La Corea del Sud ammette i suoi crimini in Vietnam

Come gli statunitensi, anche i sudcoreani si sono macchiati di gravi crimini di guerra in Vietnam. Per la prima volta, un tribunale sudcoreano ha riconosciuto le responsabilità di Seoul nei massacri di civili in Vietnam.


La Corea del Sud ammette i suoi crimini in Vietnam

Sebbene non sia noto al grande pubblico, la Repubblica di Corea, meglio nota come Corea del Sud, ebbe un ruolo al fianco degli Stati Uniti nel corso del conflitto in Vietnam. Fedele alleato di Washington in Asia, Seoul aveva a sua volta ricevuto il sostegno del governo del Vietnam del Sud nel corso della guerra di Corea (1950-1953). I primi soldati sudcoreani vennero inviati in Vietnam nel settembre del 1964, su decisione del generale Park Chung-hee, che aveva assunto la presidenza nel 1961, e vi rimasero fino al marzo del 1973.

Come i loro alleati statunitensi, anche i sudcoreani si sono macchiati di gravi crimini contro la popolazione civile vietnamita. Nel 1972, osservatori provenienti dal Paese nordamericano pubblicarono un rapporto nel quale accusavano i coreani di aver condotto 45 massacri nelle sole province di Quảng Ngãi e Quảng Nam. Secondo una dichiarazione rilasciata dal generale dei marine statunitensi Rathvon M. Tompkins, i sudcoreani erano soliti radere completamente al suolo qualsiasi villaggio vietnamita nel quale si fossero imbattuti. Il generale Robert E. Cushman Jr. aggiunse che gli stessi statunitensi – che pure non erano estranei a pratiche di questo tipo – incontrarono difficoltà nel tenere a bada la furia distruttrice dei sudcoreani. Secondo fonti vietnamite, sarebbero oltre 9.000 i civili uccisi dai sudcoreani nel corso del conflitto, numeri confermati dalla Korea-Vietnam Peace Foundation, una fondazione nata nel 2015 per aumentare la consapevolezza della responsabilità storica della Corea del Sud nella guerra del Vietnam.

Fino agli anni ’90, la Repubblica di Corea ha completamente negato qualsiasi crimine commesso negli oltre otto anni di permanenza dei propri contingenti in Vietnam. A partire dall’ultimo decennio del XX secolo, la storica sudcoreana Ku Su-jeong, specializzata in storia del Vietnam, ha iniziato a pubblicare nel suo Paese documenti che provavano inconfutabilmente le colpe e i crimini commessi dai sudcoreani nel corso del conflitto. In seguito agli studi della professoressa Ku, alcuni veterani di guerra coreani hanno testimoniato ammettendo l’esistenza dei massacri che i vietnamiti avevano denunciato sin dagli anni ’60. Solo di recente, il governo di Seoul ha istituito il Tribunale del popolo sui crimini di guerra delle truppe sudcoreane durante la guerra del Vietnam.

Sebbene siano passati oramai diversi decenni, gli organismi giudiziari sudcoreani hanno recentemente emesso un’importante sentenza che prova anche dal punto di vista giuridico le responsabilità di Seoul. Proprio lo scorso 7 febbraio, il tribunale ha imposto al governo della Repubblica di Corea il pagamento dell’equivalente di quasi 24.000 dollari ad una donna vietnamita la cui famiglia venne sterminata dalle truppe sudcoreane.

La donna in questione si chiama Nguyễn Thị Thanh, ed è una delle poche sopravvissute del massacro dei villaggi di Phong Nhất e Phong Nhị, situati nella provincia centrale di Quảng Nam, nei quali i coreani uccisero più di settanta persone nel 1968. Thanh, allora bambina, racconta che i soldati sudcoreani uccisero tutta la sua famiglia davanti ai suoi occhi, e che anche lei rimase ferita nel corso delle sparatorie, ma riuscì incredibilmente a sopravvivere.

“Avevo solo otto anni quando è successo”, racconta Thanh. “I soldati sudcoreani ci hanno detto che avrebbero lanciato una granata se io e i miei fratelli non fossimo usciti dai cespugli tra i quali ci nascondevamo. Spaventata, mia zia ci ha detto di venire fuori. Ma appena siamo usciti, i soldati hanno aperto il fuoco. Mio fratello maggiore è stato colpito alla schiena, a mio fratello più piccolo hanno sparato dritto in faccia. Una pallottola mi ha attraversato l’anca. Mia sorella maggiore è morta sulla soglia della cucina. Poi ho visto nostra zia. Stava cercando di spingere via i soldati mentre davano fuoco alla sua casa. L’hanno accoltellata a morte. È caduta a terra mentre aveva in braccio il suo bambino. Ferita, sono andata a cercare mia madre. L’ho trovata, stesa su una pila di cadaveri”.

“Una volta ho incontrato un monaco coreano. Quando gli ho raccontato la mia storia, si è inginocchiato ai miei piedi e mi ha chiesto perdono. Ma alcuni veterani sudcoreani continuano a dire che mi sono inventata tutto. Ma come potrei? Quello che ho visto è semplicemente impossibile da dimenticare”. 

Gli avvocati di Thanh hanno affermato che questa sentenza assume una grande rilevanza storica, in quanto il suo caso è stato il primo riconoscimento da parte di un organismo ufficiale sudcoreano delle uccisioni di massa di civili durante la guerra del Vietnam.

11/02/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Giulio Chinappi

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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