L’annullamento della condanna di Lula

In quest’articolo analizziamo le ripercussioni dell’annullamento della condanna dell’ex presidente Lula e i possibili scenari politici che si determinano in relazione a questa decisione.


L’annullamento della condanna di Lula

Mentre il Brasile affonda nella pandemia da coronavirus con migliaia di morti giornalieri (solo il 16 marzo sono morte più di 3000 persone) e decine di migliaia di contagi, senza che si veda la fine di questo pozzo senza fondo, la notizia dell’ultima settimana è stata l’annullamento della condanna contro l’ex presidente Lula, da parte del giudice Fachin.

Lungi dal costituire un reale tentativo di scagionare l’ex presidente dalle ingiuste accuse che gli erano state rivolte e che gli avevano impedito di concorrere alle elezioni del 2018, tale decisione è stata volta a togliere dall’impaccio l’ex ministro Sergio Moro, le cui irregolarità processuali erano tali da impedire anche a una giustizia corrotta come quella brasiliana di dargli seguito. In ogni caso il processo non è stato annullato, semplicemente si è tolta la competenza del giudice Moro, stabilendo che debba esserci un nuovo processo in Brasilia, la capitale del paese. Così si è reso possibile proseguire il processo contro l’ex giudice, attualmente sospeso perché uno dei giudici ha chiesto tempo per ulteriori approfondimenti.

La temporalità di questa decisione di Fachin appare quanto mai sospetta, visto che avviene poche settimane dopo che l’ex generale Villas Boas ha ammesso che nel 2018 aveva dato indicazioni ai suoi sottoposti che nel caso Lula fosse stato liberato, di “tenersi pronti”, ventilando neanche troppo velatamente un golpe militare, influenzando così la decisione dei giudici che stavano giudicando la richiesta di Habeas corpus dell'avvocato dell’ex presidente. L’ipotesi, nient’affatto peregrina, è che tale decisione rientri in un piano del governo brasiliano, per riportare l’attenzione sulla polarizzazione Lula-Bolsonaro, che così bene aveva funzionato nel 2018.

Sono molti gli elementi che possono essere analizzati a partire da questa decisione. In primo luogo era inevitabile che fosse definito il processo contro Moro, sia per le irregolarità emerse in fase di dibattito che tramite le intercettazioni con il procuratore generale Dallagnol, sia perché questa decisione favorisce molti “colletti bianchi” che erano finiti nell’operazione Lava-Jato e che si beneficeranno di questa decisione. Non a caso è stato Gilmar Mendes a spingere in questa direzione, come rappresentante della destra tradizionale nel supremo tribunale federale, di segno opposto a Barroso, che difende il punto di vista dei militari. E poi perché il compromesso attualmente esistente tra l'estrema destra governativa e l’alto comando delle forze armate prevede un rafforzamento della concentrazione dei poteri nelle mani dell’esecutivo.

I voti di Mendes e di altri giudici, favorevoli alle investigazioni contro Moro, rappresentano un tentativo da parte della magistratura di svincolarsi almeno parzialmente dalla tutela delle forze armate, tornando ad avvicinarsi di nuovo ai loro riferimenti politici, il centro-destra liberale. La sospensione delle condanne effettuate a suo tempo da Moro rappresenterebbe infatti il colpo di grazia contro la Lava-Jato, permettendo di riabilitare tutti i politici condannati per corruzione all'epoca. Tale operazione ha permesso di tagliare le gambe, sotto diretta influenza degli Usa, alla destra tradizionale e al Pt, presentato come l'artefice del maggior progetto di corruzione nella storia del Brasile, aprendo la strada nel 2018 alla netta vittoria di Bolsonaro. L’ultima carta che a questo punto resterebbe da giocarsi, nel caso di una totale archiviazione della Lava-Jato, è quella di un vero e proprio golpe militare per impedire la rottura dell’ordine esistente, nel caso molto probabile che la crisi economica favorisca il caos sociale.

La condizione di Lula però non rimette al suo essere un progressista, e molto meno un rivoluzionario, come dimostrato anche dalla sua ultima intervista, in cui riafferma il suo profilo moderato e difende il ruolo delle istituzioni, addebitando gli errori giudiziari che lo hanno riguardato unicamente a errori personali dei procuratori che lo hanno processato; nella stessa intervista ha anche affermato che sarebbe nell'interesse degli imprenditori aumentare i salari, come se essi non fossero in grado di difendere da soli i loro interessi. Ma piuttosto a due ragioni: da un lato perché il suo ritorno sulla scena politica permette di mantenere l’alleanza tra Bolsonaro e le forze armate per evitare che Lula torni al potere, facendo in modo che i generali adottino misure anche drastiche perché ciò non avvenga, in caso contrario infatti si aprirebbero tensioni con le truppe; in secondo luogo l'attuale fase storica, di crisi brutale del capitalismo brasiliano e mondiale non permette misure neppur minime di redistribuzione e conciliazione di classe, misure che avevano caratterizzato i governi petisti nei primi anni 2000.

In ogni caso il suo ritorno sulla scena politica complica di non poco il gioco delle alleanze politiche in vista delle elezioni del 2022, visto che le candidature centriste rischiano di rimanere schiacciate dalla polarizzazione Lula-Bolsonaro. Tutto ciò potrebbe portare infatti a costringere ad alleanze del centro al secondo turno con Bolsonaro contro Lula (la possibilità, seppur remota, di un’alleanza tra Lula e il centro politico non è da escludere), e il probabile aumento dell’astensionismo elettorale, sintomo che neanche l’obbligatorietà del voto riesce a convincere decine di milioni di brasiliani a partecipare al “gioco” della supposta democrazia brasiliana. Sempre ammesso che elezioni si svolgano, cosa tutta da verificare nel caos sanitario ed economico in cui si trova il Brasile, con lo spettro di una terribile recessione nei prossimi mesi, ed un probabile aumento della violenza e delle rivolte sociali.

Nel frattempo non mancano le azioni volte a peggiorare la situazione da parte del governo. Infatti dopo aver ottenuto che in cambio di un rinnovo del reddito d’emergenza si riducessero i fondi per salute e educazione, ha approvato un reddito che è circa un quarto del già misero salario minimo, totalmente insufficiente per poter sopravvivere. Inoltre l’anno scorso sono stati tagliati drasticamente i posti in terapia intensiva da parte del governo, poco prima che la nuova ceppa amazzonica del virus portasse al collasso pressoché tutto il sistema sanitario. Ma d’altra parte le condizioni di vita della maggioranza della popolazione sono così peggiorate che è lecito aspettarsi una ripresa del conflitto sociale, magari tramite la creazione di un fronte di lotta tra le principali forze sindacali, politiche e di movimento, per provare a immaginare un futuro completamente nuovo.

19/03/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Matteo Bifone

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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