La guerra della Cina contro la povertà – Parte I

L’eliminazione della povertà in Cina è la storia di un grande successo che merita di essere raccontata a tutti per l’importanza che essa riveste per il mondo intero.


La guerra della Cina contro la povertà – Parte I

Nel maggio 2020 Pbs, televisione pubblica statunitense, manda in onda un documentario co-prodotto insieme con la televisione statale cinese Cgtn intitolato China’s War on Poverty (“La Guerra della Cina contro la Povertà”). Pochi giorni dopo “Daily Caller”, sito giornalistico web, protesta accusando il film di essere pro-cinese. Quando l’accusa viene prontamente rilanciata da Fox News, Pbs ritira il film dal circuito delle proprie emittenti. 

Secondo Robert L. Kuhn, che ha prodotto il documentario, la storia dell’eliminazione della povertà in Cina dovrebbe invece essere raccontata a tutti per l’importanza che essa riveste per il mondo intero. 

È indubbiamente la storia di un grande successo della Cina, quindi non ci sorprende il fatto che il sistema politico e mediatico occidentale non gradisca che venga conosciuta e valutata autonomamente in questo nostro mondo “libero”, che viene tenuto accuratamente al riparo da notizie positive sulla grande potenza asiatica.

Il film resta comunque disponibile sul canale YouTube di Cgtn a questo link. Intanto qui proviamo a raccontare come la Cina è riuscita a eliminare la povertà estrema con dieci anni di anticipo sul cronoprogramma dell’agenda dello sviluppo sostenibile dell’Onu.

Nel 2000 tutti gli stati membri dell’Onu si impegnarono a raggiungere per l’anno 2015 otto obiettivi, i cosiddetti “obiettivi del Millennio”, il primo dei quali era ridurre della metà il numero di persone che soffrono per la fame e la povertà, obiettivo poi raggiunto dalla Cina, ma non da altri paesi. Nel 2015 così quegli impegni vennero reiterati con l’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile, un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità che ingloba 17 obiettivi per lo Sviluppo sostenibile da raggiungersi entro il 2030, il primo dei quali è “sconfiggere la povertà”.

Il 25 febbraio 2021, dieci anni prima del termine fissato nell’Agenda 2030, il governo cinese annunciò che la Cina aveva conseguito l’obiettivo di eliminare la povertà estrema. Con una popolazione di quasi un quinto di quella mondiale, la Cina aveva da sola ridotto di circa il 70% del numero di persone in condizioni di povertà assoluta nel mondo. Una pietra miliare nella storia non solo della nazione cinese, ma dell’intera umanità.

Come sono riusciti a portare a termine questa impresa ciclopica e al contempo certosina? “Agite come se foste ricamatrici alle prese con un disegno complicato”, il presidente Xi esortò con queste parole l’amministrazione di un villaggio rurale dello Hunan nel 2013.

Per prima cosa dobbiamo ricordare che la lotta contro la povertà iniziò ben prima della fissazione degli obiettivi del millennio, praticamente non appena venne fondata la Repubblica Popolare Cinese il 1° ottobre 1949. Anzi è bene notare che in realtà già durante la lotta fra il Kuomintang di Chiang Kai-shek e i comunisti, questi ottennero il sostegno del popolo non solo in virtù della loro determinazione nella lotta di liberazione dagli invasori giapponesi – il Giappone aveva invaso la Manciuria nel 1931 – ma anche per le azioni concrete adottate per emancipare le masse contadine.

Alla proclamazione della Repubblica Popolare Cinese, la Cina, che all’inizio del XIX secolo era la maggiore economia del mondo, dopo il “secolo dell’umiliazione”, la sanguinosa guerra civile contro Chiang Kai-shek, e i quattordici anni di lotta contro i giapponesi, si era ormai ridotta a essere uno dei paesi più poveri del mondo.

Durante la prima fase della Repubblica Popolare Cinese, gli anni di Mao per intenderci, l’aspettativa di vita crebbe dai 35-40 anni del 1949 ai 70 anni del 1970; se il tasso di analfabetismo era dell’80% nel 1949, esso si ridusse in meno di tre decenni al 16,4% e al 34,7% rispettivamente nelle città e nelle campagne; le cure mediche e all’infanzia migliorarono insieme con l’emancipazione femminile e fra l’inizio degli anni Cinquanta e la fine degli anni Settanta la produzione industriale crebbe in media al ritmo dell’11,3% l’anno.

Nel 1978 la Cina inaugurò una serie di riforme economiche che spezzarono il suo isolamento dal resto del mondo e fra il 1978 e il 2017 l’economia cinese crebbe di circa 35 volte. Negli anni fra il 1978 e il 2011 il numero di persone in assoluta povertà scese da 770 a 122 milioni. Purtroppo, però, l’imponente sviluppo provocò grandi disuguaglianze sociali ed economiche e gravi devastazioni ambientali.

Nel 2013, durante una visita in Hunan, il Presidente Xi introdusse il concetto del cosiddetto “alleviamento mirato della povertà”, che incominciò a essere implementato nel 2015.

L’alleviamento mirato della povertà (Amp)

La fase di “alleviamento mirato della povertà” (Amp), guidata dal governo e implementata attraverso una massiccia mobilitazione dell’intera società cinese, si può sintetizzare con lo slogan: un reddito, due assicurazioni (cibo e indumenti) e tre garanzie (assistenza sanitaria, una casa dotata di acqua pulita e di elettricità e nove anni di istruzione obbligatoria gratuita). 

Cinque domande fondamentali ne guidarono la realizzazione: 1. chi deve beneficiarne; 2. chi porta avanti il lavoro; 3. con quali mezzi; 4. come si verifica l’efficacia dell’operazione; 5. come aiutare chi è uscito dalla povertà a restarne fuori.

I beneficiari

Per individuare le famiglie in povertà assoluta, oltre al reddito vennero presi in considerazione anche alloggi, istruzione e stato di salute. Gli individui e le famiglie in assoluta povertà vennero identificati inviando quadri del Pcc (solo nel 2014 furono 800.000) nei villaggi rurali, che mobilitarono le strutture amministrative locali, visitarono le famiglie, organizzarono assemblee pubbliche per discutere e integrare i dati raccolti, e utilizzarono infine tecnologie digitali per costruire un database nazionale. In seguito i dati furono verificati e corretti con l’impiego di oltre due milioni di persone.

Gli attori coinvolti

Il Pcc, che conta oltre 95 milioni di membri, ebbe ovviamente un ruolo centrale: nel corso dell’Amp circa dieci milioni di quadri furono inviati nei villaggi poveri, dove formarono piccole squadre che vissero e lavorarono a stretto contatto con le famiglie individuate, i funzionari locali e i volontari per un periodo da uno a tre anni in media. Il lavoro comportava anche quello di coordinamento fra i vari livelli del governo e del partito – si distinguono cinque livelli di governo in Cina: province, contee, comuni, prefetture e villaggi. 

Lo sforzo fu però dell’intera società cinese, che si mobilitò a ogni livello per raggiungere gli obiettivi fissati, seguendo il principio che i ricchi, che in Cina storicamente sono concentrati soprattutto nelle zone litoranee orientali, contribuiranno a migliorare la condizione dei più poveri. Forse così acquista nuova valenza la famosa dichiarazione di Deng Xiaoping, spesso citata a sproposito: “Qualcuno si arricchirà prima degli altri”. 

Fra il 2015 e il 2020 praticamente l’intero Paese si mobilitò per portare a termine quell’impresa gigantesca: le amministrazioni locali – 343 contee orientali – oltre a inviare propri funzionari e tecnici, investirono miliardi di euro per le regioni povere occidentali – molte imprese sia private sia a partecipazione statale investirono e crearono progetti in vari settori; l’esercito aiutò a costruire nuove scuole e ospedali; molte associazioni di volontariato raccolsero cifre ingenti e inviarono personale volontario; il ministero dell’Istruzione inviò personale esperto da oltre 44 università e specializzato in vari campi, quali agricoltura, salute, pianificazione, istruzione. 

(continua)

 

Fonti:

Serve the People: the Eradication of Extreme Poverty in China

Working in China’s Poorest Village, documentari

La Banca Mondiale sulla campagna di eliminazione della povertà

Gli obiettivi del Millennio della FAO

Rapporto FAO del 2020 sulle risorse forestali globali 

Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile

Libro bianco del Consiglio di Stato Cinese

 

26/11/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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