La narrazione monolitica sul conflitto tra Ucraina e Russia

Una scheda sintetica per confutare la narrazione a senso unico sulla guerra e riportare il conflitto allo scontro voluto dalla Nato per ampliare la propria area di influenza nell’Est europeo.


La narrazione monolitica sul conflitto tra Ucraina e Russia

Pochi ricorderanno quanto avvenuto nel 1990: mentre in Italia si organizzava il movimento studentesco, altri giovani nell’ex Urss davano vita a manifestazioni di piazza e scioperi con l’occupazione, per settimane, del centro di Kiev. Se gli studenti italiani denunciavano la scuola azienda e le privatizzazioni, in Ucraina i giovani di pari età rivendicavano l’indipendenza dalla Russia, la nazionalizzazione dei beni dell’allora partito comunista e il multipartitismo. Nei paesi a capitalismo avanzato le privatizzazioni erano allora viste con sospetto dai movimenti sociali e studenteschi perché si intravedevano le conseguenze di determinati processi, a Est invece lo sgretolamento dell’Urss dava vita a processi opposti di esaltazione del libero mercato e della società capitalista. Sempre gli studenti ucraini rivendicavano un paese neutrale con una propria banca e una valuta autonoma rigettando la partecipazione del paese a future alleanze militari.

Solo negli anni successivi, sullo sfondo della frantumazione dell’ex Urss e sotto la spinta delle oligarchie, si crearono fratture e divisioni alimentate dall’Occidente desiderosi di attrarre l’Ucraina nella sfera occidentale sotto l’egida della Nato.

Il pacifismo degli studenti portò l’Ucraina a disfarsi delle armi nucleari e a posizionarsi nei primi anni Novanta tra i paesi neutrali. Nel 2013 l’Ucraina rifiutò l’accordo con l’Ue accettando aiuti dalla Russia pari a 15 miliardi di dollari. Le cronache del tempo ci riportano a una narrazione mainstream secondo la quale la Russia avrebbe minacciato l’autonomia e la libertà del popolo ucraino. Ma i fatti erano ben diversi.

La guerra tra Russia e Ucraina era da tempo annunciata, e la stessa Ue ha giocato un ruolo determinante per esempio proponendo, nel 2013, una sorta di accordo associativo da estendere a Moldova e Georgia. L’Ue mirava a costruire un’area di libero scambio alle porte della Russia per attrarre alcune nazioni della ex Urss nell’area dell’euro. Il progetto non trovò solo l’opposizione della Russia, ma anche di ampi strati della classe imprenditoriale ucraina nata dal saccheggio delle proprietà statali (rivendute a prezzi irrisori), consapevoli che uno scambio diretto tra Ucraina e Ue avrebbe determinato la fine del monopolio di un’intera classe proprietaria che viveva sulle speculazioni e sull’incremento dei prezzi delle merci provenienti dall’Ue.

Per queste ragioni, e non altre, l’Ucraina accettò l’aiuto russo che prevedeva anche sconti sull’acquisto del gas e così rinunciò alla offerta dell’Ue [1]. Subito dopo la firma dell’accordo con la Russia tornarono in piazza gli studenti insieme a settori della destra estrema e nazionalista con settimane di proteste che paralizzarono il paese a cui seguì la repressione di piazza ordinata dall’allora presidente Janukovyc.

L’equivoco di fondo, amplificato dai media occidentali, è legato al sostegno mainstream verso qualsiasi manifestazione antirussa; i fautori dell’accordo con l’Ue rivendicavano la fine delle oligarchie (e su questo punto siamo tutti concordi) e l’applicazione dei precetti del libero mercato declinando in chiave nazionalista e patriottica l’esaltazione del capitalismo.

Da quel movimento nasce la svolta a destra della società ucraina e le fratture con le regioni del Donbass che erano peraltro economicamente penalizzate. Rispetto a pochi anni prima, 2004, le proteste erano organizzate e dirette, ed estese anche nelle periferie, a conferma di un disegno politico ben definito.

Quanto accaduto in Ucraina negli ultimi 20 anni ricorda fatti già verificatisi in Croazia con l’esaltazione al rango di eroi nazionali di quanti avevano combattuto per l’indipendenza del paese alleandosi, all’occorrenza, con i regimi fascisti e nazisti.

La presenza dell’estrema destra xenofoba e razzista è un dato acclarato e l’inglobamento del Battaglione Azov nelle fila dell’esercito ucraino è solo uno degli ultimi episodi di avvenimenti e letture guidate dal revisionismo storico e politico.

Tutto ciò, sia ben chiaro, non giustifica l’intervento russo, ma aiuta a comprendere la storia controversa di un paese verso il quale l’interesse Usa e Nato c’è sempre stato.

Alcuni analisti focalizzano l’attenzione sulle ambizioni panslaviste della Russia da cui scaturirebbe l’odierno conflitto, altri invece sono propensi a credere che l’Ucraina e le sue rivoluzioni arancioni siano state lo strumento con cui l’Occidente ha costruito una strategia della tensione alimentata dalle continue richieste di adesione all’Alleanza Atlantica.

Per dare sostanza all’indipendenza dell’Ucraina dall’Est, numerosi intellettuali hanno promosso nel tempo campagne di immagine costruite sulla lingua ucraina e sulle loro tradizioni dentro un contesto di sostanziale apertura all’Occidente e ai suoi valori di mercato, favorendo le privatizzazioni e cancellando le legislazioni favorevoli alla classe lavoratrice.

Non si tratta di desovietizzazione dell’Ucraina ma di ben altro, perché sono state approvate leggi che mirano a mettere fuori legge perfino la lingua russa costringendo la televisione ucraina a rivedere, in chiave nazionalista, il palinsesto dei programmi. E non si dice che negli ultimi dieci anni circa un milione di cittadini ucraini ha fatto ritorno in Russia. Perfino in ambito religioso si è operato per recidere ogni legame con la Russia: il nazionalismo e il rafforzamento dell’identità ucraina ha portato non solo alla nascita della Chiesa ortodossa ucraina, ma anche a spaccature nel mondo della chiesa greco-ortodossa.

Al contempo, le organizzazioni sindacali e politiche di ispirazione socialista e comunista sono state soggette a feroci repressioni come del resto dimostra la strage di Odessa. La lettura revisionista del passato, l’uso pubblico della storia, è stato dirimente per costruire non solo un paese sempre più rivolto a Ovest ma fondamentalmente anticomunista e antirusso e da qui nascono le rivendicazioni delle minoranze russe nel Donbass.

Le narrazioni monolitiche imperversano in questi giorni, ma sono solo funzionali a favorire una lettura di parte a uso e consumo della propaganda antirussa. Le rivendicazioni nazionali per l’unità territoriale e la lingua ucraina sono state alimentate da Ue e Usa per favorire le loro politiche economiche e per avere campo libero nell’accaparrarsi le ingenti risorse energetiche di quest’area geografica.

L’idea di un paese assediato che deve difendere la propria sovranità è stato il collante con il quale hanno gettato le premesse dell’attuale conflitto, basterebbe ricordare la firma, poi ritirata, dell’Ucraina al Membership Action Plam, che era solo l’anticamera dell’ingresso nella Nato (a tal riguardo rinviamo alla lettura del volume di “Limes” CCCP un passato che non passa, 11/2021).

Ma nonostante ciò, gli Usa hanno continuato a premere per offrire il loro aiuto economico e militare all’Ucraina sovvenzionando in vario modo le fazioni economiche e politiche antirusse e imponendo presenza di navi americane nel porto di Sebastopoli.

La nomina a presidente della repubblica ucraina di un ex attore televisivo che ha vinto le elezioni ergendosi a baluardo della lotta alla corruzione e contro il sistema delle oligarchie, promettendo un futuro roseo con liberalizzazioni, digitalizzazioni e uno sviluppo capitalistico di natura ecologica, è un classico espediente populista costruito a tavolino dai poteri occidentali, tanto che Zelinsky, all’inizio del suo mandato, è riuscito a far riprendere l’economia ucraina soltanto con stretti rapporti commerciali con l’Ue e con gli Usa.

E con queste premesse si arriva ai nostri giorni....

 

Note:

[1] Rinviamo a un testo appena uscito: Simone Attilio Bellezza, Il destino dell’Ucraina, Scholé editore, 2022.

11/03/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Federico Giusti

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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