Il disinvolto uso politico del genocidio

Negli ultimi giorni le celebrazioni per i cento anni del genocidio armeno hanno costretto analisti e governi a interrogarsi sul significato del concetto di genocidio e sulla sua applicabilità o meno ai tragici eventi che hanno colpito un secolo orsono gli armeni.


Il disinvolto uso politico del genocidio

Le attuali commemorazioni del centenario del genocidio armeno hanno prodotto una serie di polemiche che hanno significativi risvolti dal punto di vista dell’interpretazione storica e dell’analisi geo-politica. Enfatizzare o minimizzare la tragedia degli armeni da parte di molti capi di Stato è funzionale alla politica di potenza. Allo stesso modo fare del genocidio armeno un unicum comporta una relativizzazione delle responsabilità storiche del colonialismo e dell’imperialismo.

di Renato

Negli ultimi giorni le celebrazioni per i cento anni del genocidio armeno hanno costretto analisti e governi a interrogarsi sul significato del concetto di genocidio e sulla sua applicabilità o meno ai tragici eventi che hanno colpito un secolo orsono gli armeni. Secondo la concezione prevalente, che si richiama essenzialmente alla «Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio» approvata dall’Onu nel 1948, il genocidio si distingue da stragi e massacri per «l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso». Tale definizione si è ispirata alle tesi del giurista R. Lemkin, che ha coniato questo neologismo propria a partire dalla riflessione sulle analogie che accomunano il genocidio degli ebrei a opera dei nazi-fascisti e quello degli armeni a opera prima dell’Impero Turco ottomano, poi dei Giovani Turchi con il supporto di milizie kurde [1]. Che i massacri perpetrati dall’impero turco ottomano, nell’epoca della sua putrefazione, siano sfociati, nel corso della prima guerra imperialistica mondiale, in un vero e proprio genocidio di una parte consistente del popolo armeno, costretto a uno spaventoso esodo forzato in zone desertiche assolutamente inabitabili, è un’interpretazione storica oggi difficilmente falsificabile. Tanto che insieme allo spaventoso genocidio degli ebrei, nel corso del secondo conflitto imperialistico mondiale, è ormai divenuto patrimonio condiviso del ceto medio riflessivo nel mondo occidentale. 

Allo stesso modo è evidente a qualsiasi attento osservatore dei più recenti avvenimenti l’uso politico estremamente disinvolto che fanno le cancellerie di mezzo mondo di questi tragici avvenimenti. Abbiamo così il governo e i nazionalisti turchi che tendono a minimizzare la portata della tragedia storica sostenendo che sia mancata l’intenzione, ossia la pianificazione necessaria a poter parlare di genocidio e, dunque, tali drammatici avvenimenti andrebbero derubricati a massacri avvenuti in modo spontaneo, da contestualizzare nella tragedia della disfatta militare e della dissoluzione dell’impero. Tali posizioni sono sostenute in primo luogo dal governo dell’Azerbaigian, in una situazione di tregua armata con l’Armenia a causa dell’occupazione da parte di quest’ultima del Nagorno Karabakh, a seguito dei tragici eventi prodotti dallo scioglimento violento dell’Urss. Tali posizioni sono di fatto sostenute dai governi degli Stati Uniti, interessati a mantenere l’alleanza con la Turchia, bastione della Nato in Medio Oriente, base di partenza dell’aggressione terrorista contro la Siria e principale ostacolo al sogno secolare della Russia di aver accesso al mediterraneo.  

Sul fronte opposto abbiamo il governo armeno, che tende al contrario a enfatizzare e assolutizzare il genocidio patito, ponendolo alla pari del solo genocidio ebraico, per nascondere dietro il mito ideologico dell’unità nazionale, le differenze di classe sempre più spaventose prodotte dallo sciagurato abbandono della transizione al socialismo. In tal modo tutti gli altri genocidi della storia tendono a dileguare, dando implicitamente ragione al “grande timoniere” quando parlava di morti che pesano come piume e altri che pesano come montagne [2]. Del resto tale concezione è generalmente accolta in occidente, per motivi razzisti e auto-giustificatori del proprio passato colonialista e del proprio presente imperialista. In effetti il massacro degli ebrei e degli armeni [3] assurge a livello di genocidio, ed è dunque a ragione universalmente esecrato in occidente, perché subito da dei popoli assimilabili alla “superiore civiltà occidentale”: cui apparterrebbero gli ebrei in quanto europei e gli armeni in quanto cristiani. Mentre vengono passati sotto silenzio o comunque derubricati, in quanto considerati non paragonabili a quelli degli ebrei e degli armeni, i genocidi di cui sono responsabili i colonialisti e gli imperialisti occidentali nei confronti dei popoli coloniali, non riconosciuti come esseri umani di pari grado degli occidentali [4]. Inoltre rendere il genocidio degli ebrei e degli armeni un unicum, astraendoli dal contesto dei genocidi provocati dal colonialismo e dall’imperialismo [5], oltre a finire con il minimizzare le responsabilità storiche di questi ultimi, porta a correre il rischio di considerare questi due tragici eventi un orrore irrappresentabile, un male assoluto, al contempo misterioso e folle, un’anomalia, un accidente del corso della storia. In tal modo si finisce con il rinunciare a una comprensione razionale delle cause, storiche, sociali, politiche, ideologiche ed economiche che hanno prodotto questi due genocidi, attribuendoli alla follia di un Hitler, alla calata degli hyksos [6], o addirittura alla guerra scatenata dai mussulmani contro la civiltà cristiana. In ogni cosa il genocidio ebraico e armeno verrebbero considerati una sorta di parentesi, di eccezione totalmente estranei alla storia come lotta di classe, alle dinamiche del colonialismo e dell’imperialismo, dell’ideologia nazionalista e sciovinista.

D’altra parte l’equiparazione fra genocidio ebraico e armeno è respinta dai sionisti, fra l’altra alleati degli sciovinisti turchi, gelosi di poter rivendicare il monopolio del titolo di vittime del genocidio. Tanto più che i nazionalisti armeni hanno appreso dai sionisti la tecnica di utilizzare i tragici eventi del passato per far passare da vittime i carnefici, ossia per giustificare in un caso l’occupazione imperialista della Palestina, da parte di coloni e di discendenti di coloni principalmente europei, dall’altra parte l’occupazione del Nagorno Karabakh. In altri termini il richiamo al genocidio del passato serve da copertura rispetto alle attuali politiche aggressive [7], in quanto rende particolarmente difficile chi intende criticare un popolo martire e così, ad esempio, ogni critica al sionismo viene depotenziata dal sospetto di avere un fondamento antisemita. Tali posizioni sono supportate in chiave anti turca dal governo russo che, al contrario, sottace li spaventosi massacri e i pogrom antiebraici perpetuati dai governi zaristi russi e il proprio appoggio tattico a forze politiche razziste e neofasciste [8]. Nella denuncia del genocidio armeno si sono distinti i governi francesi e austriaco, tradizionali nemici della Turchia, sottacendo a loro volta le nefandezze perpetrate in passato dal colonialismo francese e oggi dal neocolonialismo e le complicità della destra austrica nel genocidio degli ebrei, oltre al proliferare in questo paese di formazioni politiche di estrema destra. In tale disinvolto uso politico del genocidio si è distinto papa Bergoglio, ponendosi in prima fila della schiera di opinionisti e politicanti pronti a sfruttare la commemorazione del genocidio armeno per rilanciare come guerra di religione, la guerra di civiltà dell’occidente contro l’islamismo. Come è stato a ragione notato il recente intervento papale [9] «corrisponde ad un tassello di quella campagna sulla persecuzione dei cristiani (…) che appare come una strumentalizzazione interna al modello dello “scontro di civiltà”» [10]. Da questo punto di vista la posizione del papa, stoltamente esaltato da tanti cattolici della a-sinistra [11], fa il paio con quella di molti esponenti del parlamento europeo, formato in larga parte da una casta di parassiti, in prima fila nel denunciare il genocidio europeo, per chiudere opportunisticamente l’accesso della Turchia all’Unione imperialistica europea, strizzando l’occhio alle pulsioni razziste diffusesi con la complicità dei mezzi di comunicazione di massa fra molti elettori. La demonizzazione del mondo islamico come fondamentalista e cristianofobo è il frutto di quella che a ragione è stata definita una «verità mutilata» [12], in quanto sottace le ragioni storiche di tali esecrabili fenomeni, ossia i misfatti nei confronti dei paesi arabi da parte del fondamentalismo cristiano europeo «che si esprime a suon di bombardamenti, armi di distruzione di massa, globalizzazione turbocapitalistica e fame indotta dallo squilibrio economico e della mercatizzazione delle culture primarie per autoalimentazione» [13]. 

Una rappresentazione esemplare della mutilazione della verità, che stravolge l’interpretazione storica, la troviamo nel geniale inizio del film Novecento. In questa celebra scena B. Bertolucci ci mostra una coppia avanti con gli anni in fuga disperata davanti a una torba di villani armati di forconi che raggiuntili li lincia. Soltanto proseguendo nella visione del film si scoprirà che le due presunte vittime civile indifese erano in realtà i principali responsabili delle spaventose violenze perpetrate dai fascisti della zona, per conto dei proprietari, a danno dei contadini [14]. A una evidente mutilazione della verità assistiamo anche quando leggiamo le esposizioni correnti in occidente del genocidio armeno, compresa quella di Bergoglio [15], che attribuiscono tale misfatto al movimento di liberazione nazionale dei Giovani turchi, peraltro laico, nemico giurato del fondamentalismo religioso, capace di coinvolgere nei propri governi ministri cristiani e anche armeni. In tal modo si nasconde il fatto che tale genocidio fu iniziato proprio dall’impero ottomano, che i rivoluzionari giovani turchi hanno rovesciato [16], e che i misfatti perpetrati da questi ultimi esponenti “illuminati” del nazionalismo borghese vanno comunque contestualizzati, non certo per giustificarli, nella lotta da loro condotta contro le potenze imperialiste intenzionate a smembrare anche il poco che restava dell’impero turco in protettorati, del tipo di quelli realizzati in Iraq, in Siria, in Libano e in Palestina, paesi che «ancor oggi soffrono sotto il tallone del neocolonialismo» [17]. 

In tale contesto si segnala ancora una volta l’attitudine stracciona dell’imperialismo italiano, secondo la nota definizione di Lenin, pronto da una parte a sostenere la crociata antislamica del papa, dall’altra a prenderne le distanze, relativizzandone la portata, per mantenere buoni i rapporti con l’alleato turco. Detto questo appare quanto mai fuori luogo la critica condotta dall’(a)sinistra nostrana a ogni tentativo di un governo italiano [18] di sviluppare una politica estera almeno in parte autonoma da quella dell’Unione imperialista europea, spesso e volentieri codista nei confronti dell’imperialismo statunitense, che mantiene ben stretto il controllo della Nato. 

Occorre infine considerare che il disinvolto utilizzo politico del genocidio è indubbiamente potenziato da quel «vero e proprio mantra dell’ideologia contemporanea» che è l’apologia delle «vittime innocenti», divenuto un vero e proprio grimaldello dell’interpretazione o, meglio, della mistificazione storica. In tal modo si perde di vista che «la memoria da coltivare e la dignità da restituire» debbono essere in primo luogo «la memoria e la dignità di coloro che ebbero il coraggio di opporsi al potere di regimi oppressivi e dittature militari, e per questo furono torturati, assassinati e fatti sparire tra le più significative distorsioni della falsa memoria oggi prevalente anche da noi, vi è invece il derubricare questi morti a “vittime di serie B”» [19].  

 

Note 

[1] Cfr. Simone Zoppellaro, Il genocidio armeno fra tabù e concessioni, in «Il manifesto» del 23.4.2015 http://ilmanifesto.info/il-genocidio-armeno-fra-tabu-e-concessioni/.

2] Mao Zedong, Opere scelte, Vol. III, pagg. 181-182, Casa editrice in lingue estere, Pechino 1973.

[3] Per altro adeguatamente fatto conoscere e denunciato nei mass media.

[4] Su questa questione ha riportato l’attenzione, con ampie e documentate argomentazioni, Domenico Losurdo in Il linguaggio dell'Impero. Lessico dell'ideologia americana, Laterza Roma-Bari 2007. In tale pratica inconsapevolmente razzista si è distinto in particolare un presidente della camera, sedicente comunista, che ad esempio ha condannato come violente le azioni di resistenza dei popoli oppressi dall’imperialismo, fino a parlare a tal proposito della spirale guerra-terrorismo, mentre ha giustificato lo spaventoso e questo sì inequivocabilmente tanto violento quanto terroristico genocidio della popolazione civile giapponese, con le armi atomiche da parte degli Stati Uniti, i quali sebbene certi della vittoria intendevano imporre al nemico una resa incondizionata, anticipando al contempo l’avanzata sovietica.

[5] In realtà il pensiero unico dominante si spinge ancora oltre e con un vero e proprio rovescismo storico aggiunge ai due sopra citati, un terzo e ultimo genocidio, quello perpetuato dal comunismo, nella versione stalinista, o maoista ecc. A tale coro dell’ideologia dominante partecipa lo stesso pontefice che, alla sua recente denuncia del genocidio armeno, ha aggiunto che «Le altre due (tragedie inaudite) furono quelle perpetrate dal nazismo e dallo stalinismo». http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2015/04/12/0261/00575.html#sal. Certo, si potrebbe obiettare che il papa ha parlato di “tragedie inaudite” e non di genocidio, cosa decisamente inaccettabile per quanto riguarda il nazismo. Inoltre ci si è a ragione domandati come abbia fatto Bergoglio a tacere «di inauditi stermini come le due guerre mondiali, le guerre di Corea e Vietnam, lo sterminio dei comunisti indonesiani del 1965 (mezzo milione di persone almeno), e via discorrendo, in un elenco che, dopo la “caduta del Muro” e la fine della guerra fredda non cessa di aumentare. Per non andare indietro nei secoli, tra guerre di religione, genocidio degli Amerindi e commercio transatlantico degli schiavi, tutti “benedetti” dalle chiese cristiane». Inoltre, dal momento che utilizza il termine genocidio nel caso della sola Armenia, sarebbe necessario ricordare «che l’unico “focololare armeno” per decenni rimase la Repubblica sovietica di Armenia, come ricordavano anche i frati armeno-cattolici dell’isola di San Lazzaro a Venezia, fino alla caduta dell’Urss». Gigi Bettoli, L’uso pubblico della storia da parte di Papa Bergoglio, http://www.storiastoriepn.it/luso-pubblico-della-storia-da-parte-di-papa-bergoglio/

[6] Secondo l’auto-assolutoria interpretazione che diede del fascismo uno dei massimi pensatori liberali italiani: Benedette Croce.

[7] A questo proposito possiamo osservare, con il Kant del Progetto per una pace perpetua, che anche i politici più spregiudicato al giorno d’oggi, debbono nascondere le loro azioni nefande e immorali, dietro delle giustificazioni morali, per renderle accettabili agli occhi dei propri concittadini o degli altri popoli, e quindi, implicitamente, anche se controvoglia e in maniera subdola, sono costretti a riconoscere la superiorità della morale. In tal modo anche chi vuol fare il male, paradossalmente, finisce, senza rendersene conto, col portare acqua al mulino del bene.

[8] Detto questo è però necessario evitare di supportare, come fa la (a)sinistra italiana, la vera e propria crociata dei mass media occidentali volti a demonizzare la Russia, colpevole di non voler continuare a essere terra di conquista delle potenze imperialiste come ai tempi di Eltsin. Tanto più che la terribile colpa di voler mantenere una politica estera autonoma dai diktat dell’imperialismo occidentale ha generalmente delle ricadute positive sullo scacchiere internazionale, dall’impedimento dell’aggressione imperialista alla Siria, al sostegno tatticamente offerto all’attuale governo greco, nel suo disperato bisogno di sostegni esterni di fronte all’implacabile morsa della troika. Altrettanto assurde appaiono le critiche dell’(a)sinistra italiana al tentativo del governo armeno di sottrarsi, a differenza dell’attuale governo golpista ucraino, dal pieno controllo delle potenze imperialiste, mantenendo buoni rapporti con la Russia.

[9] http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2015/04/12/0261/00575.html#sal

[10] G. Bettoli, op. cit.

[11] Ha osservato a questo proposito Bettoli, nel sopra citato articolo, «confesso che mi sono chiesto fin dall’inizio a cosa fosse dovuto l’entusiasmo dei “teologi della Liberazione” per il nuovo papa. Se non fosse per quel richiamarsi, per la prima volta, al sovversivo Poverello di Assisi, certo non per il ruolo di capo politico della destra argentina oppositrice dei Kirchner, né per l’atteggiamento di fronte alla sanguinaria dittatura degli anni ’70. Che non pare essere stato segnato, per usare un eufemismo, dalla testimonianza di un evangelico eroismo: come nel caso della Chiesa Cattolica di fronte al nazifascismo, la scelta è sempre, innanzitutto, quella di salvaguardare l’istituzione, senza esporsi troppo».

[12] Vladimiro Giacché, La fabbrica del falso. Strategie della menzogna nella politica contemporanea, DeriveApprodi, Roma 2011, pp. 15-19.

[13] G. Bettoli, op. cit. Tanto più che anche nel mondo contemporaneo le vittime di stragi e massacri non sono certo né principalmente, come vorrebbe farci credere la propaganda clerical-imperialista, cristiane «visto che le prime vittime delle organizzazioni musulmane sunnite sono i musulmani sciiti; che i musulmani tutti insieme sono vittime della violenza del fondamentalismo indù in India, del fondamentalismo sionista in Israele, dei fondamentalismi croato cattolico e serbo ortodosso in Bosnia e di quello buddista in Birmania; che gli induisti Tamil sono vittime del fondamentalismo buddista in Sri Lanka; e che tutti i paesi del Terzo Mondo sono o sono stati vittime del fondamentalismo “cristiano”» (Ibidem).

[14] Un altro eccellente esempio di verità mutilata lo troviamo nella citata opera di Giacché: «Evento, Inizio, Orrore, Nemico: sono questi, oggi, i quattro cavalieri dell’Apocalisse. Li vediamo in opera, tra l’altro, nel trattamento riservato dai media al dramma palestinese. Lo stesso orrore “inesplicabile” degli attentati dei kamikaze palestinesi sarebbe in effetti molto meno inesplicabile se, invece di considerarli ogni volta un “nuovo Inizio” e una ripetizione dell’“Orrore” innominabile, li si inserisse nel contesto di umiliazione, miseria e morte che caratterizza quotidianamente la vita dei Palestinesi nei Territori occupati da Israele. Il gioco è facile: come ha osservato il poeta palestinese Murid al-Barghuti, “basta tacere su quel che è accaduto ‘prima’ perché la reazione degli offesi sembri una barbarie”» (Giacché, op. cit., p. 16).

[15] Che non si tratti di una svista dell’attuale pontefice, ma di un disinvolto uso politico della storia dei vertici del Vaticano, diviene evidente leggendo la ricostruzione fatta da Giovanni Paolo II del genocidio armeno. Cfr. http://www.dehoniane.it:9080/komodo/trunk/webapp/web/files/riviste/archivio/02/200117538a.htm).

[16] G. Bettoli, op. cit.

[17] Ibidem. Si ricordi che lo stesso Gandhi organizzò «una delle sue prime lotte di massa nel primo dopoguerra, proprio in difesa del “Califfato”, smembrato dalle potenze [imperialiste] europee» (Ibidem).

[18] Esemplari sono state, da questo punto di vista, le critiche piovute dalla (a)sinistra su ogni tentativo compiuto dal reazionario governo Berlusconi di stabilire buone relazioni con nemici degli Stati Uniti e dell’Unione imperialista europea come la Russia e la Libia ai tempi di Gheddafi.

[19] V. Giacché, op. cit., p. 237. Su tali questioni Giacché rinvia al notevole saggio di V. Romitelli e D. Ventura, “Ricorda!” Marzabotto e Stella Rossa, in V. Romitelli, L’odio per i partigiani, Napoli, Cronopio, 2007.  

01/05/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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Renato

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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