamento effettivo. Esse hanno lanciato l’appello a un piano di emergenza per far fronte alla grave situazione sociale del paese, il quale consiste, tra l’altro, nella proibizione dei licenziamenti, nell’aumento del salario minimo, nella restituzione della libertà a chi è stato incarcerato durante le manifestazioni di piazza, nello scioglimento del corpo dei Carabineros, reo della violazione dei diritti umani, nella punizione dei responsabili delle politiche repressive, nel riconoscimento dei diritti del popolo mapuche, nell’aumento delle pensioni e nella fine della loro gestione privata, nella nazionalizzazione del sistema sanitario.

Avremo modo di tornare su questi temi e di seguire le lotte del popolo cileno, per ora abbiamo celebrato la sua prima vittoria, mettendo in evidenza cosa potrebbe inceppare il cammino intrapreso e auspicando che questo fermento si estenda ad altri continenti.

30/10/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Alessandra Ciattini

Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. Ha studiato la riflessione sulla religione e ha fatto ricerca sul campo in America Latina. Ha pubblicato vari libri e articoli e fa parte dell’Associazione nazionale docenti universitari sostenitrice del ruolo pubblico e democratico dell’università.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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