SuperTuesday e svolta nelle primarie democratiche
Come molti osservatori e analisti, di tutte le tendenze, avevano previsto, la tornata elettorale delle primarie democratiche che si è svolta contemporaneamente in 17 stati americani lo scorso martedì 10 marzo (il cosiddetto “SuperTuesday”), ha impresso una svolta politica nelle primarie democratiche che ormai rischia di essere decisiva.
L’ex Vicepresidente dell’era Obama, Joe Biden, dopo essere dato quasi per spacciato nei turni iniziali delle primarie, è “miracolosamente resuscitato” e si è assicurato il primato di voti e delegati, con vittorie che in alcuni stati sono state veramente travolgenti. Biden ha marcato una distanza dall’altro candidato rimasto in corsa, Bernie Sanders, che per vari motivi adesso appare molto difficile riuscire a colmare, per quanto sia corretto affermare che i giochi non sono ancora conclusi.
Peraltro, questi risultati sono stati ulteriormente confermati nella successiva tornata di martedì 17 marzo che ha interessato altri 6 stati di cui 5 appannaggio di Joe Biden.
Il fattore determinante di questa svolta non appare difficile da individuare, e cioè il compattamento dell’establishment attorno a Biden, con una strategia tempestiva, improvvisa ed allo stesso molto efficace che, a detta di molti “insiders”, pare sia stata orchestrata principalmente da Barack Obama.
Uno degli elementi chiave di questa strategia è stata sicuramente la mossa, ben poco ortodossa e abbastanza inedita nella storia delle primarie democratiche, almeno per le modalità con cui si è realizzata, del ritiro improvviso e tardivo delle due candidature centriste che fino a quel momento si erano comunque assicurate un discreto consenso elettorale, quelle di Pete Buttigieg e di Amy Klobuchar. Contestualmente si è registrato il flop del super miliardario newyorkese Mike Bloomberg, che avrebbe avuto l’ambizione di diventare lui stesso il paladino centrista del partito, suffragata da un investimento di ben 500 milioni di dollari in appena poche settimane di partecipazione attiva alla campagna delle primarie.
Ma in questo caso l’apparato politico tradizionale del partito, unito al fortissimo apparato mediatico fortemente legato al fronte democratico (le cui punte di lancia sono i due canali televisivi MNBC e CNN, e, per la carta stampata, il New York Times e il Washington Post) che si è sempre più compattato attorno alla figura di Joe Biden e soprattutto ha messo in campo una massiccia e pervasiva azione di forte screditamento e marginalizzazione della figura di Sanders e del suo movimento. A questo schieramento mediatico di orientamento democratico si è poi sommato il resto dei mass media mainstream. Da notare, ad esempio, i toni trionfali con cui il The Wall Street Journal, notoriamente portavoce del grande capitale finanziario, ha salutato la sconfitta di Sanders il giorno successivo al SuperTuesday.
Quest’ultimo ha dovuto prendere atto della sconfitta elettorale, e sicuramente era apparso chiaro, dopo le prime tornate elettorali, che la candidatura poneva una sfida reale e concreta all’apparato del partito e, più in generale a tutto il sistema di potere mediatico-politico-imprenditoriale che lo sostiene e dal quale è sostenuto. Questa percezione era stata sempre più chiara man mano che si intensificavano gli attacchi mediatici e che il tono di questi attacchi saliva di livello. Per fronteggiare tutto questo, il tentativo, quasi disperato negli ultimi giorni, di Sanders e del suo entourage era stato quello di fare appello e generare una mobilitazione portando al voto quelle fasce sociali che tradizionalmente non partecipano alle primarie. A partire dall’elettorato di origine latino-americana e dal proletariato urbano soprattutto dai lavoratori del settore dei servizi. Queste peraltro, nell’esperienza positiva delle elezioni di medio termine al Congresso nel 2018, erano state le componenti decisive che avevano fatto pendere l’elettorato democratico per le giovani candidate democratico-socialiste (es. Alexandria Ocasio-Cortez a New York) determinando la sconfitta di importanti esponenti dell’apparato tradizionale e centrista del partito.
Purtroppo va constatato che questa volta l’appello non ha fatto breccia su quella componente dell’elettorato che potremmo definire “esterna”, poiché non fa parte del nucleo più tradizionale dello stesso (classi medie urbane soprattutto negli stati delle due coste, proletariato urbano di etnia afroamericana e, ormai in progressiva estinzione, di altre etnie europee storicamente democratiche, come gli irlandesi e gli italo-americani). L’elemento forse determinante, secondo diversi analisti, è stato probabilmente l’elettorato afroamericano che pare abbia seguito disciplinatamente le indicazioni dell’apparato schierandosi in favore di Biden. Molti esponenti afroamericani di punta del partito si sono apertamente schierati, e, tra questa élite politica nera, l’unica eccezione di un certo peso a favore di Sanders è stata quella del reverendo Jesse Jackson, che però ormai è quasi al tramonto della sua esperienza politica e non ha più il peso e l’ascendente che avrebbe avuto anche soltanto una decina di anni fa.
Non è questa la sede per un’analisi più approfondita delle ragioni di questo esito elettorale, il cui effetto comunque più immediato è stato quello di produrre una forte delusione e demoralizzazione nelle fila di un movimento con autentiche basi di massa, anche se, come abbiamo sempre evidenziato, le sue radici affondano soltanto su alcune componenti minoritarie della società americana. Sicuramente la componente più agguerrita, il nucleo più duro, è quella generazionale, una fascia di giovani che vanno dai 20 ai 35 anni, i cosiddetti “millenials”. Questa componente ha peraltro visto la concorrenza della candidatura della Elizabeth Warren che non è mai decollata ma che sicuramente ha contribuito a dividere ulteriormente la nuova e giovane sinistra democratica, portando avanti apparentemente un programma politico simile a quello di Sanders, ma con dei distinguo che in realtà sono fondamentali e che collocano la Warren nel “recinto” del politically correct definito dall’apparato del partito. Nonostante i suoi feroci attacchi mediatici sia a Biden che a Bloomberg, la Warren ha sempre nei fatti manifestato un’ostilità di fondo verso Sanders e verso il suo movimento, ha di fatto agito per dividerlo e per creare un conflitto tra i suoi sostenitori e quelli di Sanders ed infine, dopo aver dovuto prendere atto dei risultati e decidere, con qualche giorno di ritardo, il suo ritiro dalla contesa elettorale, ha tenuto a mantenere questa ostilità evitando un possibile sostegno a Sanders per togliergli il consenso del suo elettorato. In tal senso la traiettoria politica della Warren appare sempre più chiaramente, agli osservatori più onesti intellettualmente, come perfettamente coerente con la strategia Obama. Non ci sarebbe quindi da sorprendersi se fra qualche mese la stessa possa entrare in maniera ufficiale nell’orbita di Biden, in vista dello scontro finale con Trump. E il suo elettorato finirà con il dividersi tra Biden e Sanders, e quindi, di fatto, consolidando la posizione di inferiorità numerica di quest’ultimo.
In definitiva, l’andamento di queste primarie democratiche, che andranno comunque tenute sotto osservazione fino all’ultimo, sembra sancire la seconda sconfitta consecutiva del tentativo di Bernie Sanders e del movimento politico da lui creato già nel 2015, e che si è progressivamente saldato con quello dei Democratici Socialisti d’America, di tentare la “scalata al cielo”, di portare un’istanza dichiaratamente e nettamente socialdemocratica al governo della principale potenza imperialista del pianeta, in quello che rimane l’epicentro del capitalismo globale contemporaneo.
Una novità politica per gli Stati Uniti, che avrebbe sancito una svolta veramente storica, poiché una prospettiva del genere non si era mai realizzata. Non soltanto negli ultimi 30 anni dominati dal pensiero unico neoliberista (che già sarebbe stata assai significativa), ma nell’intera storia degli USA. Non possono essere infatti considerate paragonabili, per le posizioni politiche espresse, né lo schieramento di Franklin Delano Roosevelt che diede poi vita all’epoca del New Deal negli anni ‘30, né tantomeno quello che portò al potere John Fitzgerald Kennedy nei primi anni ‘60. Nessuno dei due schieramenti aveva una piattaforma politica così nettamente socialdemocratica come quella di Sanders. Certo, questi parallelismi storici illuminano fino ad un certo punto.
Quello che quindi adesso, almeno per noi marxisti e comunisti, appare di primario interesse, al di là dell’esito definitivo delle primarie democratiche, comprendere qual è stato e soprattutto quale sarà l’impatto di questo movimento nel futuro della politica americana e, direi in senso più ampio, almeno occidentale (se non mondiale). E soprattutto se l’ingresso e lo “sdoganamento” di fatto del socialismo nel dibattito politico possa aprire dei nuovi spazi anche all’azione politica delle forze della sinistra più apertamente anticapitalista e, in definitiva, alle forze rivoluzionarie della sinistra di ispirazione marxista.
Riferimenti
Effetti politici dei risultati del SuperTuesday, Wall Street esulta per Biden
Democratic voters hand Biden Super Tuesday win; Sanders faces uphill fight
L’establishment ha cominciato ad attaccare duro
Opinion | No, Not Sanders, Not Ever
Riflessioni sulla svolta nelle primarie democratiche
2020 Elections: Not just a horse race
Il socialismo nel dibattito politico
Il miglior risultato della traiettoria politica del movimento creato da Bernie Sanders, e che ormai possiamo considerare come un dato consolidato, è stato quindi l’ingresso e il progressivo sdoganamento del tema del socialismo nel dibattito politico statunitense mainstream, con una sua collocazione importante e non marginale o confinata ad alcune frange del radicalismo storico. Non succedeva da oltre mezzo secolo: il maccartismo prima e l’onda neoliberista del reaganismo degli anni Ottanta poi rinvigorita dal crollo del blocco sovietico con l’affermarsi del pensiero unico dominante e della “fine della storia” e della “fine delle ideologie”, avevo reso certamente il socialismo, senza parlare del comunismo, un argomento certamente tabù negli USA così come in tutti i paesi occidentali.
L’aspetto più interessante di questo vero e proprio sdoganamento del socialismo e del suo radicarsi in un movimento che, a strati concentrici di impegno e di coinvolgimento, ha infine raggiunto una dimensione che può a buon titolo definirsi di massa, sia pur interessando comunque una minoranza della popolazione. Ma si tratta di una minoranza consistente.
Diverse analisi, suffragate da indagini statistiche, riportano infatti l’evidenza del fenomeno.
In un sondaggio di gennaio scorso, il 75% degli elettori democratici ha dichiarato di non avere problemi con l’etichetta “socialista”. Nei sondaggi che hanno preceduto il SuperTuesday in California e Texas, il socialismo è stato definito favorevolmente dal 57% degli elettori, mentre il capitalismo è stato definito favorevolmente solo dal 40% circa dei rispondenti. Queste sono chiari elementi che indicano che un "momento socialista" a cui stiamo rispondendo.
Ci sono evidenze chiare sulla crescente popolarità del socialismo, e persino del comunismo, tra le nuove generazioni delle classi lavoratrici, c’è chi li definisce “i millennials rossi”. Un altro sondaggio condotto dal sito web YouGov nel mese di settembre 2019, ha fatto emergere che circa il 70% dei millennials — popolazione tra i 23 e i 38 anni — voterebbe un candidato “socialista”. Addirittura un terzo dei rispondenti ha dichiarato di vedere favorevolmente il comunismo rispetto al capitalismo. Soltanto un 57% di questi millennials ha dichiarato di preferire la Dichiarazione d’Indipendenza Americana al Manifesto del Partito Comunista. Tra le persone di oltre 74 anni quella percentuale raggiunge invece il 94%. Infine un 35% di questi millennials si è dichiarato favorevole al Marxismo, trovandosi d’accordo sull’opinione che il mondo sarebbe migliore se si abolisse la proprietà privata.
Ciò che però è stato giustamente osservato in altre analisi è che da un lato questa crescente simpatia verso il socialismo è probabilmente facilitata dalla percezione di obiettivi concreti e reali che il movimento dei democratici e socialisti hanno saputo portare al centro del dibattito politico, quale ad esempio la lotta, molto sentita dalle classi lavoratrici, per un sistema sanitario universale e pubblico e la feroce critica all’attuale sistema dominato dalle ragioni del profitto incarnate dalle grandi multinazionali farmaceutiche, dai colossi ospedalieri ed assicurativi.
Dall’altro lato, tuttavia, si evidenzia una superficialità e confusione di fondo nel comprendere cosa il socialismo può effettivamente significare in termini di visione alternativa della società. In questo senso naturalmente un grande freno alla crescita di questa consapevolezza è rappresentato dal sistema mediatico che non manca occasione per rafforzare certi stereotipi comuni sul socialismo, identificato semplicisticamente come eccessivo ruolo del governo sulla vita dei cittadini, quando non vengono addirittura evocati i soliti spettri del comunismo, ben collaudati dall’epoca post-guerra fredda.
Riferimenti
Sondaggi di opinione mostrano il crescente consenso verso il socialismo
https://www.workers.org/2019/11/44365/
Le posizioni di Bernie Sanders hanno alimentato il dibattito sul socialismo
https://jacobinmag.com/2019/10/bernie-wants-you-to-own-more-of-the-means-of-production
Analisi dell’impatto elettorale sull’etichetta di “socialista” attribuita a Sanders
https://www.vox.com/2020/1/31/21113780/bernie-sanders-socialism-electability-primaries
Atteggiamento dei comunisti e delle sinistre marxiste
Alla luce di questi sviluppi inequivocabili e chiari che emergono dal dibattito e dal profondo della società americana, la domanda che ci si pone adesso è: può una mobilitazione di base e di massa su posizioni oggettivamente socialdemocratiche e non rivoluzionarie, avere un impatto positivo o negativo rispetto alla prospettiva di successiva emergenza di una fase apertamente rivoluzionaria?
Altra domanda: quale atteggiamento devono avere i comunisti e le sinistre rivoluzionarie nei confronti del movimento che oggi si aggrega intorno alla candidatura di Sanders?
Abbiamo cercato di passare in rassegna le posizioni recentemente assunte da alcune tra le più rappresentative forze/partiti politici della sinistra di orientamento marxista.
Partiamo dal Workers World Party - WWP che ha deciso di tenere un approccio indipendente [1] nei confronti del movimento guidato da Sanders, ma allo stesso tempo molto attento e consapevole. Nelle analisi pubblicate e nella definizione della linea da adottare rispetto alla campagna delle primarie democratiche, il WWP sembra, in alcuni passaggi, rimanere eccessivamente imprigionato in schemi dottrinari astratti nel tracciare un giudizio politico su Bernie Sanders, giudizio che peraltro insiste troppo sulla persona e non sul movimento che si è generato attorno a lui e, ci potremmo anche azzardare ad affermare, andando oltre la sua personale traiettoria politica. Malgrado questi eccessi evitabilissimi, l’analisi di WWP ha anche il pregio di individuare alcuni importanti difetti e contraddizioni nell’impostazione della campagna di Sanders, tra cui la mancanza di una prospettiva più internazionalista e il non comprendere fino in fondo l’importanza del fattore razziale come elemento fondante della questione di classe nella società statunitense. Soprattutto per quanto riguarda la componente afroamericana. Questo peraltro è un tratto che in molti stanno rimproverando a Sanders in questi ultimi giorni. L’aspetto che però appare più lungimirante e meno impregnato di settarismo e dogmatismo, nell’analisi del WWP, è la fondamentale conclusione che nel movimento bisogna esserci [2], bisogna parteciparvi in modo attivo, perché, nonostante le sue contraddizioni, la sua immaturità in termini rivoluzionari, la sua impostazione di fondo prevalentemente riformista e socialdemocratica, c’è la consapevolezza che questo movimento rappresenta un elemento di importante dinamismo nella società americana ed è su quello che i marxisti e rivoluzionari devono lavorare, sporcandosi le mani e turandosi il naso, per un lavoro di partecipazione politica proattiva che offra l’opportunità di diffondere poi una visione diversa ed una risposta diversa ai problemi generati dal sistema capitalista.
Diversamente dal WWP, che comunque opta per una partecipazione di base al movimento e non certo per un’alleanza politica vera e propria, il Communist Party of the USA (CPUSA) ha deciso e chiarito in diverse occasioni, di seguire quello che è ormai il tradizionale approccio nei confronti della politica mainstream, delle elezioni e delle campagne presidenziali [3].
Partendo dalla constatazione realista e pragmatica che per le classi lavoratrici la cosa più importante è di evitare il pericolo del conservatorismo repubblicano e iperliberista, paura che nell’era Trump ha raggiunto il massimo picco. Da questo approccio classico di realpolitik, basato su una chiara analisi dei rapporti di forza, ne è derivata una posizione di assoluta equidistanza rispetto alle primarie democratiche ed un attento distacco nei confronti di Sanders e del movimento dei democratici socialisti. Questa chiara linea tattica, che pone come obiettivo prioritario quello di scongiurare un secondo mandato Trump, e che si appiattisce interamente sulla linea centrista e maggioritaria del Partito Democratica, si tramuta invece in una grande attenzione agli sviluppi di lungo periodo che il movimento e il “momento” socialista possono produrre.
Ma in questo caso l’attenzione è verso le dinamiche sociali ed economiche più profonde che attraversano la società americana e l’azione politica è di prospettiva, ma non immediatamente attiva. Insomma, il CPUSA ritiene che in questa fase è fondamentale scongiurare il pericolo di un’ulteriore svolta fascista e autoritaria nella politica e nella società americana che la rielezione di Trump potrebbe generare. Con questa linea politica però passa abbastanza in secondo piano l’analisi critica dell’establishment del partito democratico e dei suoi legami organici con settori del grande capitale, come il sostegno di Bloomberg alla campagna di Biden dimostra in maniera talmente chiara ed evidente, più di ogni altra considerazione.
Un’altra forza politica della sinistra di matrice marxista, i Socialist Alternative, ha invece optato per una strategia diametralmente opposta a quella del CPUSA, schierandosi apertamente e convintamente a sostegno della campagna di Bernie Sanders e per una partecipazione diretta al suo movimento politico così come cercando qualche forma, non meglio chiarita, di interazione ed alleanza politica con i Democratici Socialisti d’America (DSA). L’analisi della fase comunque rimane sempre fondata su presupposti marxisti [4], ma questa linea di partecipazione politica attiva appare orientata, diversamente a quella del WWP, verso una vera e propria collaborazione organica, sia pur con l’obiettivo di riuscire ad imporre, in un movimento dalla base molto più ampia, una possibile egemonia futura. Riteniamo interessante questo tentativo di uscire definitivamente da un identitarismo settario e di pura testimonianza, in un momento in cui si stanno verificando condizioni favorevoli in certi strati della popolazione, e delle classi lavoratrici, per lo sviluppo di una vera coscienza di classe e di una visione socialista e marxista della società. La sua reale efficacia è però tutta da dimostrare.
Infine, ci sembra necessario citare anche l’approccio di opportunismo dinamico e ben organizzato rappresentato dalla rivista The Jacobin, che qualche mese fa ha pubblicato un intervento nel quale delinea quelli che dovrebbero essere gli obiettivi di un governo federale guidato da Bernie Sanders, qualora dovesse vincere le elezioni presidenziali [5]. La rivista si è apertamente schierata a sostegno della campagna di Sanders, ed è evidente il tentativo, prima di tutto di strategia editoriale più che autenticamente politica, di diventare un punto di riferimento per settori delle nuove generazioni maggiormente consapevoli e formati politicamente, magari con una base di conoscenza del marxismo, e che allo stesso tempo sono alla ricerca di analisi ed interpretazioni da un lato più semplici e quindi “vendibili”, dall’altro più aderenti alla realtà contemporanea, se si tiene conto che gran parte di questa generazione è cresciuta e si è formata in un trentennio, almeno, di assoluto dominio del pensiero unico neoliberista che ha fatto tabula rasa delle stesse esperienze politiche di una generazione precedente.
Conclusioni
L’andamento di questa seconda campagna presidenziale, qualunque ne sarà l’esito, ha avuto un ruolo nel consolidare una certa radicalizzazione del conflitto sociale e politico già in corso da qualche anno negli USA, tanto più se l’attuale fase di crescita e apparente prosperità economica, che va avanti da diversi anni, andrà incontro, come pare ormai inevitabile e fisiologicamente necessario, ad una nuova fase di recessione che la recente emergenza del Coronavirus sembrerebbe rappresentare il pretesto ideale per scatenarla.
È noto che alcuni ambienti del grande capitale finanziario e industriale americano attendono da tempo ormai un’inversione di tendenza dei quasi dieci anni consecutivi di crescita dei mercati finanziari. Si sa che le fasi di ribasso del mercato, e in ultima analisi le recessioni economiche nel sistema capitalistico sono funzionali ai fenomeni di consolidamento, concentrazione e centralizzazione dei grandi capitali a svantaggio dei capitali medi e piccoli.
Questa possibile fase di recessione in arrivo andrà certamente ad inasprire i conflitti sociali che dovrebbero a quel punto trovare un movimento già esistente e reale pronto ad assumerne le istanze con proiezioni più radicali che potrebbero anche trasformare la storica struttura della democrazia bipolare americana. Naturalmente sono sviluppi che vanno verificati, e soprattutto ci sarà da capire quale sarà il catalizzatore immediato di questo movimento, con la prevedibile e definitiva uscita di scena di Bernie Sanders dopo le presidenziali. Saranno i giovani esponenti dei DSA a prendere definitivamente il testimone? E con quali obiettivi politici immediati? Riusciranno a mantenere attiva la mobilitazione, soprattutto se Biden dovesse prevalere su Trump? Si approderà infine all’emergere di un terzo partito nella dinamica politica americana? Quest’ultimo uno scenario da sempre dibattuto e che induce però valutazioni molto contrastanti.
Non sappiamo come evolveranno questi sviluppi, ma se si confermeranno solidi e radicati nella società americana, come tutto lascia ritenere, essi potranno allora essere funzionali alla creazione di condizioni pre rivoluzionarie in un secondo periodo. Stiamo ragionando su tempi che sono a metà tra l’attualità e la storia e di cui non abbiamo ancora nessuna certezza, ma chissà che non si possa finalmente avverare storicamente un presupposto originario del pensiero marxiano per cui le rivoluzioni dovrebbero prendere il via dalle aree geografiche dove il capitalismo ha avuto la sua maggiore evoluzione. In ogni caso, in un contesto globalizzato come quello contemporaneo, segnali di questo genere non potranno poi non esercitare effetti quasi automatici nelle altre aree, più o meno arretrate dal punto di vista dello sviluppo capitalistico. Intanto accontentiamoci di vedere gli sviluppi immediati di questo 2020.
Note:
[1] A revolutionary view of the Sanders campaign
[2] Super Tuesday and the Sanders movement
[3] Is the “socialist moment” here to stay?
[4]What's the Difference Between Socialist Alternative and DSA?
[5] A Plan to Win Socialism In America