Né pace né giustizia nei Balcani

La fase storica del dopo ’89 pone fine alla tendenza alla composizione pacifica delle controversie internazionali (“pace”) ed alla regolazione normativa condivisa dei rapporti tra gli Stati (“diritto internazionale”).


Né pace né giustizia nei Balcani

La fase storica del dopo ’89 pone fine alla tendenza alla composizione pacifica delle controversie internazionali (“pace”) ed alla regolazione normativa condivisa dei rapporti tra gli Stati (“diritto internazionale”). I Balcani sono l’area dell’Europa che più di ogni altra è trattata come “territorio di conquista” dalle grandi potenze. La missione giudiziaria europea in Kosovo, EULEX, è stata già colpita da accuse di corruzione e insabbiamenti mentre garantisce l’impunità ai banditi veterani dell'UCK. Contemporaneamente la “giustizia” del “Tribunale ad hoc” dell’Aia si dimostra quella di una parte in causa contro l'altra: il contrario esatto del super partes. 

La fase storica post-Ottantanove si caratterizza per la inversione di quella tendenza, che si riteneva o si sperava fosse via via consolidata durante la Guerra Fredda, alla composizione pacifica delle controversie internazionali ("pace") ed alla regolazione normativa condivisa dei rapporti tra gli Stati ("diritto internazionale"). In tal senso, i Balcani, area dell'Europa che più di ogni altra è trattata come "territorio di conquista" dalle grandi potenze, sono stati da subito lo spazio di sperimentazione di nuove pratiche eversive. Laggiù, due pilastri del vecchio ordine internazionale sono stati fatti saltare in aria con la potenza perforante delle bombe all'uranio impoverito: il primo è la Pace, alla quale è stata preferita la guerra; il secondo è la Giustizia internazionale, alla quale è stata preferita la rappresentazione di pratiche giudiziarie "ad hoc", estemporanee e fittizie, espressione della protervia dei vincitori contro i vinti.
Il caso della violazione flagrante e reiterata del diritto internazionale nei Balcani merita una disamina accurata, per la quale rimandiamo a un nostro saggio in preparazione (1). Qui vogliamo lanciare un paio di spunti di riflessione e di analisi.

Il caso EULEX 

Il Kosovo è un territorio strappato ad uno Stato sovrano con la violenza di una guerra di aggressione, che è stato trasformato in protettorato a tutti gli effetti, pur con la maschera di sovranità conferita da una illegittima dichiarazione di indipendenza che nemmeno la totalità dei paesi UE ha riconosciuto.
Era scontato che per mettere sotto tutela occidentale, anche dal punto di vista giuridico-amministrativo, una simile creazione neocoloniale, fosse necessario istituire organismi di controllo giuridico illegittimi e profondamente corrotti sin dalla loro creazione. Già nel 2008 i magistrati Luca M. Baiada e Domenico Gallo, avanzando giuste questioni di principio, ponevano un Quesito al CSM ed al CMM sulla legalità della "missione PESD" e sulla opportunità di inviare magistrati italiani (2).
Non ci ha perciò sorpreso punto il recentissimo scandalo scoppiato in sede EULEX, la missione giudiziaria europea in Kosovo: il magistrato inquirente Maria Bamieh, avvocato di nazionalità inglese, ha avviato una indagine sui suoi stessi colleghi, sospettati di corruzione e di avere insabbiato inchieste importanti perché andavano a toccare quel grumo di potere mafioso e terrorista, derivato dalla alleanza tra NATO e UCK, che vige da 15 anni in Kosovo. Tra gli altri, l'avvocato ha puntato l'indice su un magistrato italiano. Però la Bamieh non ha potuto portare fino in fondo la sua azione poiché è stata impedita a tutti i livelli: addirittura, attualmente i sospettati sono rimasti inquirenti e giudici, mentre lei, dopo aver denunciato pubblicamente alcune circostanze, è stata allontanata dall’incarico e da EULEX. La denuncia della Bamieh è allora ulteriormente salita di tono: nella sua incredibile intervista a Russia Today (3), l'avvocato sostanzialmente denuncia anche mobbing sul posto di lavoro.
Le cose in realtà stanno ben peggio di quanto affermato da Bamieh. Altri osservatori e testimoni delle azioni dell'EULEX in Kosovo da anni rivelano casi di mala giustizia, corruzione e mafia in quel contesto, ma vengono regolarmente ignorati. Andrea Lorenzo Capussela ha posto una serie di domande alla Bamieh (4), chiedendole perché lei stessa non abbia dato seguito a denunce da lui presentate in passato.

Ennio Remondino ha fatto notare (5) che questo caso "seppellisce comunque la credibilità residua" dell'EULEX. D'altronde, negli anni scorsi già avevamo fatto notare lo scandalo della impunità garantita ai banditi veterani dell'UCK, assurti a posizioni di potere nel Kosovo colonizzato, anche per colpe EULEX (6) oltreché per le colpe dello scandaloso "Tribunale ad hoc" istituito all'Aia. Per una missione che è costata finora circa 750 milioni di euro di fondi comunitari, non c'è male.

Il "Tribunale ad hoc" dell'Aia

E veniamo dunque proprio al "Tribunale ad hoc" istituito all'Aia sotto gli auspici di Madleine Albright e George Soros. Ha ragione Ugo Giannangeli, che nella sua Postfazione al nuovo libro Uomini e non uomini (*) scrive: «Ho letto il libro di Goran Jelisic e sono rimasto allibito». "Allibito" è la parola giusta. Giustamente nella Postfazione Giannangeli parla del carattere eminentemente politico - e perciò giuridicamente obbrobrioso - del "processo" subito da Jelisic: «Non che di aberrazioni giudiziarie non ne abbia viste, ma poco sapevo del funzionamento del Tribunale dell'Aja».
Le cronache del "Tribunale penale internazionale ad hoc per i crimini commessi sul territorio della ex Jugoslavia" (TPIJ) non possono che lasciare allibito chiunque vi si avvicini per caso e senza parzialità o preconcetti. Non è un caso se sul "Tribunale ad hoc" è uscito un numero assolutamente esiguo di testi analitici. Pochi gli articoli della grande stampa, tutti copia-e-incolla dei dispacci d'agenzia venuti dall'estero, e pochissimi anche i libri. Tra questi ultimi, oltre al recentissimo libro di Jelisic, dobbiamo ricordare solamente: "Imputato Milosevic. Il processo ai vinti e l'etica della guerra", di Massimo Nava (Fazi 2002), e il nostro "In difesa della Jugoslavia. Il j’accuse di Slobodan Milošević di fronte al “Tribunale ad hoc” dell’Aia" (Zambon, 2005). Sarebbe invece importante, a venti anni dalla creazione di tale istituzione para-legale, operare una ricognizione degli studi specifici effettuati a livello accademico, delle Testi di laurea o dottorato dedicate al "Tribunale" o che usano gli Atti del "Tribunale" come fonte di ricostruzione storica dei tragici fatti jugoslavi.
Che qualcosa non funzioni, lo testimoniano anche solo i proscioglimenti "eccellenti" che negli anni hanno riguardato tutti i personaggi di spicco, veri responsabili politico-militari, appartenenti alle parti e ai partiti secessionisti croati, musulmani e albanesi. Ramush Haradinaj e Hasim Thaci a tutt'oggi comandano nel protettorato del Kosovo. Nel novembre 2012 la corte dell’Aja ha scagionato persino i generali croati Ante Gotovina e Mladen Markac, pianificatori della pulizia etnica delle Krajine. Il boia Nasir Oric, comandante delle milizie musulmane che a ripetizione fecero strage di serbi nei dintorni di Srebrenica tra il 1992 e il 1994, è stato completamente assolto (sic!) nel 2008 quando era già libero avendo scontato solo una pena ridicola nel carcere dell'Aia.
La notizia più recente è la liberazione dell'ex presidente della autoproclamata "Repubblica croata di Erzeg-Bosnia" Dario Kordic. Mandante della strage di Ahmici, un villaggio a forte componente musulmana presso Vitez, dove un centinaio di non-croati furono liquidati il 16 aprile del 1993, ed in custodia dal 1997, Kordic ha scontato la pena a Graz, cioè in un paese (l'Austria) che ha in tutti i modi sostenuto il separatismo e nazionalismo croato. Recentemente è potuto rientrare a Zagabria tra i festeggiamenti di rappresentanti politici e della chiesa cattolica.

Per alcune delle assoluzioni di cui sopra un anno fa scoppiò uno scandalo, presto silenziato, attorno alla figura di Theodor Meron, "presidente" del "Tribunale", cittadino statunitense, già consigliere giuridico del governo israeliano e ambasciatore israeliano in Canada e alle Nazioni Unite. Il giudice danese Harhoff accusò Meron di avere "effettuato pressioni sui suoi colleghi" per compiacere l'establishment militare americano e israeliano. (7)
Sulla vera natura del "Tribunale ad hoc" scrivevamo nel 2005 (8): «La "giustizia" del "Tribunale ad hoc" è dunque quella di una parte in causa contro l'altra: il contrario esatto del super partes. Il TPIJ, analogamente al famigerato Tribunale Speciale dell'Italia fascista, è uno strumento politico totalmente sotto controllo dei vincitori, cioè degli aggressori, devastatori ed invasori della Jugoslavia.». Ci confortava nel giudizio la sincera dichiarazione di Jamie Shea, portavoce della NATO durante i bombardamenti sulla Jugoslavia della primavera del 1999: «La NATO è amica del Tribunale, è la NATO che detiene per conto del Tribunale i criminali di guerra sotto accusa (…),

Sono i paesi della NATO che hanno procurato i fondi per istituire il Tribunale, noi siamo tra i più grandi finanziatori.» Più in dettaglio, del "Tribunale ad hoc" analizzavamo i meccanismi giuridici: «Noti giuristi e commentatori hanno spiegato come, nel suo funzionamento, il TPIJ violi tutti i principi del diritto internazionale. In sostanza, esso non rispetta la separazione dei poteri, né la parità fra accusa e difesa, né tantomeno la presunzione di innocenza finché non si giunge ad una condanna: la regola 92 del TPIJ stabilisce che le confessioni siano ritenute credibili, a meno che l'accusato possa provare il contrario, mentre in qualsiasi altra parte del mondo l'accusato è ritenuto innocente fino a quando non sia provata la sua colpevolezza. Il TPIJ formula i propri regolamenti e li modifica su ordine del Presidente o del Procuratore, assegnando ad essi carattere retroattivo: attraverso una procedura totalmente ridicola, il Presidente può apportare variazioni di sua propria iniziativa e ratificarle via fax ad altri giudici (regola 6). Il regolamento stesso non contempla un giudice per le indagini preliminari che investighi sulle accuse.
Il "Tribunale ad hoc" utilizza testimoni anonimi, che si possono dunque sottrarre a verifiche da parte della difesa; secreta le fonti testimoniali, che possono essere anche servizi segreti di paesi coinvolti nei fatti. Esso usa la segretezza anche sui procedimenti aperti (regola 53); ricusa o rifiuta a proprio arbitrio di ascoltare gli avvocati della difesa (regola 46), allo stesso modo dei tribunali dell'Inquisizione; può rifiutare agli avvocati di consultare documentazione probatoria (regola 66); può detenere sospetti per novanta giorni prima di formulare imputazioni, con l'evidente scopo di estorcere confessioni.
Dulcis in fundo, i giudici si arrogano persino il diritto, d'accordo con la "pubblica accusa", di revisionare la trascrizione del dibattimento, censurandola.»

La gran parte di queste pratiche è puntualmente confermata nel suo libro da Goran Jelisic, il quale porta quei casi esemplari che sono le sue esperienze dirette. Esperienze drammatiche, a fronte delle quali chiunque impazzirebbe. Jelisic invece raccoglie il suo dolore, i suoi shock, e riesce a farne un libro, a rivendicare semplicemente la umanità sua e dei suoi compagni di prigione, anche quelli di diverso colore politico-etnico. Di qui il titolo, poiché «esistono solo due nazioni: gli uomini e i non uomini» (p.87). E sulla base di questo spontaneo senso di umanità in carcere si fraternizza spesso (non sempre) anche con il nemico di ieri. Jelisic spiega ulteriori discutibili prassi adottate dal "Tribunale". Racconta casi precisi, di testimoni "imboccati" dai giudici, o del modo in cui vengono imposti gli avvocati difensori e come questi ultimi inducano l'imputato a commettere errori dei quali pagherà poi care le conseguenze. Fa alcuni esempi di materiale probatorio grossolanamente falsificato (addirittura estratti da un film di Arnold Schwarzenegger: p.223). Jelisic racconta come gli inquirenti cercarono in tutti i modi di fagli dire che a Brcko erano stati uccisi seimila musulmani: «Ero sbalordito da tale richiesta. In seguito, ogni volta che volevano spingermi a dire qualcosa, spegnevano la telecamera. Si vedeva che avevano una bella esperienza d'interrogatori nei servizi segreti o come agenti» (p.144; p.170). Jelisic spiega che di fronte a sue "ammissioni" era sempre pronto uno sconto di pena… Alcune sue presunte vittime verranno però invece ritrovate vive e vegete (p.169; p.308).

È particolarmente importante l'informazione che Jelisic fornisce sulla sua vicenda "italiana".
Innanzitutto, dopo la condanna egli è stato arbitrariamente assegnato ad una prigione italiana nonostante garanzie affatto diverse che gli erano state date. In Italia è passato per sei prigioni diverse, e si trova adesso a Massa, dove deve terminare di scontare una condanna a 30 anni (fino al 2028). Sebbene abbia fatto domanda per ottenere tre anni di indulto, concessi a tutti i detenuti dello Stato italiano, questi gli sono stati rifiutati con la motivazione che avrebbe commesso il crimine di genocidio, reato da cui invece è stato assolto; i suoi ricorsi non ottengono nemmeno risposta.
Gli sono stati negati anche i permessi che invece, nelle carceri estere, sono stati spesso concessi ad altri condannati dell'Aia. Dal 2006, anno d'inizio del lavoro di traduzione e riscrittura delle sue memorie, la curatrice del libro non ha mai ottenuto il permesso di incontrarlo.

Per riprendere una riflessione su queste vergogne, poco dibattute e quasi per nulla denunciate anche nei settori della sinistra più coerente e cosciente, la prossima occasione utile si presenterà a Roma, Lunedì 8 dicembre 2014 nell'ambito della Fiera della piccola editoria "Più Libri Più Liberi" (Palazzo dei Congressi dell'EUR, alle ore 15.00 in Sala Corallo). Lì, il libro di Goran Jelisic sarà presentato dal prefattore Aldo Bernardini (emerito di Diritto Internazionale all'Università di Teramo) e dalla curatrice Jean Toschi Marazzani Visconti (scrittrice e saggista). 

Andrea Martocchia, segretario Coord. Naz. per la Jugoslavia onlus

(1) Un saggio su questo tema è in preparazione per la rivista Marx21.
(2) http://www.cnj.it/documentazione/KOSMET/quesito.htm
(3) http://rt.com/shows/sophieco/206019-eu-foreign-crisis-kosovo/
(4) http://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/Scandalo-Eulex-le-rivelazioni-reticenti-156997/
(5) http://www.remocontro.it/2014/11/26/eulex-in-kosovo-pendenti-accuse-sentenze-tassametro/
(6) Si vedano ad es.: La EULEX garantisce l'impunità ad Ejupi, responsabile della strage dell'autobus di linea Nis Express (2009)
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/topics/6359 West refuses to probe organ trafficking – Russian envoy (2011)
http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2011&mm=12&dd=30&nav_id=78057 Crimes de guerre au Kosovo : Eulex acquitte Fatmir Limaj (2012)
http://www.cnj.it/documentazione/kosova.htm#eulex2012 Trafic d’organes au Kosovo : les principaux suspects échappent toujours à Eulex (2013) http://balkans.courriers.info/article23867.html
(7) https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/topics/7710 ; https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/7715
(8) http://www.cnj.it/MILOS/testi.htm#intenzioni

(*) Goran Jelisic: UOMINI E NON UOMINI. La guerra in Bosnia Erzegovina nella testimonianza di un ufficiale jugoslavo A cura di Jean Toschi Marazzani Visconti Prefazione di Aldo Bernardini, docente di Diritto Internazionale, Università di Teramo Postfazione dell’Avv. Ugo Giannangeli Francoforte: Zambon 2013 Formato: 130x210 Pagg. 320 - prezzo 15,00 € - ISBN 978-88-87826-91-3
La scheda del libro: http://www.cnj.it/documentazione/SchedeLibri/scheda-jelisic.pdf  

05/12/2014 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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