Perché l’essere anti – Trump non implica l’essere pacifisti

Traduzione dalla rivista americana Marxism-Leninism Today.


Perché l’essere anti – Trump non implica l’essere pacifisti Credits: blackallianceforpeace.com

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La settimana scorsa alla Camera del Senato il senatore Libertario Rand Paul (Repubblicani – Kentucky) ha dichiarato come anticipazione al voto sull’Atto di Autorizzazione alla Difesa Nazionale (NDAA) del 2018: “Parlo oggi per oppormi allo stato di guerra non autorizzato, non dichiarato e incostituzionale… Ciò che abbiamo davanti oggi è una condizione di guerra praticamente totale che si scatena potenzialmente in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo del mondo”. Con queste parole Paul è diventato una delle poche voci di opposizione all’insieme di oscenità meglio note come “politica bellica degli Stati Uniti”. Solamente altri due senatori si sono uniti a lui: Bernie Sanders (Indipendente – Vermont) e Ron Wyden (Democratico – Oregon).

Tuttavia c'è un “però”: a Paul non interessa l’ammontare delle spese militari. Lui punta il dito contro il permanente uso dell’Atto di Autorizzazione all’Uso della Forza Militare del 2001, che fu il presupposto “legale” per la “guerra globale al Terrore”. Vuole che il Congresso rivaluti questo strumento che ha condotto a uno stato di guerra continua all’estero.

“Trump minaccia di distruggere la Corea del Nord, di sovvertire il regime politico in Venezuela e di non rispettare il trattato nucleare con l’Iran”. Dopo che la proposta di emendamento dell’NDAA da parte di Paul è stata respinta, il Senato ha approvato con ottantanove voti favorevoli e nove contrari quello che il New York Times ha giustamente definito “sforzo bipartisan” ovvero l’autorizzazione di spese militari per seicentonovantasei miliardi di dollari – un aumento di almeno settantacinque miliardi rispetto all’ammontare precedente e ben al di sopra dei cinquantaquattro miliardi proposti dal presidente Trump. Il giorno seguente Trump ha parlato alle Nazioni Unite di mettere in atto le proprie precedenti minacce a Corea del Nord, Venezuela e Iran senza contare che l’annullamento del trattato con quest’ultimo paese finirebbe con il portare a un ennesimo conflitto.

Niente, nell’America capitalista, riabilita agli occhi dell’opinione pubblica un presidente impopolare come la guerra. Difatti l’unico momento in cui la stampa statunitense ha compiuto una brusca virata iniziando a criticare l’amministrazione Obama è stato quando l’allora presidente si rifiutò di procedere alla dichiarazione di guerra nei confronti della Siria (il che avrebbe portato a un invio di “forze fisiche” sul campo). L’opinione pubblica riteneva evidentemente inutile e dannoso per l’interesse nazionale permettere a degli “stati vassalli” (i paesi membri della NATO) di operare in quello scenario da una posizione di primo piano. Nuovamente, con l’inizio dell’era Trump, le uniche voci positive da parte dell’opinione pubblica nei confronti di un presidente in generale massimamente osteggiato sono state inerenti alla sua decisione di intervenire nella guerra civile siriana con l’invio delle truppe statunitensi.

Appare sempre più chiaro quindi che lo strumento della guerra sia il più efficace nelle mani dell’oligarchia del paese al fine di garantirsi una permanenza ai vertici del potere.

Con il crescere del declino sulla scena politica mondiale dell’influenza statunitense la speranza di mantenere una posizione internazionale di primo piano risiede nella capacità di far leva sul proprio potenziale militare.

Il “perno sull’Asia” di Obama, un vero e proprio assedio ai paesi dell’Asia Occidentale e dell’Africa Settentrionale, l’espansione dell’alleanza AFRICOM al fine di minare la posizione cinese nel continente nero (la sua “nuova Via della Seta”) e la permanente occupazione del territorio afghano al fine di sfruttare le risorse naturali locali portano tutte alla medesima conclusione: attraverso la guerra le oligarchie statunitensi si aggiudicano le “simpatie” di buona parte dell’opinione pubblica interna (e non solo).

“L’egemonia statunitense nel mondo si basa sulla capacità del governo di far leva sul potenziale militare nazionale”. Tutto ciò rende altresì vulnerabile tale strategia sul fronte interno poiché essa necessita di un consenso da parte dell’opinione pubblica. Per questo indirettamente viene offerta una straordinaria possibilità alle forze pacifiste e antimperialiste di far sentire la loro voce.

Gli altalenanti livelli di supporto popolare nei confronti del Congresso riflettono un serio venir meno della legittimazione al Potere. Ciò deve portare a una critica generale degli atteggiamenti congressuali nei confronti delle spese del Pentagono e della razionalizzazione dell’apparato securitario / militare.

Esiste una possibilità di dare una lettura ideologica di tale agenda politica al fine di definirla per ciò che è: un tentativo di far valere ancora una volta gli interessi dell’oligarchia ai vertici (il cosiddetto “uno per cento). Dovrà essere anche rinnegato qualunque “fervore patriottico” che legittimi le “avventure” statunitensi al di là dei propri confini.

Il corrente lavoro della Coalizione Nazionale Unita Antiguerra volto ad implementare il programma di educazione pubblica sull’Afghanistan, la nascita di un nuovo blocco di opposizione alle basi militari statunitensi all’estero e la campagna per il disinvestimento militare CODEPINK sono solo alcuni degli sforzi compiuti al fine di trarre vantaggio da questo particolare momento storico.

L’Alleanza Nera per la Pace (BAP) è parte di questa serie di sforzi. Come organizzazione che si oppone alla guerra, alla repressione e all’imperialismo essa ritiene che il corrente stato di cose permetta una doppia critica: all’apparato poliziesco repressivo sul fronte interno e all’adozione di politiche di chiaro stampo aggressivo su quello estero.

“I correnti livelli altalenanti di consenso popolare nei confronti del Congresso riflettono una generale crisi di legittimazione”. Tuttavia siamo ben consci delle difficoltà di questo momento. Se da un lato abbiamo avuto la costruzione ad arte dell’idea di “guerra globale al Terrore” è pur vero che con il sempre maggior afflusso di notizie che spiegavano come molte volte gli stessi gruppi o personaggi additati come nemici all’opinione pubblica fossero in realtà sostenuti o tollerati nel loro agire dall’oligarchia per i suoi scopi si è creata una “psicologia della paura” generale che ha reso possibile l’accettare le numerose misure repressive.

Un misto di paura e razzismo e una profonda ignoranza nei confronti del mondo e della politica criminale degli Stati Uniti hanno fatto sì che vi fosse l’accettazione da parte della maggioranza non solo della continua “corsa agli armamenti” ma persino della guerra.

Un esempio: a causa delle notizie che giungono dalla Corea del Nord e del suo essere rappresentata come una minaccia per la sicurezza statunitense e mondiale ora come ora circa il cinquantotto per cento dei cittadini degli Stati Uniti supporterebbe un’azione di bombardamento di quel paese anche se ben pochi o quasi nessuno di loro conosce gli eventi che portarono allo scoppio della Guerra di Corea.

L’opposizione a Trump si è tradotta in un sostegno all’agenda del Partito Democratico – senza che però vi sia stata e vi sia tuttora una posizione contro la guerra.

Difatti nulla è stato detto contro la pratica bellica e l’imperialismo degli Stati Uniti.

Quando l’amministrazione Trump fece quella che a molti apparve come una scelta oscena (lo stanziamento di cinquantaquattro miliardi di dollari aggiuntivi per spese militari) assistemmo inizialmente a una risposta negativa da parte di alcuni Liberaldemocratici.

Il pensiero era che questa azione fosse l’ennesimo esempio di un presidente dall’agenda politica “demoniaca”.

I Democratici ebbero buon gioco nello spendere parole su parole per fare critica.

La situazione è cambiata quando centodiciassette Democratici hanno votato insieme ai Repubblicani non solo approvando la proposta di aumento delle spese militari ma facendola eccedere di diciotto miliardi.

Da quel momento si sono “tranquillizzati” e le voci critiche si sono via via affievolite fino a spegnersi.

L’Alleanza Nera per la Pace crede che lo stato attuale delle cose favorisca il rafforzamento di un’opposizione congiunta alla repressione poliziesca e alla politica estera imperialista degli Stati Uniti”.

Miglior sorte non hanno avuto i dibattiti interni alla Sinistra e più in generale al movimento progressista.

Quando non erano occupate a divergere sull’opposizione alle forze suprematiste bianche (attuata come contrasto ai ciarlieri gruppi neonazisti, molto poco influenti sul piano numerico) tali voci dibattevano sull’uso della violenza da parte degli antifascisti militanti.

Dal momento che l’ipocrisia è un grado di ricongiungersi al liberalismo essi non vedevano come le loro posizioni in merito alle pratiche violente degli antifascisti fossero inconciliabili con quelle viceversa espresse in merito all’invasione di paesi come la Libia prima e la Siria poi.

Per questo gruppo di persone dal momento che la violenza costituisce una pratica del tutto normale e legittima – fin quando non sia portata avanti dagli oppressi, dagli antifascisti o da governi che non figurano sullo scacchiere internazionale come alleati degli Stati Uniti – è necessario opporsi ad essa in questi ultimi casi.

Per questo l’opposizione alla guerra e all’imperialismo non figurano nell’agenda anti – Trump.

I Democratici stanno giocando con la coscienza delle persone proponendosi come coloro i quali sono in grado di bloccare la scellerata politica interna ed estera del neopresidente.

Se ciò fosse vero non si riuscirebbe a capire perché essi stessi abbiano votato a favore dell’aumento delle spese militari.

Entrambi i partiti (Repubblicani e Democratici) sono a favore delle politiche imperialiste poiché difendono l’oligarchia e ad essa interessa soltanto una cosa – mantenere in piedi l’Impero.

Per farlo sono disposti a dare anche l’ultima goccia di sangue.

È qui che avremo una sorpresa per loro.

 

Traduzione a cura di Fabio Martoccia

Ajamu Baraka è membro di Cooperazione Jackson, l’organizzazione che ha fondato a livello nazionale l’Alleanza Nera per la Pace.
Si è presentato come candidato nelle liste del Partito Verde alle elezioni del 2016.
Scrive per il Black Agenda Report (di cui è anche editore) e per Counterpunch.
Altre informazioni su di lui si possono trovare all’indirizzo www.AjamuBaraka.com

07/10/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: blackallianceforpeace.com

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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