I risultati delle elezioni comunali in Brasile

Analizziamo in quest’articolo il risultato delle recenti elezioni comunali in Brasile, svoltesi in due turni tra il 15 e il 29 novembre, contrassegnate dalla forte astensione e dalla sconfitta dell’opzione politica bolsonarista, a favore delle élite locali della destra tradizionale.


I risultati delle elezioni comunali in Brasile

Il primo dato da sottolineare quando si analizzano i risultati delle ultime elezioni in Brasile è stato l’altissimo tasso di astensione, prossimo al 30 per cento dell’elettorato, il più alto dal 1996, dimostrando il distacco progressivo di parte sempre più consistente della popolazione da un sistema politico sempre più in crisi di legittimità, che neanche il meccanismo del voto obbligatorio riesce a tenere in piedi. A ciò va aggiunto che in diverse città tra le più importanti del paese il tasso di astensione (in cui inglobiamo anche voti bianchi e nulli) ha di gran lunga superato il 40 per cento, sfiorando a Rio de Janeiro il 50 per cento dell'elettorato.

Ma guardando invece ai voti “validi” emergono come vincitrici le oligarchie locali e regionali che dalla fine della colonizzazione portoghese reggono i fili, seppur con qualche scossone, della politica brasiliana, dimostrando l’irriformabilità di un sistema creato a immagine e somiglianza di queste oligarchie, nonostante sempre minore sia il loro consenso tra le masse popolari. Da questo punto di vista il “colonellismo”, [1] inteso come predominio di famiglie su vaste aree e regioni del paese ha conosciuto ancora una volta con questi risultati una sua conferma. La conferma cioè della capacità del blocco liberal-conservatore di fagocitare le elezioni come strumento di mantenimento del potere, elezioni che non a caso hanno la vittoria della destra “tradizionale”, in luogo dell'estremismo bolsonarista e del riformismo opportunista del centro-sinistra in tutte le sue diverse forme di alleanza. Tra tali partiti a distaccarsi nelle votazioni sono stati soprattutto quelli che avevano l'appoggio della chiesa evangelica, come i “Republicanos” che hanno avuto significativi aumenti rispetto al 2016.

Il Pt, invece, che credeva di aver toccato il fondo con le elezioni municipali del 2016, in cui era scivolato dal terzo al decimo posto nella classifica dei partiti più votati, vede ulteriormente ridursi la sua presenza istituzionale e per la prima volta negli ultimi trenta anni non guiderà nessuna capitale di Stato brasiliana. Il resto della “sinistra” segue traiettorie simili, il Pcdob, storico sigla alleata del Pt dimezza il numero di sindaci eletti rispetto a quattro anni fa, mentre il Psol, variegato partito con forti tinte di post-modernismo, aumenta da 2 a 5 il numero di sindaci eletti, sebbene lo faccia nel contesto di un tracollo generale. Il resto della vasta e frammentata galassia comunista registra percentuali ben inferiori al’1% e non riesce a eleggere nessun consigliere comunale.

Ciò dimostra chiaramente come l’ipotesi di centrare tutta la lotta in un indistinto fronte anti-Bolsonaro fa unicamente il gioco della destra, visto che i candidati appoggiati dall’attuale presidente hanno avuto un fracasso elettorale praticamente ovunque, mentre la suddetta sinistra si è imbarcata in avventuristici appoggi tattici a candidati della destra tradizionale, come a Rio de Janeiro, dove ha appoggiato l’elezione di Eduardo Paes, già sindaco della città per otto anni ed esponente della destra neoliberista, noto alle cronache per la repressione contro lo sciopero dei professori nel 2013 e per la sua amicizia con trafficanti e milizie locali, ma alleato “tattico” perché dall'altro lato c’era l’attuale sindaco Crivella, appoggiato da Bolsonaro. In questo modo il grave rischio è quello di fornire legittimità a un regime politico prossimo al tracollo, mostrando come esso sia apparentemente “democratico”, visto che tutti possono liberamente concorrere, anche se poi vincono sempre gli stessi.. Non a caso lo stesso Bolsonaro è riuscito a catturare buoni risultati tra la fascia più povera della popolazione, ma minori di quelli attesi, probabilmente per il suo aver dimostrato di governare esplicitamente contro il popolo.

A questo punto del discorso è lecito chiedersi da dove venga il potere di queste oligarchie locali, apparentemente solide e irriducibili. Ebbene dal nostro punto di vista la risposta si trova nel loro vincolo con la proprietà della terra, il latifondo. Dal momento infatti che la maggior parte della terra si trova concentrata nelle mani di poche famiglie, ciò determina la creazione di un’enorme massa di contadini senza o con pochissima terra, costretti ad accettare condizioni servili di lavoro per poter sopravvivere. Il dominio politico che si sviluppa a partire da questa base economica è molto meno “raffinato” di quello della borghesia occidentale, basandosi invece su un controllo politico-militare del territorio, consentito da bande di guardie armate private con licenza di uccidere, con pochissime eccezioni; tale fenomeno è osservabile in praticamente tutte le regioni dell’interno del paese. A tal proposito ci permettiamo di citare Sodrè, principale storico brasiliano, il quale affermava che in Brasile esistesse una eterocronia, ossia ci fossero tempi storici diversi da Stato a Stato, che permettevano di retrocedere di decenni cambiando regione. A partire da questo sistema i latifondisti devono garantirsi che attraverso le elezioni a tutti i livelli siano i loro rappresentanti a essere eletti, permettendogli di perpetuarsi nel loro dominio ed estendendolo anche alla città, dove appoggiano di volta in volta gruppi paramilitari e/o trafficanti.

Non essendoci stata mai in Brasile una rivoluzione democratica, anche solo nel senso borghese del termine, il latifondo non è stato spezzato e il suo predominio politico-economico si mantiene vivo e vegeto. Gli stessi diritti formali, ottenuti dopo dure lotte, non trovano quasi mai attuazione se non sulla carta, senza che le masse si scandalizzino troppo di ciò, non essendo abituate a comprendere quanto poco, o per nulla, democratico sia il sistema in cui esse si trovano a vivere.

D’altra parte come non pensare ciò dopo gli oltre 90 candidati a consigliere morti durante la campagna elettorale, gli oltre 200 che hanno subito minacce di morte, o quelli che anche dopo le elezioni continuano a subirle, oppure alla sempre meno nascosta compravendita di voti, o alla sempre più endemica corruzione, propria di pressoché tutti i partiti politici, con forme e modalità differenziate. La “democrazia” brasiliana non è dunque altro che una repubblica oligarchico-latifondistica, preda di élite locali e senza la minima parvenza di repubblicanesimo, garantita nelle sue basi dal latifondo e dall’alleanza in forma subordinata con l’imperialismo nordamericano; su tale debole repubblica pende costantemente la spada di Damocle del fascismo, da usare quando la situazione sfugge dal controllo e bisogna “mettere ordine in casa”, rendendo il sistema politico oscillante tra la democrazia formale e l’autoritarismo fascista vero e proprio.

Scommettere dunque su un cambiamento dall'interno di questo sistema ci appare perciò qualcosa di molto prossimo a una pia illusione, rendendo necessario per la sinistra non opportunista pensare a una strategia che abbia come obiettivo la vera realizzazione della democrazia in Brasile, con la distruzione del latifondo e l'emancipazione dal giogo imperialista.

Note:

[1] Traduzione dal brasiliano, con cui si intende la capacità di uomini forti a livello locale, i cosiddetti “colonelli”, di orientare in modo determinante il risultato delle elezioni.

12/12/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Matteo Bifone

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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