Quanto ci costa l’atteggiamento della Nato e degli Stati Uniti verso la Russia?

L’espansione della Nato ha spinto la Russia all’intervento. Le conseguenze delle sanzioni e della guerra apriranno un’altra fase storica e su chi ricadranno?


Quanto ci costa l’atteggiamento della Nato e degli Stati Uniti verso la Russia?

È naturalmente assai difficile dichiararsi a favore di una guerra, ma nello stesso tempo non è possibile accettare le tesi sostenute dai governi dei paesi che fanno parte della Nato e dell’Unione europea e che, del resto, non sono condivise da tutta la comunità internazionale, se guardiamo alla situazione nella sua reale ampiezza. Per essere precisi, in una sessione straordinaria di emergenza l’Assemblea generale dell’Onu ha approvato pochi giorni fa una risoluzione di condanna dell’invasione russa all’Ucraina con 141 voti a favore su 193. Hanno votato contro Russia, Bielorussia, Corea del Nord, Eritrea e Siria. Si sono astenuti Algeria, Angola, Armenia, Bangladesh, Bolivia, Burundi, Rep. Centroafricana, Cina, Congo, Cuba, El Salvador, India, Iran, Irak, Kazajistán, Kirghisistan, Laos, Madagascar, Mali, Mongolia, Mozambico, Namibia, Nicaragua, Pakistan, Senegal, Sudafrica, Sudan, Sudan del Sur, Sri Lanka, Tajikistan, Tanzania, Vietnam y Zimbabwe. Infine, non hanno partecipato alla votazione altri 12 paesi, tra i quali il Venezuela che ha sin dall’inizio espresso la propria solidarietà alla Russia. Del fronte occidentale solo Israele per ora è stato meno deciso perché i suoi interventi in Siria contro Hezbollah mettono costantemente Tel Aviv in una vicinanza pericolosa con la Russia.

Riassumendo quanto scritto in precedenza, l’obiettivo della Russia è contrastare l’espansione a Est della Nato che metterebbe a rischio la sua stessa esistenza e per questo esige che l’Ucraina resti neutrale e non ospiti missili che possano colpire il territorio russo. Mosca inoltre, non desidera la permanenza a Kiev di un governo di destra, sotto la tutela di formazioni naziste facenti parte del Ministero della Difesa e dell’Interno (il battaglione Azov, le forze del Settore destro etc.), responsabili degli attacchi ai cittadini di lingua russa, della strage di Odessa, degli incessanti bombardamenti contro il Donbass, che hanno provocato circa 14mila morti dall’inizio del conflitto nel 2014. La Russia intende procedere alla denazificazione dell’Ucraina, paese che non ha mai avuto – come molti altri – una compattezza etnica. E non solo, il suo ministro degli esteri, Sergey Lavrov, è arrivato a chiedere il ritiro di tutte le bombe nucleari dall’Europa, cosa che ai cittadini europei non potrebbe che fare piacere.

D'altro canto, il risorgere del fascismo e del nazismo in Europa non sembra suscitare nessuna preoccupazione nell’attuale classe dirigente europea, perché probabilmente nei tempi difficili che si paventano ha intenzione di avvalersene per sottoporre a stringente controllo la popolazione, come sempre ha fatto il capitalismo in tempi di crisi, quando la guerra gli è sembrata l’unica via d’uscita. Eppure abbiamo movimenti di questo tipo in Germania, in Grecia, in Italia e recentemente a Madrid (ottobre 2021) è stato organizzato dal partito franchista Vox il festival anticomunista Viva 21, cui hanno partecipato politici internazionali, con lo scopo di frenare l’egemonia della sinistra, riferendosi alle tendenze socialdemocratiche in America Latina. A questa nuova Internazionale nera ha partecipato anche Giorgia Meloni. 

Persino l’ex ambasciatore Sergio Romano, noto conservatore, ritiene irricevibile la richiesta del presidente Vladimir Zelensky di entrare a far parte della Nato, non dimenticando che lo stesso Zelensky ha anche minacciato di dotare l’Ucraina di armi nucleari. Dinanzi ai continui sabotaggi e bombardamenti verso il Donbass, ignorati dalla “Comunità internazionale”, il rifiuto di riconoscere l’autonomia delle due repubbliche autoproclamate di Donetsk e di Lugansk – come previsto dagli accordi di Minsk – minacciate nella loro sicurezza, la Russia è dovuta intervenire, probabilmente aprendo a una nuova fase della storia, non meno densa di conflitti della precedente.

Come si diceva, la Russia non può tollerare che l’Ucraina sia trasformata in una rampa di lancio missilistica alle sue porte, come è avvenuto con Polonia e Romania, ex paesi del Patto di Varsavia. Inoltre, sarebbero i nazionalisti e nazisti ucraini, profondamente antirussi, in un paese che ha circa il 30% della popolazione parlante russo e strettamente imparentata con ucraini, a controllare questi apparati.

Dal 2014, anno del colpo di Stato con cui è andato al potere un presidente filoccidentale, i nazionalisti ucraini hanno cominciato a bombardare le popolazioni di Lugansk e Donetsk, colpite anche da franchi tiratori e da atti di terrorismo, mentre in Occidente non si dava nessuna rilevanza a questi tragici eventi. Nessuno è sceso in piazza a manifestare, nessun politico occidentale ha ascoltato le legittime rimostranze della Russia ed è intervenuto a sollecitare il dialogo effettivo tra le parti. 

Anzi, la Nato e i governi occidentali, ricercando una certa unità, hanno deciso di alimentare la guerra fornendo di armi l’Ucraina, descritta come un paese democratico che difende la libertà e la democrazia, valori irrinunciabili del Sacro Occidente. Lo stesso occidente responsabile di distruzioni di interi paesi come la Palestina, la Somalia, la Jugoslavia, l’Iraq, la Libia, l’Afghanistan, per ricordare solo le vicende più recenti. Nello stesso tempo i paesi occidentali hanno stabilito una serie di sanzioni finanziarie, politiche, economiche, con la speranza di asfissiare e isolare la Russia, ma che assai probabilmente nel lungo periodo si ritorceranno come un boomerang su di loro e, in particolare, sugli strati più poveri della popolazione già in gravi difficoltà per la pandemia. 

In cambio di questo appoggio nel 2019 la Rada ucraina ha votato uno disegno di legge che rende possibile vendere i terreni agricoli del paese anche alle imprese straniere, la legge è stata votata da Servire il popolo, il partito di Zelensky, con l’opposizione degli altri partiti e con proteste di piazza. Questa misura era stata richiesta dal Fmi “Fondo Miseria Internazionale” (così giustamente ribattezzato) e dalla Banca mondiale per continuare a finanziare i debiti ucraini, a dimostrazione del fatto che l’Ucraina, uscita dall’orbita sovietica, è passata nelle mani di un padrone certo più esigente. Di tali aperture ha goduto anche il figlio di Biden che si è trovato a dirigere senza nessuna competenza la compagnia ucraina del gas a 50mila dollari al mese. 

Ma cosa possiamo dire invece delle attuali relazioni tra Stati Uniti e Ue? Sembrerebbe che gli Usa non intendano mollare la presa sulla malcapitata Unione, anche perché non appare proprio possibile spezzare l’alleanza, recentemente rinsaldata, tra Putin e Xi Jinping, per isolare la Cina e puntare al controllo del neo nominato Indo-Pacifico. 

La sottomissione dell’Europa agli interessi degli Stati Uniti non può che danneggiare quest’ultima, giacché le sanzioni, prive di fondamento giuridico, decise contro la Russia mettono in pericolo le relazioni commerciali assai intense negli ultimi anni tra Ue e Russia, basate sullo scambio di manufatti europei contro materie prime russe. In particolar modo, danneggiano le popolazioni dei paesi implicati, facendo precipitare le loro condizioni di vita già colpite dalla pandemia ancora in corso. Se aveva ragione il vecchio Brzezinski quando diceva che chi controllava l’Eurasia controllava il mondo, gli Stati Uniti sono riusciti in parte in questo disegno, avanzando sempre più verso l’Est e trasformando l’Ucraina, antica culla della civiltà russa, nel più feroce nemico del grande paese euroasiatico. Ma le mosse della Russia, tornata sullo scenario internazionale, l’alleanza con la Cina e il distanziamento dagli Usa di paesi chiave come l’India, la Turchia e il Pakistan fanno pensare a un nuovo mondo deoccidentalizzato e probabilmente multipolare.

Analizziamo brevemente le sanzioni e le loro possibili ripercussioni sulle popolazioni e sugli stessi sanzionatori. È ahimè ormai noto a tutti che i prezzi del petrolio e del gas sono vertiginosamente aumentati negli ultimi tempi, e ciò anche perché i russi hanno per ora sospeso solo l’erogazione di gas attraverso il gasdotto Yalam-Europa, che attraverso Polonia e Bielorussia riforniva la Germania. Anche il clima di incertezza, i contratti a breve termine, il pericolo che il gasdotto ucraino venga interrotto per la guerra hanno contribuito a questi incrementi che si riverberano inevitabilmente su tutte le merci, in particolare sui beni di prima necessità che hanno bisogno di fertilizzanti ricavati dal petrolio. Tali aumenti, che non si vedevano da tredici anni, hanno riguardato, il grano, il mais e i semi oleosi, dal momento che Russia e Ucraina forniscono il 30% del grano al mondo (soprattutto all’Europa e al Medio Oriente), il 20% del mais e quasi l’80% delle esportazioni di olio di girasole. Il conflitto ucraino ha già causato l’interruzione delle esportazioni del Mar Nero da cui partivano navi cariche di grano per l’Asia, l’Africa e L’Unione europea. Per esempio, l’Egitto ha dovuto rinunciare a comprare il grano per il suo prezzo troppo alto e per la scarsità dell’offerta. 

D’altra parte, i contrasti tra Stati uniti e Ue non si sono per nulla appianati, dato che il 7 marzo il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, ha dichiarato che l’Europa non può rinunciare alle importazioni di gas e petrolio dalla “nemica” Russia, perché “necessari alla nostra vita quotidiana”. Scholz ha risposto in maniera secca all’ipotesi fatta dal segretario di stato Usa, Anthony Blinken, di rompere completamente le importazioni dal paese nemico, benché consapevole che ciò non può esser fatto nell’immediato. Tali dichiarazioni hanno fatto schizzare il prezzo del Brent a 139 dollari al barile.

Quanto all’Italia, come al solito il bel paese si mostra il più allineato. Il ministro a capo del Mite, Roberto Cingolani, ha affermato che entro giugno il 50% dell’import di gas dalla Russia sarà sostituito con altre fonti, quali il gas nazionale, quello algerino e azerbaigiano. Un progetto semplicemente irrealizzabile. Secondo Demostenes Floros, esperto di energia, la rinuncia all’uso del gas russo potrebbe determinare la chiusura del 60% delle manifatture tedesche e del 70% di quelle italiane, provocando conseguenze nefaste sia in termini di perdite economiche che di disoccupazione.

Nel frattempo, i russi stanno correndo ai ripari e dopo aver firmato con la Cina un contratto decennale per il gasdotto Soyuz Vostok, ne hanno siglato un altro con il Pakistan che prevede l’importazione sia di grano che di gas naturale da realizzarsi  attraverso il nuovo gasdotto Pakistan Stream.

Non si vuole certo sostenere che la Russia non subirà conseguenze negative dalle sanzioni occidentali, ma probabilmente riuscirà a riprendersi attraendo anche verso di sé tutti quei paesi stanchi dell’aggressività e dei ricatti occidentali; da parte loro, invece, i sostenitori dell’ordine democratico occidentale, nonostante si straccino le vesti, dovranno continuare a versare ogni giorno 700 milioni di euro al diavolo Putin attraverso Gazprom, la cui banca non è stata esclusa dallo Swift, finanziando così la stessa operazione russa in Ucraina. Sarebbe da chiedersi a chi venderanno tutte le merci, prima destinate alla Russia, a un mondo impoverito e affetto da una grave crisi di sovrapproduzione.

11/03/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Alessandra Ciattini

Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. Ha studiato la riflessione sulla religione e ha fatto ricerca sul campo in America Latina. Ha pubblicato vari libri e articoli e fa parte dell’Associazione nazionale docenti universitari sostenitrice del ruolo pubblico e democratico dell’università.

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