Syriza, Podemos quando anche noi "venceremos"?

La vana ricerca dello Tsipras de noantri e la versione vernacolare dei significativi movimenti politici greci e spagnoli; perché in Italia non si ripete il miracolo greco e spagnolo? Banale, i miracoli non esistono. Dietro le affermazioni elettorali vi è la credibilità costruita sul campo nei movimenti sociali di lotte e nella intransigente opposizione alla austerità di centro-destra e di centro-sinistra.


Syriza, Podemos quando anche noi "venceremos"?

La vana ricerca dello Tsipras de noantri e la versione vernacolare dei significativi movimenti politici greci e spagnoli; perché in Italia non si ripete il miracolo greco e spagnolo? Banale, i miracoli non esistono. Dietro le affermazioni elettorali vi è la credibilità costruita sul campo nei movimenti sociali di lotte e nella intransigente opposizione alla austerità di centro-destra e di centro-sinistra.

di Renato Caputo

Il famoso slogan lanciato da Iglesias durante la campagna elettorale greca, “Syriza, Podemos venceremos”, ha fatto immediatamente breccia nella pallida sinistra italiana. Da troppi anni, infatti, la sinistra in Italia è passata da una sconfitta a un’altra, senza peraltro mai riuscire a rielaborarle realmente, finendo piuttosto per interiorizzarle (1). Ciò ha favorito le tendenze settarie, tipiche delle fasi storiche di debolezza e minoritarismo, fino al paradosso di tentare la scissione dell’atomo. La dinamica che ha finito con l’imporsi, di fronte all’affondare della comune impresa, è stato il si salvi chi può, nel modo più disordinato, in generale, e settario, in particolare, in quanto ognuno ha mirato unicamente a porre in salvo se stesso e i suoi più stretti affini. Sono sorte, così, tutta una serie di parrocchiette autistiche e rissose che ricordano da vicino la scena di Miseria e terrore del terzo Reich di Bertolt Brecht. In essa assistiamo ad un durissimo scontro fra rappresentanti dei diversi partiti di sinistra, in cui ognuno cerca di scaricare le colpe della comune disfatta sugli altri. La discussione serrata non precipita in rissa per l’intervento di una guardia nazista che intima di continuare a lavorare in silenzio. Si scopre allora che gli esponenti della sinistra, intenti ad accusarsi a vicenda, erano ormai ai lavori forzati in un lager.

Tale assoluta incapacità di distinguere fra la contraddizione principale e le contraddizioni secondarie ha anche segnato, in questi anni, l’assoluta incapacità di incidere da parte del sindacato. Quest’ultimo – come sa perfino quell’ignorante che i poteri forti hanno delegato a fare il Presidente del Consiglio – è nel concetto unico, dal momento che i lavoratori, avendo la borghesia (che monopolizza i mezzi di produzione, di sussistenza e l’uso legittimo della violenza) il coltello dalla parte del manico, possono opporsi solo lottando uniti. Al contrario, i lavoratori non solo non riescono a unirsi a livello mondiale, seguendo la nota indicazione con cui Marx ed Engels concludevano il Manifesto, ma sono divenuti permeabili al razzismo, tanto che i più avanzati hanno come massimo orizzonte l’Europa, ossia il continente da cui sono sorti colonialismo, imperialismo e nazi-fascismo. Al punto che in Italia, ormai, ogni gruppuscolo che ha come massimo orizzonte quello di rafforzare il proprio controllo sul proprio territorio, nemmeno si trattasse di una gang, ambisce a dotarsi del proprio sindacato.

Così, mentre fino a qualche decennio fa era la Cia a sponsorizzare la spaccatura del sindacato unitario, con le scissioni dalla Cgil di Cisl e Uil, ora il partito dell’ordine non ha più bisogno di tramare e di finanziare scissioni, visto che sono proprio i lavoratori “più avanzati” a produrle. In tal modo, ognuno mira a rafforzare la propria parrocchietta, facendo concorrenza alle altre, e nessuno è più in grado di incidere, proprio come gli esponenti della sinistra tedesca nei lager. Fra l’altro, la tendenza a separare i lavoratori “più avanzati”, ossia quelli dotati di un barlume di coscienza di classe – anche se generalmente corporativa – dai lavoratori più arretrati è il regalo più gradito che si possa fare al proprio avversario, in primo luogo il comitato di affari delle classi dominanti che governa il Paese e, in secondo luogo, le burocrazie sindacali – afferenti allo stesso partito della nazione in costruzione – che guidano i lavoratori verso il neocorporativismo (2).

Dinanzi alla situazione catastrofica, dal punto di vista teorico e pratico, in cui versa negli ultimi decenni la sinistra italiana, abituata ormai da anni a fare semplice testimonianza (3), quando non fa il lavoro sporco per la classe dominante come sinistra di governo, lo slogan e la prassi di Syriza e Podemos non possono che esercitare un grande fascino e spirito di emulazione. Purtroppo si è finiti per richiamarsi alla lettera di queste significative esperienze estere piuttosto che alla sostanza, per cui non si sono dati vita a grandi movimenti unitari anticapitalisti, a cui dare poi rappresentanza politica in chiara opposizione con le sedicenti social-democrazie (4). Al contrario, si è iniziato il folle progetto di ricomporre l’infranta unità fra i vecchi gruppi dirigenti delle molteplici parrocchiette, composti da generali che hanno perso qualsiasi seguito, avendo condotto i loro eserciti da una rovinosa sconfitta all’altra, mirando unicamente a consolidare i vantaggi derivanti dalla loro posizione di comando.

Siamo così giunti al paradosso che invece di tradurre e riadattare nel necessariamente differente contesto italiano le significative esperienze dei compagni greci e spagnoli se ne è riproposta una copia talmente letterale da assumere la denominazione l’Altra Europa per Tsipras. In tal caso lo spirito dell’operazione non poteva che essere fallimentare visto che, come aveva chiarito già Marx, la storia si ripete, ma nella forma della farsa. I risultati da prefissi telefonici alle regionali sono lì a dimostrare che, purtroppo, l’Altra Europa non è altro che la caricatura di Syriza e Podemos (5). Già il nome di tale formazione è foriero di sconfitta. In primo luogo, poiché i lavoratori italiani non hanno alcuna aspirazione a ritrovarsi nella condizione dei greci, anzi, fanno di tutto per esorcizzare tale scenario. In secondo luogo, la totale abiura del proprio passato, decidendo di non definirsi neppure di sinistra, non poteva che allontanare ulteriormente la classe sociale che si dovrebbe avere come riferimento (6). In terzo luogo, il richiamo alle radici europee non può che risultare quanto meno escludente nei confronti degli extra-comunitari e dei lavoratori degli altri continenti con cui sarebbe, al contrario, indispensabile cercare di unirsi (7), se all’attuale precipitare nella barbarie si preferisce il socialismo. In quarto e, per il momento, ultimo luogo il richiamo nel nome a un leader è l’esatto contrario dell’obiettivo da raggiungere, ossia superare il principio di delega al messia di turno e costruire finalmente l’intellettuale collettivo (8).

Ancora più grave è stata la miopia che ha fatto credere di poter furbescamente bypassare il lento e faticoso processo di costruzione dei rilevanti successi elettorali di Syriza e Podemos, attraverso l’internità ai movimenti sociali che hanno combattuto le politiche liberiste tanto del centro-destra quanto del centro-sinistra. È evidente che chi non si è speso nel costruire movimenti antiliberisti e anticapitalisti, ma al contrario ha preteso di governare la crisi (9) attraverso alleanze in funzione subordinata con le forze social-liberiste, al momento del voto non può che raccogliere poco. Le elezioni, infatti, sono soltanto il termometro dei rapporti di forza fra le classi sociali in lotta fra loro che dipendono essenzialmente dai livelli di coscienza di classe. Chi pensa di poter raccogliere senza aver seminato e senza aver curato passo dopo la passo la crescita di ciò a cui ha dato vita, dimostra di essere al più un povero illuso.

In effetti in Grecia e Spagna i pesanti attacchi ai diritti dei lavoratori e alle masse popolari, portati avanti congiuntamente dal centro-destra e dal centro-sinistra della grande borghesia, hanno incontrato la significativa opposizione di un ampio fronte sociale antiliberista e anticapitalista che, in seguito, ha trovato la propria rappresentanza sul piano elettorale (10). Al contrario, in Italia sono passati degli attacchi devastanti da parte delle classi dominanti, per citare solo i principali e più recenti ricordiamo: il pareggio di bilancio in costituzione, il fiscal compact, la legge Fornero, lo smantellamento dello Statuto dei lavoratori a cominciare dall’articolo 18, il decreto Poletti e il Jobs Act che precarizzano per legge l’occupazione, l’Italicum. Tali pesantissimi attacchi non hanno incontrato nessuna significativa protesta sociale se non di testimonianza (11), in primo luogo perché i lavoratori, privi di coscienza di classe, continuano a delegare il conflitto sociale a dirigenze sindacali e politiche colluse con la componente di centro-sinistra del nemico di classe.

In conclusione, per far tesoro degli errori del passato e iniziare a rielaborare la sconfitta, è necessario innanzitutto comprendere che la logica della delega, alla base del sistema parlamentare, è una logica liberale funzionale agli interessi delle classi dominanti che la hanno elaborata e imposta. Le classi dominanti controllano oltre al potere economico e sociale, grazie al monopolio dei mezzi di produzione e sussistenza, anche il potere politico e militare. Proprio per questo possono delegare e retribuire qualcuno che porti avanti i proprio interessi di classe in primis dal punto di vista politico. I subalterni, al contrario, possono soddisfare i propri bisogni, rendendoli diritti, solo se fanno valere nel conflitto di classe la forza che deriva loro dal numero. Dunque, solo mettendo in campo un esercito notevolmente più grande nel nemico sarà possibile ottenere, sebbene disarmati, un qualche risultato dinanzi ad un esercito dotato delle più sofisticate armi di distruzione di massa.

In secondo luogo, è indispensabile comprendere che la logica del “partito leggero” o, peggio, la logica anti-partito è funzionale altresì alla classe dominante che, controllando il potere politico, economico sociale e culturale, preferirebbe non doverlo contrattare con altri partiti organizzati, in grado di mettere in campo la forza numerica delle masse popolari. Gli stessi successi che si possono ottenere grazie a un consenso di opinione, non radicato attraverso il conflitto di classe che fa maturare la coscienza di sé dei subalterni, sono generalmente successi di Pirro. Avere accesso alla cabina di controllo della macchina statale borghese, in assenza di una significativa mobilitazione di massa, diviene quasi sempre un’occasione sprecata, che ingenera grandi aspettative sempre frustrate nelle classi di riferimento, favorendo così le forze della reazione. Infine, tali successi conquistati in modo estemporaneo mediante il voto di protesta o di opinione sono piuttosto rari, considerato che, generalmente, le opinioni dominanti sono quelle della classe dominante.

Note

  1. Al punto che, nella ultime elezioni europee, si è presentata come una grande vittoria della sinistra la perdita di oltre il 40% del proprio elettorato, solo perché si era stati in grado di eleggere un paio di deputati in un parlamento europeo – utile, per altro, solo a dare veste democratica alle decisioni reali prese dai rappresentanti del capitale finanziario – dominato dalla grande coalizione fra tutti i rappresentanti della grande borghesia che rende del tutto ininfluente la presenza di un manipolo di parlamentari di sinistra.
  2. Per essere giusti bisogna dare atto al governo Renzi non solo di aver correttamente rilanciato dal punto di vista teorico il tema dell’unità sindacale ma di averne anche incoraggiato la pratica, sebbene limitatamente al mondo della scuola dove, cercando di imporre una delle peggiori contro-riforme di sempre, è riuscito nell’impresa impossibile di ricompattare dirigenze sindacali che, fino all’anno scorso, a forza di proclamare scioperi fallimentari a distanza di una settimana, avevano reso completamente inviso ai lavoratori questo essenziale strumento di rivendicazione.
  3. Emblematico a tal proposito il discorso pronunciato da Cossutta, al tempo presidente del Prc, alla fine di una manifestazione nazionale per quanto auto-rappresentativa del partito ancora in grado di riempire piazza del Popolo. Il dirigente, oggi finito nel Pd, enumerò tutta una serie di malefatte compiute ai danni dei lavoratori dai governi degli ultimi anni, aggiungendo alla fine di ognuna di esse “cosa sarebbe successo se non ci fosse stato qualcuno a dire no, ossia il Prc?”. In tal modo, già allora, un Prc notevolmente più forte dell’attuale aveva come unico motivo di vanto il ruolo di testimonianza svolto, dinanzi al massacro sociale compiuto dalla borghesia ai danni della classe sociale che, in seguito, non ha più considerato utile farsi guidare da chi rivendica la propria aspirazione a fare la Cassandra.
  4. Si tratta in realtà di forze social-liberiste, ossia socialdemocratiche a parole e liberiste nei fatti.
  5. Come le diverse sette politiche di sinistra sorte in questi anni, come i sedicenti sindacati di classe non sono stati altro che una caricatura di ciò che aspiravano a divenire. E considerato che, come sapeva già Hegel, ciò che contano davvero sono i fatti – visto che l’unico giudice universale è la Storia e non le buone intenzioni, di cui sono lastricate le vie dell’Inferno – la totale impotenza dei “partiti” e “sindacati” di “sinistra” parlano da soli.
  6. Non è un caso che la maggior parte dei voti, innanzitutto a Roma, sono venuti dai quartieri “bene”, mentre relativamente scarso è stato l’apporto della classe operaia, sempre più abbandonata al suo tragico destino, da chi ha ormai scelto come referente il ceto medio istruito, necessariamente minoritario.
  7. Senza contare che la politica estera reazionaria portata avanti dall’Unione Europea, spesso concordata in sede NATO con gli Stati Uniti, la pone sistematicamente al fianco, sul piano internazionale, delle forze e dei regimi più reazionari, come dimostrano il sostegno dato agli attuali regimi di estrema destra in Ucraina, nei paesi Baltici o in Polonia, a Israele e alle dispotiche monarchie del Golfo in Medio Oriente, a Colombia e Messico in America Latina ecc. Anche da questo punto di vista l’internità della Sinistra Europea all’UE non può che tenerla distante dalle forze più coerentemente antimperialiste e anticolonialiste, forti innanzitutto nei paese extra-europei dove, almeno in taluni casi, l’anticolonialismo e l’antimperialismo sono entrati a far parte del senso comune.
  8. Detto tra parentesi, è quanto meno bizzarro che dei “comunisti” si richiamino a un dirigente che non rappresenta affatto la componente radicale e rivoluzionaria del suo partito ma la componente più disponibile al compromesso con la borghesia.
  9. Dal punto di vista dominante, ossia dal punto di vista delle classi dominanti, governare la crisi significa sfruttarla per farne pagare i costi ai Paesi e ai settori sociali subalterni, diminuendo il salario e accrescendo il controllo sulla forza lavoro, in modo da cercare di rilanciare l’accumulazione capitalista.
  10. Tale rappresentazione in chiave parlamentarista del conflitto sociale può, in certi casi, tornare utile, anche se costituisce sempre un pericolo mortale per le classi subalterne. L’idea che sia possibile comodamente delegare il conflitto sociale a qualcuno che lo gestisca pacificamente all’interno delle strutture di potere dello stato borghese, favorisce il contrattacco delle classi dominanti che riprendono a condurre unilateralmente la propria lotta di classe contro i subalterni. Cercheremo di approfondire questa questione nel contesto greco e spagnolo mutato dai successi elettorali delle forze della sinistra in un prossimo articolo.
  11. Tanta arrendevolezza da parte dei dirigenti delle classi dominate ha colto di sorpresa le stesse classi dominanti che, su misure estreme come la contro-riforma delle pensioni targata Fornero, si aspettavano un minimo di protesta sociale. In assenza della quale sono divenute legge misure così estreme ai danni della forza-lavoro che finiscono per essere controproducenti per gli stessi sfruttatori. Infatti, impiegare con bassi salari, per sempre più ore con ritmi sempre più pesanti, lavoratori fino alla più tarda età non può che farne calare sensibilmente la produttività. Da un limone troppo a lungo e troppo intensamente spremuto, in effetti, si può ricavare ben poco. Tanto vale buttarlo via sostituendolo con uno più giovane che, peraltro, si spreme meglio. Ciò costringe ora la classe dominante a dover individuare il modo di costringere la forza-lavoro troppo spremuta ad accettare di andare in pensione in anticipo, con una retribuzione sotto la soglia di sussistenza. Cosa che, nel giro di pochi anni, creerà una situazione insostenibile all’interno delle famiglie proletarie che molto spesso oggi riescono a riprodursi solo grazie alle rendite degli ex-lavoratori.

20/06/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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