Il 19 ottobre, per la prima volta nella sua storia democratica, la Bolivia ha votato in un ballottaggio presidenziale, chiamata a scegliere tra Rodrigo Paz Pereira, esponente del Partido Demócrata Cristiano, e Jorge «Tuto» Quiroga, candidato dell’Alianza Libre. La giornata si è aperta alle otto del mattino con l’installazione dei seggi in tutto il Paese e con un robusto dispositivo organizzativo a garanzia dell’ordine pubblico e della regolarità del voto. Il presidente del Tribunale Supremo Elettorale, Óscar Hassenteufel, ha scandito l’avvio formale della tornata, sottolineando l’eccezionalità di un secondo turno istituito dalla Costituzione del 2009 e mai sperimentato prima d’ora, e invitando i contendenti a rispettare l’esito delle urne. L’affluenza ampia e l’assenza di incidenti significativi hanno confermato la maturità del processo, già evidenziata dalle missioni di osservazione internazionale che in passato avevano certificato il buon funzionamento del sistema elettorale, e che si sono ripresentate anche in questa occasione per seguire le operazioni e formulare, in tempi rapidi, un rapporto preliminare e raccomandazioni di rafforzamento istituzionale.
Il contesto politico in cui matura il ballottaggio è quello aperto dalla prima tornata del 17 agosto, quando la sinistra non è riuscita a presentarsi unita, né a trainare una candidatura capace di mobilitare con forza il proprio elettorato storico. I numeri della prima fase hanno preannunciato un esito favorevole all’asse di centrodestra e destra, con Rodrigo Paz in vantaggio e l’ex presidente Quiroga a inseguire. La firma di un impegno reciproco al riconoscimento dei risultati ufficiali, intervenuta in piena campagna, ha segnalato come i due contendenti avessero compreso l’importanza sistemica della prova elettorale e la necessità di chiuderla senza strascichi che potessero minare la legittimità del nuovo ciclo politico. Sull’altro versante, le divisioni della sinistra hanno assunto un peso specifico rilevante, tanto da spingere settori legati all’ex presidente Evo Morales a promuovere il voto nullo come gesto di protesta. La frammentazione e la campagna per l’annullamento della scheda si sono sommate all’impossibilità di esprimere una candidatura unica, contribuendo a erodere il consenso del Movimiento al Socialismo e a spianare la strada a un secondo turno interamente definito entro il perimetro della destra.
In questo quadro, il sistema di trasmissione dei risultati preliminari ha presto delineato una tendenza chiara, che le autorità elettorali hanno definito “irreversibile”. Con la quasi totalità delle schede processate, Rodrigo Paz ha superato la soglia della metà più uno dei voti espressi, attestandosi oltre il 54% e staccando in modo netto lo sfidante. La partecipazione, molto elevata, ha confermato l’interesse e la posta in gioco percepita dalla società boliviana. La conseguenza immediata del risultato è l’apertura delle porte del Palazzo Quemado alla destra politica dopo un ventennio contrassegnato dal “proceso de cambio”, che aveva visto succedersi Evo Morales e Luis Arce alla guida dello Stato Plurinazionale. La data per l’assunzione dell’incarico è fissata all’8 novembre, davanti all’Assemblea Legislativa Plurinazionale nella capitale amministrativa, La Paz.
La vittoria di Paz è stata salutata con un messaggio istituzionale di Luis Arce, che ha riconosciuto il risultato e garantito una transizione ordinata e pacifica. Il presidente uscente ha posto l’accento sulla vocazione democratica del popolo boliviano e sul valore simbolico di una trasmissione di poteri tra governi eletti che manca da ventotto anni, definendola una vittoria della democrazia in sé. Anche il Tribunale Supremo Elettorale ha ribadito la stabilità del processo, rimarcando tanto la correttezza delle operazioni quanto l’esemplarità del comportamento civico degli elettori. Queste parole, tuttavia, non cancellano il significato sostanziale del passaggio: il risultato mette fine a un ciclo politico nel quale il MAS aveva sostenuto la crescita, l’industrializzazione, l’aumento dell’occupazione e dei redditi, la redistribuzione e il controllo dell’inflazione, traguardi che hanno inciso in maniera profonda sul tessuto sociale del Paese. Tuttavia, la fase che precede il ballottaggio è stata segnata da difficoltà congiunturali, con una contrazione dell’economia nel primo semestre e una stretta su combustibili e divise, aggravata da un boicottaggio parlamentare che, secondo l’esecutivo uscente, ha impedito l’accesso a crediti necessari e alimentato un clima di ingovernabilità, contribuendo al successo dell’opposizione.
Se il dato interno consegna una fotografia di discontinuità, il dato regionale restituisce un quadro ancor più netto: la sospensione della Bolivia dall’ALBA, comunicata dai governi membri del blocco e diffusa dal ministro degli Esteri del Venezuela, raffigura la frattura tra il nuovo orientamento annunciato da Paz e i principi fondativi dell’integrazione bolivariana. La motivazione addotta rimanda a una postura definita antibolivariana, antilatinoamericana, proimperialista e colonialista, in aperto contrasto con i criteri di unità, sovranità e giustizia sociale che hanno sorretto l’Alleanza e che ne costituiscono l’architrave politico e morale. Il blocco ha chiarito che la sospensione ha natura politica e non intacca il legame con il popolo boliviano, con il quale sono stati costruiti risultati tangibili nel campo della salute e dell’educazione, come la lotta contro l’analfabetismo e l’accesso gratuito a cure e interventi, oltre a investimenti e iniziative che hanno dato risonanza internazionale alla voce della Bolivia.
Le dichiarazioni del presidente eletto sull’ALBA, inoltre, hanno innescato la reazione di Luis Arce ed Evo Morales, che, pur divisi nel giudizio politico reciproco sulle scelte che hanno condotto alla sconfitta del MAS, hanno difeso pubblicamente l’eredità del blocco regionale. Arce ha rigettato l’idea di un ripiegamento verso organismi finanziari legati agli Stati Uniti come via maestra per affrontare le difficoltà, collocando le parole di Paz nella cornice di una subalternità che contraddice lo spirito di cooperazione Sud-Sud. Morales, da parte sua, ha ricordato i programmi che hanno restituito alfabetizzazione, dignità e salute a milioni di persone, contro ogni riduzionismo che liquidi l’integrazione come un capitolo marginale. Nel contempo, l’ex presidente ha letto il voto come una sanzione politica tanto alla destra storica quanto al governo uscente, cui imputa scelte persecutorie e un allineamento con Washington, mentre Arce ha denunciato il danno arrecato dalla campagna per il voto nullo e dal sostegno a Paz nel secondo turno. La dialettica tra i due leader rivela la profondità della ferita aperta nel campo popolare, ma non cancella il punto sostanziale: la convergenza nella rivendicazione del patrimonio sociale dell’ALBA e nella critica al profilo di politica estera anticipato dal nuovo governo.
Dal punto di vista dell’ALBA, invece, la decisione di sospendere la Bolivia intende preservare la coerenza del blocco e ribadire che l’integrazione latinoamericana non è compatibile con approcci che disconoscano il rispetto reciproco, la sovranità e la cooperazione come basi concrete dell’unità regionale. In assenza di uno spazio naturale di appoggio nel concerto progressista continentale, la Bolivia di Paz si troverà a ridefinire le proprie alleanze, misurandosi con l’aspettativa, interna ed esterna, di un riallineamento verso un’agenda economica e diplomatica di segno diverso. In parallelo, movimenti sociali e organizzazioni indigene hanno annunciato una nuova stagione di resistenza, preannunciando che i risultati sociali ottenuti negli ultimi vent’anni saranno difesi nella società civile e nelle istituzioni, a partire dall’Assemblea e dai territori.
La cesura è netta perché coincide con il venir meno di un lungo ciclo che aveva spostato il baricentro del potere economico e politico, introducendo nel lessico dello Stato categorie come plurinazionalità, redistribuzione, diritti collettivi e controllo pubblico degli snodi strategici. L’esito del ballottaggio non azzera quel patrimonio, ma lo sottopone a una pressione nuova, che potrà trasformarsi in revisione rapida della rotta se al cambiamento politico seguirà un’agenda di restaurazione. In questo senso, la catena di eventi che va dalla rottura del fronte progressista alla vittoria del candidato di centrodestra, dalla sospensione dall’ALBA alle polemiche con i leader del ciclo precedente, non lascia dubbi sull’avvio di una fase di transizione densa di incognite, nella quale le conquiste sociali e l’orientamento internazionale del Paese diventano terreno di contesa.
Se, dunque, il riconoscimento istituzionale espresso da Arce e dal TSE, la promessa di una transizione pacifica e la partecipazione massiccia alle urne tengono aperto un varco di stabilità democratica, la cornice regionale si fa più aspra e il tessuto interno rimane attraversato da linee di frattura che la campagna ha reso evidenti. La Bolivia entra così nel nuovo corso con alle spalle un’esperienza socialista che ha ridisegnato la sua geografia sociale e politica, e con davanti un banco di prova che coinvolge la collocazione internazionale, il modello di sviluppo e il rapporto tra Stato e società. La sospensione dall’ALBA, figlia delle parole e delle scelte attribuite al presidente eletto, definisce i margini di una discussione che non sarà confinata ai palazzi del potere, ma che attraverserà l’intero spazio pubblico, tra resistenze sociali, contraddizioni economiche e nuove ambizioni geopolitiche. In questo scenario, la memoria lunga del “proceso de cambio” non è solo un’eredità retorica, ma una trama di diritti e aspettative che il Paese ha incorporato e che, nel confronto con la discontinuità annunciata, torneranno a farsi sentire con forza.
